” Alle cinque del mattino, Milano rimase ben presto dietro a noi, e, prima che la statua dorata, posta in cima alla guglia del Duomo si perdesse nell’azzurro del cielo, le Alpi, presentando una meravigliosa confusione di creste e di picchi maestosi, di nubi e di neve, troneggiavano sul nostro cammino“. Così raccontava Charles Dickens la sua partenza da Milano in una fredda giornata di fine novembre del 1844, iniziando il viaggio di ritorno verso l’Inghilterra. Lo scrittore di Portsmouth fu tra i tanti letterati, narratori e poeti, musicisti e artisti che utilizzarono il passo del Sempione tra l’alto Piemonte e la Svizzera per valicare le alpi nel secolo dei profondi cambiamenti, lasciando nelle loro memorie scritte le impressioni del viaggio, accompagnandole spesso con parole ammirate per la bellezza della natura e del paesaggio. Da Lord Byron e Samuel Rogers, da Chateaubriand a Stendhal, Gogol, Wagner, Dumas, Balzac, Mendelsson, Gustave Flaubert. La descrizione del viaggio notturno dell’autore di David Copperfield e del Canto di Natale senz’altro va annoverata tra le più interessanti. Lasciato il capoluogo lombardo e procuratasi verso sera una piccola carrozza a Domodossola il viaggio continuò alla volta del valico alpino. Il racconto di Dickens rende perfettamente l’atmosfera del momento: “Erano le dieci della sera quando arrivammo a Domodossola, ai piedi del passo del Sempione; ma siccome la luna splendeva luminosa, e non c’ era neppure una nuvola nel cielo stellato, non era tempo di andare a letto, o di andare in qualsiasi altro luogo, se non avanti. Per ciò ci procurammo una piccola vettura e, dopo qualche momento d’ indugio, cominciammo la salita. Eravamo verso la fine di novembre, e, siccome la neve era alta quattro o cinque piedi sulla strada battuta della cima (in altri punti la neve fresca ammassata dal vento era di già assai più alta), l’ aria fredda mordeva la carne. Ma la serenità della notte e la stupenda bellezza della strada, con le ombre impenetrabili e l’ oscurità profonda, con l’ improvvise voltate, dopo le quali si passava subitamente nei tratti rischiarati dalla luna, e l’ incessante scroscio dell’ acqua cadente, resero ad ogni passo il viaggio sempre più meraviglioso. Lasciandoci dietro ben presto i tranquilli villaggi italiani, addormentati nel chiarore lunare, la strada cominciò a svolgersi tortuosa fra masse nere di alberi e, dopo un po’ di cammino, emerse in una zona più spoglia e assai ripida e faticosa, sulla quale la luna risplendeva alta e lucente. A poco a poco il frastuono delle acque divenne più forte, e la stupenda strada, dopo aver traversato il torrente su di un ponte, penetrò fra due muri massicci di rocce perpendicolari, i quali ci tolsero interamente la luce della luna e ci lasciaron solo la vista di alcune stelle, che brillavano sulla stretta lista di cielo al di sopra di noi. Poi perdemmo anche queste, nella profonda oscurità di una caverna della roccia…”. Tra il chiarore della neve e un cielo invernale gonfio di stelle, attraversarono il paesaggio aspro e selvaggio delle gole di Gondo. Dickens raccontò d’essersi fermato ben prima dell’alba per consumare la colazione “ in una casa di legno solitaria, ben riscaldata da una stufa” per poi proseguire il viaggio su una slitta trainata da quattro cavalli nella neve fino a raggiungere il Passo del Sempione. Un’impresa dal sapore epico, raccontata con adeguate parole: ” ..eravamo appunto sulla cima della montagna e davanti a noi si ergeva la rozza croce di legno che ne indica la massima altezza sul livello del mare, quando la luce del sole sorgente rischiarò ad un tratto il deserto di neve, colorando questa di rosso scuro. La solitaria bellezza della scena era allora al massimo dello splendore. Nessuno può immaginare uno spettacolo più grandioso“. La discesa verso l’abitato di Briga fu meno difficoltosa e in breve tempo, superati gli ultimi dirupi, agli occhi di Dickens e dei suoi compagni di viaggio comparvero le prime abitazioni elvetiche. Con la stessa penna ispirata de Il circolo Pickwick e di Oliver Twist descrisse l’ingresso nella patria di Guglielmo Tell dove si aprivano allo sguardo “regioni più calde, aria più quieta, un paesaggio più dolce dove nella rugiada rischiarata dal sole e scintillante come oro e argento si alzavano i tetti di una città svizzera“. Era la città di Briga con i suoi tetti rossobruni e le tre torri di palazzo Stockalper, ornate da cupole a cipolla a simboleggiare i tre Re Magi Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. La descrizione dello scrittore britannico offriva un’immagine avventurosa del viaggio che, a quell’epoca, rivestiva un fascino del tutto particolare. L’originalità della narrazione dickensiana è dovuta anche al fatto che la descrizione del viaggio è in controtendenza rispetto agli altri racconti di chi aveva attraversato il valico del Sempione: il suo itinerario va dall’Italia alla Svizzera e documenta un ritorno verso casa mentre solitamente venivano descritte le emozioni dell’ingresso nel “luogo del dolce far niente, dell’arte, della letteratura, dove la vita segue un ritmo naturale”, cioè l’Italia. Prestando attenzione al paesaggio naturale e alle persone così come ai tempi di viaggio, alle soste e ai vari mezzi di trasporto, Dickens dimostrò le indubbie qualità di un eccellente “reporter di viaggio”.
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