Il maledetto 2020 bisesto si è portato via anche Arturo Diaconale. Insieme a lui ed altri coraggiosi facemmo rinascere l’Opinione, la storica testata liberale. Arturo ne fu giustamente il direttore e l’organizzatore. Per me, dopo la fine dell’Avanti! – testata storica che aveva superato tutto, anche il fascismo e la vendetta del suo ex pur grande direttore, ma non la bufera forcaiola -, sarebbe stata la fine come giornalista, visto che ero rimasto tra i pochi a non salire sul carro del Pds, attraverso il quale si accedeva anche alla Rai. Fra l’altro, la mia strenua difesa di Craxi e la critica del manipulitismo mi aveva reso un paria, destinato a non poter scrivere più, neppure sui muri. Il Corriere della Sera definì “infame libello” un mio saggio per nulla offensivo, ma criticamente motivato, sulla figura di Borrelli. Chiesi conto ad un noto editorialista del Corsera vicino alle posizioni dei miglioristi, il quale mi disse soltanto: mi dispiace, hai ragione, ma non posso far niente. Il liberale Diaconale mi aveva, invece, accolto ben volentieri all’Opinione, da cui ripartì la mia carriera di giornalista liberalsocialista, non conforme e non prono. Non ci divise neppure il tifo: egli era biancazzurro, io giallorosso, ma la diversità fu madre di battute e di simpatici sfottò, giammai di astio. Caro Arturo, ti stimavo e ti volevo bene. Addio.