Il passaggio dagli affreschi della parete delle Grazie al polittico novarese, domanda una sequenza di gradi che si può trovare solo pensando a una forte attività sculturale. Come spiegar, altrimenti, l’improvviso spegnersi della fiamma espressionista che guizzava negli affreschi e la solidità e concretezza di figure e materie che la sostituisce?” Il polittico per l’antica Basilica di San Gaudenzio, che si trovava fuori dalle mura della città di Novara, fu commissionato a Gaudenzio Ferrari il 20 luglio del 1514 dal Capitolo della Chiesa. L’opera doveva essere terminata entro diciotto mesi dalla firma del contratto, ma dai pagamenti è possibile desumere che il lavoro proseguì fino al 1521, spesso con la fideiussione di Sperindio Cagnoli, allievo nonché garante dell’artista. Autore della cornice, su disegno del pittore, fu il carpentiere Bernardo Zucchetta, fin qui non altrimenti noto. L’antica basilica venne demolita tra il 1552 e il 1553 per lasciare posto ai bastioni delle nuove fortificazioni novaresi; dal 1577 prese avvio il progetto di ricostruzione della nuova chiesa intra moenia, su progetto di Pellegrino Tibaldi. Il polittico venne spostato, dopo lo smontaggio della cornice, nel monastero di Sant’Agata, dove rimase fino al 1590, quando venne portato nella nuova San Gaudenzio, consacrata quell’anno. All’inizio fu posizionato su una parete provvisoria al fondo del coro; dal 1595 è allocato nella seconda cappella a sinistra, dedicata all’Assunzione, decorata nel corso del Seicento in stile barocco grazie a Gerolamo Bollini, Cavaliere di Malta e Capitano di Marina, proprietario della cappella. Il polittico si sviluppa su tre registri, composti da tavole unite da giunzioni, e è inserito in una cornice dorata secentesca. Nel registro più alto gli scomparti laterali rendono tangibile il momento dell’Annunciazione. A sinistra si vede l’angelo, tipicamente gaudenziano nelle sue fattezze di matrice peruginesca e raffaellesca, con i boccoli che si muovono come spinti da un alito di vento, lo stesso che lo ha accompagnato in volo; anche i panneggi sono mossi e materici, così reali da sembrare aggettanti sulla superficie. Nella mano sinistra porta il giglio bianco, simbolo di purezza, mentre la destra è tesa in avanti, in atteggiamento benedicente. Lo spazio in cui la scena si svolge non è precisamente definito, ma è riempito dalla sua possente fisicità. La Vergine, a destra, è raffigurata con le braccia incrociate sul petto, in atteggiamento di umiltà e accettazione, mentre la colomba dello Spirito Santo occupa la parte alta della scena, quasi inondando di luce il volto di Maria, soffuso di un tenue rossore. Al centro, tra le due portelle, è raffigurata l’Adorazione: Giuseppe e Maria assistono con tenerezza ai primi gesti del Bambino che, sorretto da due angeli, si protende verso la madre. A destra il bue e l’asinello chiudono lo spazio in primo piano, ricoverati nella grotta, mentre dietro la Sacra Famiglia si apre uno sfondato che lascia percepire l’amato paesaggio montano a cui Gaudenzio sempre guardava, occupato da un pastore a colloquio con un angelo che gli affida il compito di diffondere l’evangelion, il lieto annuncio. Nel secondo registro sono presenti diversi santi, tra cui se ne possono riconoscere due legati al contesto novarese, Gaudenzio e Agabio, primi vescovi della città. A sinistra si vedono San Pietro e il Battista; a destra Sant’Agabio e San Paolo; nella sacra conversazione centrale, attorno alla Madonna in trono con il bimbo tra le braccia, trovano posto San Gaudenzio, San Rocco e Sant’Ambrogio. Il santo con il berretto rosso e il libro in mano è probabilmente Sant’Ivo. Maria è posta su un trono di rocce, di tradizione leonardesca e zenaliana, che si erge su un prato fiorito. Alle spalle delle figure, due angeli reggono il tendaggio sul capo della Madonna, quasi a invitare i riguardanti a partecipare al grande spettacolo della Fede, e svelano una coltre di piante di melograno a fare da quinta scenica, mentre negli scomparti laterali i paesaggi sono aperti, illuminati da cieli nitidi e tersi. Il terzo registro, infine, è costituito dalla predella monocroma, con soluzioni figurative vicine a Amico Aspertini e alla pittura d’oltralpe. Ogni tavola contiene due scene, separate da una colonna, con i miracoli del Santo, a cui si intervallano i ritratti dei padri della chiesa. Gli studiosi ipotizzano che, a causa dei molteplici impegni e commissioni, Gaudenzio abbia affidato la realizzazione di questa parte a Sperindio Cagnoli. La pala, che può essere considerata il momento iniziale della produzione matura del Ferrari, è la testimonianza del fatto che, come dice Testori, con Gaudenzio la cultura figurativa giunge a realizzare in pienezza la sua disposizione alla “rappresentazione teatrata” e osservandola ne abbiamo la prova.
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