Il 22 maggio ricorrono i 150 anni dalla scomparsa di Alessandro Manzoni e, quindi, vorrei qui ricordare il mitico Don Lisander, il fondatore del moderno romanzo italiano. Qui intendo illustrare un aspetto non molto noto del Manzoni, che pochi conoscono, ossia lo scrittore quale interprete del Risorgimento. Certo, il Manzoni del Risorgimento fu anche un protagonista, la sua battaglia per l’unità linguistica della nazione rientra nei progetti del Risorgimento, che non si deve ridurre a sciabole sguainate, camicie rosse, sventolare di piume, ecc. Accanto a queste cose, che molto eccitano la fantasia popolare, vi fu un diuturno ed improbo lavoro culturale per favorire la crescita morale e spirituale dell’Italia. Per pochi giorni, inoltre Manzoni, fu deputato del Regno di Sardegna, eletto nel collegio di Arona nell’ottobre del 1848. Nel giugno del 1860 venne nominato Senatore del Regno d’Italia, per indubbi meriti culturali, ma non è nelle aule parlamentari che si potrebbe davvero apprezzare la sua opera risorgimentale, piuttosto la ritroveremo in ciò che scrisse: si possono, per esempio, immaginare liriche più patriottiche e risorgimentali di Marzo 1821, Il proclama di Rimini, Aprile 1814? Fu proprio per la pubblicazione di alcune di esse, nel periodo di Milano insorta e liberata dagli austriaci, che preferì abbandonare, al ritorno di essi, la Lombardia per la sponda piemontese del Lago Maggiore, dove viveva il suo conoscente Antonio Rosmini, altra bella figura del Risorgimento, col quale poté intrattenere molte discussioni su argomenti spirituali, filosofici, culturali e politici che lasceranno un segno sulla sua opera futura.

Per sapere come il grande scrittore interpretava il movimento storico di cui fu anche un protagonista non certo secondario, bisognò attendere la pubblicazione, ahimè purtroppo postuma, di due sue importanti opere storiche: La Rivoluzione Francese del 1789 e la Rivoluzione Italiana del 1859, che probabilmente iniziò a scrivere attorno al 1862 senza riuscire a completarla (verrà pubblicata in prima edizione nel 1889) e Dell’indipendenza dell’Italia, praticamente il suo ultimo scritto, nell’anno della morte, il 1873, appunto.

Il saggio comparativo tra rivoluzione francese e Risorgimento, che il Manzoni considera fenomeni totalmente diversi e ideologicamente addirittura agli antipodi, è palesemente incompiuto e limitato all’analisi del primo fenomeno. Sono citati – e l’autore dimostra di conoscerli assai bene – tutti i più importanti saggi storici ed interpretativi sull’argomento. Alessandro Manzoni conosceva perfettamente il francese: visse, infatti, a Parigi tra il 1805 ed il 1810 (era ventenne quando vi arrivò), partecipando anche a dibattiti culturali di un certo rilievo (era, quello, il periodo in cui il Romanticismo stava scalzando Classicismo e Romanticismo) e poi anche tra il 1819 ed il 1820, quando si legherà di amicizia con il grande storico Augustin Thierry e con il filosofo Victor Cousin: di ambedue si potrà riscontrare una certa influenza sulla sua opera.

L’interpretazione del Risorgimento l’abbiamo nell’introduzione dell’opera. Dopo aver sottolineato i sanguinosi eccessi della rivoluzione francese, che finirono con il conculcare quella libertà della quale i rivoluzionari si erano riempiti la bocca sostiene che in Italia, invece, “…la libertà, lungi dall’essere oppressa dalla Rivoluzione, nacque dalla Rivoluzione medesima: non la libertà di nome, fatta consistere da alcuni nell’esclusione di una forma di governo, cioè in un concetto meramente negativo e che, per conseguenza, si risolve in un incognito; ma la libertà davvero, che consiste nell’essere il cittadino, per mezzo di giuste leggi e di stabili istituzioni, assicurato, e contro violenze private, e contro ordini tirannici del potere, e nell’essere il potere stesso immune dal predominio di società oligarchiche, e non sopraffatto dalla pressura di turbe, sia avventizie, sia arrolate: tirannia e servitù del potere, che furono, a vicenda e qualche volta insieme, i due modi dell’oppressione esercitata in Francia, ne’vari momenti di quella Rivoluzione: uno in maschera d’autorità legale, l’altro in maschera di volontà popolare… (in Italia, invece), ai governi distrutti poté sottentrare un novo governo, con un’animatissima e insieme pacifica prevalenza e quasi unanimità di liberi voleri…”.

L’opera è una delle più importanti critiche alla rivoluzione francese di parte non reazionaria, è storicamente davvero molto fondata, si legge volentieri e, da qui si vede che Manzoni è un classico, fornisce parecchi argomenti anche al lettore di oggi, per replicare alla dittatura e all’ipocrisia del “politicamente corretto” che nasce, per chi sa ben vedere, proprio da alcuni cascami di matrice giacobina di quella rivoluzione,..

Interamente dedicata all’interpretazione del Risorgimento è, invece, la breve opera, ma in sé sostanzialmente conclusa, Dell’indipendenza dell’Italia, che dobbiamo ritenere proprio l’ultimo scritto manzoniano, del 1873: il 6 gennaio di quell’anno, infatti, si procurò un trauma cranico scivolando sui gradini della chiesa di San Fedele a Milano (di fronte ad essa vi è ora il monumento bronzeo allo scrittore, opera di Francesco Barzaghi ed inaugurata nel 1883, in occasione delle manifestazioni per ricordare il decennale della scomparsa del Manzoni), cosa che gli procurò parecchi fastidi, fino a causare, qualche mese dopo, la meningite che lo porterà alla morte.

Qui il Manzoni sostiene che il Risorgimento era stato effettivamente compiuto dall’unica forza in grado di farlo, ossia il Regno di Sardegna. Era l’unico stato davvero indipendente dall’Austria, l’unico con tradizioni militari dimostrate a sufficienza in passato, tanto che si era coraggiosamente opposto, praticamente da solo e con poca fortuna, alla assai più potente Francia, rivoluzionaria prima e napoleonica poi. Dopo aver perso contro l’Austria nel 1849, dimostrerà grande dignità nelle trattative di pace e diverrà rifugio sicuro per i patrioti perseguitati. Questi, nel Piemonte, si rivelarono più utili alla causa nazionale che non rimanendo nel proprio luogo d’origine, potendo liberamente esporre il proprio pensiero, partecipando al dibattito politico e riuscendo più facilmente a convincere, cosa altrimenti impossibile in un Paese ove la propaganda unitaria era proibita, tiepidi e scettici della bontà della loro causa.

L’interpretazione del Risorgimento fornitaci dal Manzoni è, sostanzialmente, un’interpretazione liberalconservatrice e monarchica, certo, ma legittima come tutte le altre. Lo storico, poi, deve arrendersi di fronte alla logica del fatto compiuto: il Regno d’Italia, il 17 marzo 1861, è stato proclamato dal Parlamento di Torino e non da un’altra istituzione. E lo Stato che quell’istituzione esprimeva aveva messo a disposizione della causa dell’unità nazionale, il proprio esercito, il proprio corpo diplomatico e tutte le istituzioni che potessero risultare utili allo scopo. Errori se ne commisero tanti e lo storico non li deve tacere, ci mancherebbe. L’interpretazione manzoniana del Risorgimento riflette, comunque, quella dei settori più illuminati della classe dirigente dell’epoca. I suoi scritti in argomento ci rivelano che Alessandro Manzoni non è stato solo un grande poeta e un grandissimo romanziere, ma anche un acuto e profondo osservatore dei fenomeni storici, politici e sociali.

ACHILLE RAGAZZONI