Philippe Daverio e’ stato un grande studioso di storia dell’arte, ma è stato anche un grande amico del Centro Pannunzio. Più contenuto e sobrio di Vittorio Sgarbi, non ha mai voluto essere un accademico e basta. Sgarbi e Daverio sono i due grandi irregolari della storia dell’arte in Italia. Paragonabili a loro c’è solo Achille Bonito Oliva. E’ stato un grande e brillante divulgatore dell’arte e del patrimonio storico del Paese che seppe difendere con coraggio senza lo snobismo del Fai o di “Italia nostra“; aveva un modo di parlare e di scrivere seducente che colpiva anche gli incolti, virtù molto rara in un uomo di cultura che tende a scrivere e a parlare rivolgendosi ai colti. Era un uomo di sentimenti liberali manifestati anche come orgogliosa appartenenza alla borghesia in cui si identificava, salvo rifiutarne il grigiore conformistico. Per certi versi l’aver accompagnato l’arte e la cultura con i cibi e i vini del territorio lo avvicina a Mario Soldati di cui si considerava una sorta di discepolo. Anche Soldati parlava dell’Ariosto e della salama da sugo. E Soldati era laureato in Storia dell’Arte.
Pur provenendo dal mondo sessantottino, sia pure vissuto alla sua maniera con l’inseparabile papillon, si era presto affrancato dagli stilemi ideologici e sociologici che inquinano l’estetica e rendono l’arte un manufatto sociale. Presentandolo a Torino all’ Unione Industriale con Giancarlo Bonzo,io parlai di lui come dell’Anti- Argan. Tanto intellettualistico quest’ultimo, tanto limpido e immediato fu Daverio. Fu straordinariamente efficace in televisione, dimostrando una comunicativa che neppure Alberto Angela possiede perché Daverio non si limitava a riportare giudizi di altri, ma aveva la cultura per esprimere valutazioni meditate e piacevoli insieme, colte e leggere, profonde e piacevoli.
Ma definendo lo così, volevo anche mettere in evidenza il suo spirito libero. Fece l’assessore a Milano con la Lega, ma non ci furono mai sbavature di parte nel suo lavoro di critico. Questo e’ il senso liberale del suo lavoro di studioso.
Quella definizione di Anti- Argan gli piacque e rimase venti minuti a dialogare con me, quasi congelando il tema che avrebbe dovuto trattare e poi affronto’ con ricchezza di argomenti e smagliante vivacità di toni.
I critici d’arte sono spesso criptici ed evanescenti nel linguaggio, Philippe invece amava la chiarezza cartesiana del linguaggio, impastato a volte da illuminazioni volteriane. Con la sua morte l’Italia perde uno dei suoi pochi intellettuali liberi e non conformisti, una merce rara, quasi introvabile.
E’ stato un chierico che non ha tradito. Era anche in termini biografici, oltre che spirituali un homo europeus, anzi un vir europeus.
La sua morte a poco più di 70 anni mi commuove. La sua intelligenza è stata troncata da un male contro cui ha saputo combattere con stoicismo e coraggio. Per dirla con Croce, la sua vita intera con la sua inesauribile vivacità e’ stata preparazione alla morte che non segnerà certo l’oblio di un impegno non effimero per la cultura e per l’arte mai disgiunte dall’amore per la libertà. Era uno spirito solare destinato a vincere la morte con la luce della sua liberissima intelligenza che gli sopravvive. Daverio verrà ricordato tra i grandi italiani – europei nati e vissuti a cavallo tra due secoli che non si sono lasciati sedurre dalle sirene delle ideologie presuntuose che volevano cambiare il mondo senza averlo prima studiato e conosciuto.
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