Con te non parlo perché sei fascista è stato un motto (o uno slogan?) alla moda in certi ambienti un po’ snob di certa sinistra italiana più salottiera e parolaia che non immersa nella realtà politico-sociale del Paese negli anni Settanta e dintorni. Io ho sempre considerato quel motto fascista nella sua essenza più nascosta. È infatti il fascismo che ha malauguratamente insegnato a tanti italiani che la politica sia qualcosa come una fede per la quale combattere. Per me la politica resta, comunque infelici e folli possano essere certi contesti storici, la più nobile di tutte le arti. Se a praticarla occorre un talento, questo va poi coltivato fino a una forma di saggezza che consenta di vedere un problema non appena questo si presenta e pensare a come risolverlo nel modo più rapido possibile, comunque tenendo d’occhio l’evolversi della situazione. Un problema infatti può nasconderne un altro ancora più urgente. Perché questo sia possibile è necessario, io credo, confrontarsi con tutti. Se per esempio si parla con dei fascisti, ascoltando anche quanto loro hanno da dire, si scopre che i fascismi sono tanti. Per darne un’idea si possono ridurre a tre diverse forme.

1. C’è il fascismo di chi ambisce al potere nella persuasione un po’ folle che chi ha il potere sia arrivato in cima a non si sa bene che cosa, ignorando come da quella cima si possa rotolare giù, facendosi più male di quanto accadde al prode Attilio Regolo, del quale, stando a un canto goliardico alquanto noto, sarebbe rimasto qualcosa di essenziale ma ormai inutile al poveretto. Per quanto grintoso possa essere, il potere ha sempre una sua precarietà.

2. C’è poi il fascismo dei segugi, pericoloso perché ingenuo e l’ingenuità consiste nel ritenere che finalmente c’è chi pensa a mettere le cose a posto, facendosi obbedire da tutti. Sennò sono dolori. È il fascismo degli eterni bambini me-ne-freghisti, che, malati di indifferenza cronica alla politica, demandano ad altri ogni responsabilità, ignorando totalmente le proprie.

3. C’è, infine – sempre per ridurre un lungo discorso all’essenziale – un fascismo che chiamerei estetico che riesce a catturare l’intelligenza di persone colte che subiscono il fascino di una propaganda troppo bene organizzata per sottrarsene, possibilmente perché in buona fede. È, per intendersi, il fascismo di Gabriele D’Annunzio, di Mario Sironi, pittore la cui grandezza è stata negata perché fascista; e di Ezra Pound il quale fu sicuramente uno dei più grandi poeti del Novecento.

Che l’attuale Presidente del Consiglio dei ministri non voglia “parlare” con Corrado Formigli, giornalista di Piazzapulita, dispiace proprio per il sospetto che il motto comunque fascista del “con te non parlo”, per quanto rigirato nel senso in questo caso più probabile, per cui la ragione sarebbe nell’essere Formigli un comunista (ma quanti sono stati e sono i “comunismi”?), resta tuttavia, a mio avviso, quel che è nella sua origine. Con questo non voglio insinuare che l’on. Giorgia Meloni sia fascista. Nel suo discorso di insediamento è stata, su questo punto assai chiara e bisogna pensare che la solennità del momento la inducesse a una sincerità né casuale, né superficiale. Intendo dire, sempre a mio avviso e salvo mio errore, che in quest’occasione particolare l’atteggiamento assunto denuncia una mentalità di tipo, per parlare alla Benedetto Croce, fascistico.

Mi auguro perciò che di questo lapsus la Presidente del Consiglio sappia fare le giuste valutazioni. Capita a tutti di incappare in una pietra di inciampo!