Quella a cui ho assistito nella Sala Rossa del Comune di Torino giovedì scorso non è stata una semplice rievocazione di Bobbio da parte di Gustavo Zagrebelsky, ma un qualcosa di assai più importante. L’insigne giurista mi ha fatto quasi rivivere Bobbio sul piano filosofico, culturale ed anche umano e persino emotivo. La sua lunga lectio magistralis, in parte scritta e in parte improvvisata, ha reso molto bene la personalità del filosofo torinese di cui altri hanno cercato, nei giorni scorsi, di appropriarsi miseramente con ricordi personali di cui non c’era assolutamente bisogno. Dopo vent’anni occorreva ed occorre una riflessione critica su Bobbio che Zagrebelsky ha saputo avviare in modo davvero magistrale nel solco del Bobbio migliore quale io lo ricordo. Dalla sua lezione balza evidente il filosofo delle dicotomie e degli aut -aut e l’intellettuale militante, per riprendere la definizione che Bobbio diede di Carlo Cattaneo. Zagrebelsky ha apprezzato soprattutto questo aspetto del filosofo torinese più vicino al suo impegno civile , ma non ha tralasciato di ricordare il Bobbio che detesta i fanatici, che solleva dubbi più che raccogliere certezze, che riconosce la necessità anche di parlare di doveri oltre che di diritti. Zagrebelsky ha ricordato le virtù del laico: rigore critico, dubbio metodico, moderazione, tolleranza, rispetto per le idee degli altri. Ed ha aggiunto che queste virtù sono dei difetti per i dogmatici. Una considerazione che vale anche per chi ha suonato per decenni il piffero per la rivoluzione. L’oratore ha anche ricordato l’ultimo Bobbio che privilegiava gli affetti rispetto agli amatissimi concetti. È stato un po’ penoso ascoltare un allievo di Bobbio suggerire all’improvviso una data al relatore, come mi è parso triste sentire parafrasare una frase di Bobbio che parlava di “Torino città più crociana d’Italia”, sostenendo che essa è la più positivista e dimenticando totalmente il debito che Bobbio riconobbe sempre verso Croce. Il Bobbio che veniva al “Pannunzio “era quello che parlava di Croce, di Benda, dei chierici che non tradiscono, del difficile e conflittuale rapporto tra politica e cultura, della inconciliabilità tra comunismo e democrazia, dell’aborto come delicato problema di coscienza, distinguendo tra laicità e laicismo, quasi una dicotomia. Anche se il nome di Croce non è mai risuonato l’altra sera, io ho riscontrato nella probità intellettuale, nell’ironia , nell’ampiezza articolata del ragionamento in Zagrebelsky un chierico che non ha tradito e mi è sembrato per un attimo di non essere più nella bella Sala Rossa torinese, ma nelle stanze di Palazzo Filomarino a Napoli dove Croce trovò “pace domestica e invincibile virtù per la ricerca del vero, per la difesa della libertà”. Sono parole che anche in via Sacchi 66, dove Bobbio è vissuto, potrebbero essere riprese.
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