Sul finire degli anni ’70, più precisamente con la legge 833 del 1978, venne istituito il servizio sanitario pubblico nazionale. In seguito a quella che, a buon diritto, è ricordata come la vera e grande riforma sanitaria italiana, cominciarono a circolare una marea di piani sanitari regionali e locali infarciti di frasi ripetitive, roboanti e ,come capita spesso, incomprensibili ai più. Due professori dotati di uno spiccato senso dell’ironia, ribellandosi a quest’alluvione di parole e frasi inutili, inventarono il Gaps, acronimo che stava per Generatore Automatico Piani Sanitari. Il professor Marco Marchi dell’Istituto di Biostatistica ed Epidemiologia dell’Università di Pisa e il prof. Piero Morosini, direttore di laboratorio dell’Istituto Superiore di Sanità, grazie alla notizia di quella loro “invenzione” si guadagnarono la prima pagina del Corriere della Sera. La Tecnogiocattoli Sebino, ditta bresciana operante nella zona del Franciacorta, famosa per aver prodotto il famoso bambolotto Cicciobello (al quale si aggiunsero i suoi fratelli multietnici: Cicciobello Angelo nero e Cicciobello Ciao-Fiù-Lin, dai tratti somatici tipicamente orientali) li contattò all’inizio degli anni ’80 per sviluppare l’idea e dar vita al Tubolario, riadattando le frasi del Gaps, sostituendo i termini e i riferimenti squisitamente sanitari con la finalità di proporlo in un linguaggio più vario. La confezione che venne messa in vendita (su licenza dei due inventori) consisteva in una scatola contenente tre tubi dedicati ad altrettanti temi: il linguaggio politico-sindacale, le frasi d’amore e un gergo sportivo (riferito essenzialmente al mondo del calcio). Di quei “tubolari” ne furono vendute migliaia di copie. In seguito, anche per problemi legati alla corresponsione dei diritti d’autore (che furono negati a Marchi e Morosini per l’uso collaterale del tubo quale contenitore di cioccolatini) il rapporto con la fabbrica di giocattoli di Cologne si concluse senza lo sviluppo di altre versioni del gioco, com’era nelle intenzioni originarie. Durò quindi poco la storia, ironica e dissacrante, del Tubolario, gioco intelligente che prendeva di mira l’abitudine assai diffusa di esprimersi per frasi fatte, luoghi comuni e altre forme più o meno omologate di discorso che caratterizzano ancora oggi il linguaggio specialistico di politici, giornalisti e altri personaggi che, spesso, giocano con le parole per comunicare senza dire niente che possa comprometterli. Un esempio? Prendiamo una frase del Tubolario dedicato al politichese e sindacalese: “L’indicazione della base/ persegue/ il ribaltamento della logica preesistente/in una visione organica e ricondotta a unità /evidenziando ed esplicitando /in termini di efficacia e di efficienza / l’adozione di una metodologia differenziata”. Non male, vero? Un’altra? Eccola : “Il nuovo soggetto sociale/ presuppone/ un organico collegamento interdisciplinare/con criteri non dirigistici/ fattualizzando e concretizzando/nei tempi brevi, anzi brevissimi/un indispensabile salto di qualità”. Le frasi, organizzate sotto forma di un discorso dall’apparenza logica, di fatto non esprimevano un bel niente, ma davano la sensazione di volerlo fare. Il Tubolario era realizzato con l’uso di una settantina di brevi periodi stampati su sette cilindri rotanti e consentiva, a chi avesse deciso di utilizzarlo, di improvvisare un numero imprecisato di frasi ad effetto, senza mai dire nulla di concreto. Nonostante sia ormai diventato un oggetto di culto, piuttosto difficile da trovare, ascoltando alcuni dei protagonisti dei talk show televisivi (termine di lingua inglese che significa, tanto per essere pignoli, “spettacolo di conversazione o programma di parole”), parrebbe che non sia stato relegato nel baule dei ricordi ma venga tutt’ora usato con una certa disinvoltura.
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