Concetto Marchesi, latinista insigne, Rettore dell’Università di Padova, antifascista, parlamentare. Il suo nome è tra quelli destinati a rimanere, anche se gli anni che ci separano dalla sua morte sembrano molti di più. Fino agli Anni Settanta in parecchie antologie scolastiche era riportato l’appello agli studenti padovani che Marchesi scrisse nel novembre del 1943, dopo essersi dimesso da Rettore in seguito all’insediamento della Repubblica sociale italiana. In quel messaggio – oggi quasi ignorato – egli invitava gli universitari «a liberare l’Italia dall’ignominia» fascista (il tono è quello solenne dell’ultimo capitolo del Principe del Machiavelli), unendosi alla gioventù contadina e operaia «per rifare la storia d’Italia». Il suo impegno sociale e civile non nasceva con la Resistenza, ma aveva radici lontane e profonde nella sua prima giovinezza, quando aveva scoperto il mondo degli umili e dei diseredati della Sicilia in cui era nato. A quindici anni aveva infatti subìto il primo arresto, nel 1893 era già un militante socialista e fin dal 1921 aveva aderito al Partito Comunista di cui, nel dopoguerra, sarà deputato alla Costituente nelle prime due legislature repubblicane. Malgrado il suo intenso impegno politico, oggi ci appare uno studioso diverso rispetto all’intellettuale “organico” inteso nel suo significato gramsciano. Non solo Marchesi, come ricordò il segretario del Pci, Alessandro Natta, «non fece mai professione di marxismo nella sua opera di filologo e di storico della letteratura latina», ma seppe anche esprimere una costante autonomia di giudizio, mai disgiunta, per altro, da una incrollabile fede nei suoi princìpi ideali. Sono sufficienti tre esempi per capire il senso della battaglia politica di Marchesi. Nutrì forti dubbi sulla inclusione dei Patti Lateranensi nell’art. 7 della Costituzione, ritenendola lesiva della laicità dello Stato e della stessa libertà della Chiesa cattolica; infatti, alla Costituente suscitò scalpore la sua assenza alla votazione finale di quell’articolo, malgrado il pronunciamento favorevole di Togliatti. Nel discorso che tenne all’VIII Congresso del Pci difese, andando controcorrente, l’Urss di Stalin contro la denuncia, rivelatrice delle degenerazioni del suo predecessore, fatta da Chruščëv al XX Congresso del Partito comunista sovietico. La sua era una posizione inaccettabile e sbagliata, ma ci volle coraggio a schierarsi contro lo stesso Togliatti. Nei confronti di chi era favorevole a cancellare lo studio del latino dalle nostre scuole, Marchesi mantenne una posizione intransigente che non gli derivava solo dal fatto di aver dedicato la vita agli studi umanistici. Scriveva su “Rinascita” nel 1956: «Rispettiamo la scuola classica: essa ha custodito il patrimonio della nostra cultura, che fu cultura dei massimi nostri scrittori e scienziati, che fu cultura di Marx e di Engels, di Antonio Labriola e di Gramsci». Come latinista Concetto Marchesi realizzò un lavoro di revisione critica profondamente innovativo: infatti spostò l’attenzione sugli autori dell’età imperiale (Seneca, Petronio e Tacito) e volle intravedere un legame di continuità tra la letteratura latina e quella cristiana in lingua latina. Quest’ultimo punto, oggi ampiamente accettato, resta tuttavia in parte assai discutibile, poiché tra le due letterature esistono forti elementi di frattura che non andrebbero sottovalutati. Marchesi va anche ricordato come uomo, un uomo intero, totalmente lontano da certe borie accademiche e da certi moralismi conformistici. Mi colpì molto, anni fa, a questo proposito, un suo pezzo sulle “case chiuse” in cui egli raccontava senza falsi pudori che, giovane professore a Firenze, si recava in una casa di tolleranza nella quale conobbe «una giovinetta di Bordeaux […] con quell’appassito sul volto proprio delle donne, anche adolescenti, che offrono il corpo a tutti senza essere di nessuno». A Marchesi venne l’idea di condurla via per qualche ora a «correre per la campagna, a sedere sotto la pergola e a mangiare i pesci dell’Arno e la bistecca fiorentina». Poiché la tenutaria si rifiutava di concedere un po’ di libertà alla giovane, egli aggirò l’ostacolo pagandole 60 lire, un terzo del suo stipendio da insegnante. E la ragazza, almeno per quel giorno, come egli scrive testualmente, «fu felice e castissima». Al di là delle opinioni e delle tesi critiche sostenute nella sua ampia produzione di studioso, Concetto Marchesi resta un maestro di umanità senza aggettivi, un uomo di sentimenti raffinati e gentili che ancora oggi ha qualcosa da insegnarci. Il suo nome va collegato a quello di Manara Valgimigli: Marchesi insegnava Letteratura Latina e Valgimigli, il mitico allievo del Carducci, Letteratura Greca. «Diversi per carattere, origini, nascita e vita famigliare, – ha scritto una loro allieva, Bice de Munari Bortoli – erano però legati da una umana e profondissima stima ed amicizia reciproca», come avveniva nei vecchi Atenei italiani, di cui il Bo di Padova era la punta di diamante. Sempre la sua allieva racconta un episodio che può far comprendere ulteriormente la sensibilità umana e il coraggio di Marchesi: malgrado le leggi razziali del ‘38, egli diede infatti all’italianista Attilio Momigliano «una pericolosa ospitalità», di cui fu testimone oculare l’allieva. Era un docente scrupolosissimo: «Il professore – scrive ancora l’allieva, nel frattempo divenuta sua assistente – nelle due ore che precedevano la sua lezione, non doveva essere assolutamente disturbato. La preparazione era compiuta da settimane e mesi precedenti, ma la concentrazione a lui necessaria per le sue lezioni non doveva essere rotta da interventi estranei a quel suo impegno educativo». Venne accusato di aver istigato all’omicidio di Giovanni Gentile (che egli attaccò duramente in una lettera aperta del 1944, quando il filosofo propose un’impossibile “riconciliazione” tra italiani), un assassinio che resta una macchia della Resistenza fiorentina, la cui responsabilità ricadde sui comunisti. La frase istigatrice non era però opera di Marchesi, ma venne aggiunta da Girolamo Li Causi, alto esponente del Pci nazionale e siciliano, come fu accertato successivamente in modo inconfutabile. Di fronte alla tragedia degli infoibati, che i comunisti negavano, lui comunista propose la laurea honoris causa all’Università di Padova per la sua allieva di origine istriana Norma Cossetto, selvaggiamente torturata, violentata e gettata in una foiba da partigiani comunisti jugoslavi. Marchesi uomo, studioso, politico non hanno mai combaciato. Come mi disse una volta Bobbio, che gli era stato collega a Padova, Marchesi, dimostrò interesse per le opere di Sant’Agostino e dialogò con don Primo Mazzolari. Fu in contatto con Adriano Olivetti con cui avrebbe dovuto pubblicare un’opera sui Padri della Chiesa. Ritenne sempre di dover mantenere in qualche modo, e per quanto possibile nel Pci, separati i conti della cultura e quelli della politica. Impresa così difficile che lo avrebbe portato all’emarginazione, se non fosse morto l’anno dopo l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Urss nel 1956.
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