Il libro -intervista del giornalista Italo Bocchino edito da Solferino ha suscitato un certo dibattito sui temi indicati nel titolo: “Perché l’Italia è di destra”.
In effetti l’argomento può suscitare un certo Interesse, anche se la maggioranza attuale che governa, non è così interessata alla cultura che non appare una priorità. Vengono in mente inevitabilmente due autori del passato che diedero un contributo alle definizione di valori conservatori o addirittura reazionari, oggi dimenticati. In primis andrebbe citato il “Manifesto dei conservatori” del 1972, opera di Giuseppe Prezzolini, autore di primaria grandezza nell’arco di quasi tutto il Novecento. E poi bisognerebbe ricordare il filosofo marxista Armando Plebe, accademico dell’Universita’ di Palermo che pubblicò molti suoi libri con Laterza che presentò il giovane studioso di Alessandria a Benedetto Croce, il quale apprezzò il suo inizio negli studi filosofici. Plebe cambiò orientamento di fronte al ‘68, come molti altri professori, scrivendo addirittura un manifesto in cui si evocava la parola reazione e si candidò nello stesso 1972 nel Movimento sociale italiano, risultando eletto a Torino. Il manifesto di Prezzolini suscitò un discreto interesse ,anche se le idee da lui divulgate apparvero non un qualcosa di ideologicamente corposo capace di contrapporsi alla vulgata dell’antifascismo di cui aveva iniziato a parlare Renzo De Felice , ma fu un insieme di brillanti intuizioni non destinate a incidere più di tanto sul piano intellettuale. Ho conosciuto personalmente Prezzolini a Lugano dove andai ad intervistarlo su Gobetti che lui aveva assistito morente a Parigi nel 1926. Prezzolini, che fu anche amico di Mussolini, fu afascista e creò la “societa degli Apoti“ , cioè di coloro che non la bevono. Questo afascismo gli fu imputato come una colpa, mentre va ricordato soprattutto il rapido allineamento al regime di tanti uomini di cultura, in primis Pirandello che chiese la tessera al duce subito dopo il delitto Matteotti. Nel 1925 ci furono il Manifesto degli intellettuali fascisti di Gentile e quello degli intellettuali antifascisti di Croce, due amici che si divisero nella scelta tra fascismo e antifascismo in modo netto. L’idea più importante di Prezzolini era strettamente legata a Machiavelli e al realismo politico in antitesi alle utopie ideologiche della contestazione e a quelle altrettanto astratte del giovane torinese propugnatore di una “rivoluzione liberale“ che appariva nel suo confuso pensiero non in antitesi con quella bolscevica in Russia . A parte l’evidente ossimoro tra le parole rivoluzione e liberale, come notò Carlo Dionisitti.
In termini positivi il manifesto dei conservatori non proponeva nulla di nuovo, anzi ribadiva il tradizionalismo del passato come una sicurezza per il presente e anche per il futuro che veniva considerato un’avventura pericolosa.Rispetto a Gramsci e Gobetti Prezzolini si schierò anche a difesa del Risorgimento che aveva realizzato l’unità nazionale, un progetto che ebbe il moderato Cavour e il repubblicano Mazzini tra i suoi artefici. Era un’idea troppo lontana per dare un’anima al rifiuto del ‘68 che sul versante liberale e laico – democratico uomini come Rosario Romeo e Franco Venturi avevano avuto il coraggio di esprimere, subendo le ire e le scomuniche dei contestatori. Neppure l’ex fascista poi convertito in tarda età al liberalismo, il filosofo Nicola Abbagnano, fu capace di proporre qualche riflessione non banale su una cultura non succuba alla sinistra, limitandosi a collaborare al settimanale “Gente“, una scelta popolare , ma non certo significativa che oscurò la sua fama di filosofo dell’esistenzialismo italiano.
Molto importante fu la presa di posizione contro la contestazione dei figli di papà borghesi assunta con coraggio da Pier Paolo Pasolini che si era già distaccato dall’iniziale adesione al PCI che non fu mai acritica e supina come quella degli intellettuali “organici” gramsciani.Forse essa appare oggi la più difficile e anche la più controcorrente. Plebe diede come Prezzolini il suo contributo ad una cultura di destra che in lui diventò apologia della reazione. Dopo l’elezione nelle liste missine Plebe ebbe qualche ripensamento, mitigando le sue scelte. Anche lui come Prezzolini fu un irregolare: smarrito per strada il marxismo e superato l’entusiasmo per il MSI, giunse persino a richiedere l’iscrizione ai radicali che gliela rifiutarono.
Plebe ebbe il merito di non accodarsi al sinistrismo prevalente e fu capace di non aderire come altri intellettuali marxisti a “Lotta continua“ che portò al manifesto del 1971, quello che armò tragicamente la mano agli assassini del commissario Calabresi. Anche in questo caso un altro manifesto, sicuramente il più indegno che raccolse 757 firme: alcuni dei firmatari come Bobbio tardivamente si vergognarono della loro adesione mentre altri,come Giorgio Amendola, il sostenitore della strage di via Rasella realizzata dai Gap comunisti non ebbero ripensamenti di sorta. La storia italiana è costellata di manifesti che per lo più non fecero onore ai loro firmatari e rivelarono un intellettualume che fece emergere soprattutto una cupidigia di servilismo durante il Ventennio che divenne asservimento all’egemonia gramsciana e allo stalinismo dopo la caduta del regime. Nelle elezioni del 1948 il fronte popolare social- comunista venne sostenuto da un manifesto che ebbe la firma tra gli altri di Luigi Russo. Solo pochi seguirono Pannunzio e Silone nell’associazione della difesa della libertà della cultura che denunciò su versante liberale quanto sostenuto da Giovannini Guareschi sul suo “ Candido”.
Il libro di Bocchino apre una discussione , ma è ben lontano dal chiuderla. Per acquisire il potere anche per via democratica non occorre grande dispendio di risorse culturali, ma per mantenerlo e’ necessario invece riuscire a sedimentare un messaggio culturale. Gentile a suo modo e con tutti i suoi limiti -che lo portarono a vedere nel fascismo il coronamento del Risorgimento – riuscì a dare un’anima intellettuale al fascismo senza eguali mentre invece Bottai fu molto meno significativo del filosofo di Castelvetrano. Oggi i tempi sono cambiati e sarebbe fuori luogo nutrire una nostalgia gentiliana che non ebbe neppure Plebe. Ma la mancanza di alcune certezze ideali appare piuttosto evidente . Per altri versi , una sinistra che si esaurisce nell’antifascismo , rivela anche una fragilità che forse sarebbe piaciuta al Vattimo del pensiero debole, scambiato per laicismo. Se rileggessimo il libretto “Destra e sinistra“ di Norberto Bobbio ci accorgeremmo della estrema difficoltà nel riconoscere oggi le distinzioni e le antinomie sostenute dal filosofo torinese. Anche qui quasi un altro manifesto che non portò fortuna alla sinistra e che – errore clamoroso -identificò la destra con una scelta di libertà che in qualche modo la leggitimo’, come vide subito Vittorio Foa, depurandola, almeno in parte, dalla scomoda eredità fascista. In ogni caso ogni discorso che evochi un’egemonia di destra appare fuori luogo e totalmente immotivato perché quel termine appartiene esclusivamente all’armamentario ideologico della sinistra.