Salvador Dalí (1904–1989), genio catalano del Surrealismo, fu artista totale: pittore, scultore, illustratore, cineasta, designer. È celebre per la sua tecnica impeccabile, l’immaginario onirico e il celebre “metodo paranoico-critico”, che gli permetteva di generare immagini disturbanti e ambigue, tra allucinazione e razionalità. Il suo legame con l’Italia fu intenso e spesso controverso. Collaborò con registi e scenografi italiani, come Luchino Visconti, e fu coinvolto in progetti teatrali e cinematografici. Ma fu con Dante Alighieri che si intrecciò il rapporto più profondo e travagliato: un incontro tra due visioni dell’umano – una medievale, l’altra psicoanalitica – che si trasformò in una delle operazioni artistiche più audaci del Novecento. Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60, infatti, il governo italiano commissionò a Dalí la realizzazione di 100 illustrazioni della Divina Commedia, da pubblicare nel 1965, per celebrare i 700 anni dalla nascita del Sommo Poeta. La scelta suscitò immediatamente una polemica nazionale: perché affidare a un artista spagnolo, e per di più surrealista, il simbolo massimo della cultura italiana? Mentre la politica si divideva e gli artisti protestavano, Dalí lavorava. In quattro anni dipinse instancabilmente le sue 100 tavole (una per ogni canto), innamorandosi sempre di più dell’opera di Dante, fino quasi all’ossessione. Le illustrazioni furono presentate per la prima volta il 14 maggio 1954 a Palazzo Pallavicini Rospigliosi, a Roma. Le polemiche però continuarono, e con un cambio di governo la commissione venne ufficialmente revocata. Dalí, quindi, tornò in possesso delle tavole e le vendette all’editore francese Joseph Forêt, che le pubblicò nel 1960 col titolo “100 Aquarelles pour la Divine Comédie de Dante Alighieri par Salvador Dalí”. Ma l’Italia non rinunciò del tutto: Milko Skofic, produttore cinematografico e all’epoca marito di Gina Lollobrigida, acquistò i diritti e nel 1963 pubblicò l’opera in sei volumi (due per cantica) in un’edizione preziosa e rara, dal valore collezionistico altissimo. Dalí non si limita a illustrare Dante: lo traduce nel proprio linguaggio. Non usa i colori canonici (niente rosso per l’Inferno, né azzurro per il Paradiso), ma scava nel significato emotivo di ogni canto. Le scene scelte non sono quelle più note: non compaiono nemmeno Paolo e Francesca, ai quali Dalí preferisce Achille e Polissena. Niente tenebre o fuoco nell’inferno, ma luce mediterranea accecante e paesaggi desertici, simili a quelli della sua nativa Catalogna. È uno spazio interiore, in cui il dolore non è gridato, ma silenzioso e metafisico.  Nel Purgatorio Dalí si concentra su figure isolate, immerse in paesaggi aridi e rocciosi, opposti alla coralità dei canti danteschi. Le anime portano corpi pesanti, carnosi, segnati dalla fatica e dalla tensione verso la redenzione. L’artista traduce graficamente la lotta interiore contro i vizi, con simboli come l’angelo caduto, che apre il percorso come una visione inquietante.  Nel Paradiso Dalí cambia registro. Le forme si fanno leggere, eteree, quasi trasparenti. Le figure levitano, sospese in uno spazio senza gravità. Il Paradiso non è un luogo. Come disse lo stesso artista, “Il Paradiso non sta né sopra né sotto, né a destra né a sinistra, ma esattamente al centro del petto dell’uomo che ha fede.” In una delle tavole più suggestive, Dante appare affaticato: il cammino lo ha trasformato. L’artista catalano proietta se stesso nei canti danteschi, e il risultato è una Commedia intima e spirituale. Una visione nuova che non chiede di essere compresa razionalmente, ma emotivamente. Come Dante trasforma la parola in suono e in immagine, Dalí trasforma l’immagine in emozione. L’opera di Dalí su Dante è il frutto di un incontro tra due menti visionarie, due viaggiatori dell’anima separati da secoli, ma uniti da una stessa urgenza: rappresentare l’invisibile. In un’epoca in cui l’arte rischia spesso di diventare superficie, questo lavoro ci ricorda che la grande arte è profondità, rischio e verità. E che il genio — quello vero — è sempre capace di parlare al cuore dell’uomo. Ieri come oggi.