Via, nella verde pampa interminabile, Anita, inclita figlia della foresta, indomita corre, seguita da un’orda barbarica: muta di cani urlanti dietro snidata cervia. (Oh bello al lume della luna argenteo veder su l’alta sella la giovinetta amazzone! [G. Targioni Tozzetti, MENOTTI GARIBALDI. Ode]
Anita – Ana Maria De Jesus Ribeiro da Silva, nata in Brasile, nei pressi di Laguna, in data non precisata e in seguito fissata dalla sua città al 30 agosto 1821, fu una donna formidabile. Di umili origini, a soli quattordici anni fu costretta a sposare un certo Manuel Duarte De Aguilar, uomo molto più anziano di lei, quando nell’agosto 1839 incontrò Giuseppe Garibaldi, il quale se ne innamorò perdutamente.
Pochi mesi dopo, era imbarcata nella nave con l’eroe e da allora, per dieci anni, condivise con lui un’inquieta e perigliosa vita. Nel 1842, alla notizia della morte del Duarte, i due si sposarono a Montevideo.
Così la descrisse l’eroe:
“ Non meno fervida di me per la sacrosanta causa dei popoli e per una vita avventurosa ”.
Quando nel 1849 Garibaldi raggiunse Roma, per predisporre le difese della città contro l’imminente attacco francese, non la volle con sé, a dispetto delle di lei rimostranze, per non esporla a troppi pericoli. La giovane lo raggiunse solo a giugno, proprio sul finire di quel sogno chiamato Repubblica Romana, combattendo con grande generosità e libertà una guerra non sua, in una terra nella quale non era nata.
G. v. Hoffstetter scrisse di lei:
“ Era una donna di circa ventotto anni, di carnagione molto scura e lineamenti interessanti; snella e delicata nella persona. A prima vista si riconosceva l’amazzone in lei. Quella sera durante il pranzo a cui il generale mi aveva invitato, ebbi agio di notare tutta la tenerezza ed attenzione con cui egli trattava sua moglie ”.
Proprio quest’anno la ricordiamo in occasione del bicentenario della sua nascita. Anita morì per seguire suo marito, che amava fino alla morte, lasciando quattro figli: Domenico, meglio noto come Menotti nato nel 1840; Teresita nel 1845; Ricciotti nel 1847. Rosita, nata nel 1843, visse solo due anni.
Il 2 luglio 1849, Garibaldi dovette abbandonare Roma. Sua moglie, sofferente ed al quarto mese di gravidanza, vestita da uomo in uniforme da ufficiale della legione, cavalcava al fianco di suo marito. La drammatica ritirata, i pericoli e le privazioni d’ogni genere, compromisero definitivamente le condizioni della giovane donna, che giunse, allo stremo delle forze, alla fattoria Guiccioli alle Mandriole. Erano le 19.45 del 4 agosto 1849 quando Anita si spense, gettando Garibaldi nella disperazione. Il corpo fu sepolto semplicemente e velocemente nella sabbia, nella vicina “motta della Pastorara”, per evitare che le pattuglie scoprissero il loro passaggio. Sei giorni più tardi la salma fu casualmente scoperta da un gruppo di ragazzini e trasferita al cimitero di Mandriole. Solo dieci anni più tardi, di ritorno dall’esilio, l’eroe andrà a prendere i suoi resti mortali per seppellirla a Nizza, vicino alla madre. Infine, il 2 dicembre 1932, con un treno speciale, i suoi resti vennero traslati a Roma, dove furono definitivamente deposti nel basamento del monumento equestre eretto in suo onore al Gianicolo.
Morte di Anita (Museo Risorgimento Comune di Genova)
È stata tramandata alla storia per essere una grandissima eroina e madre dolcissima, come la descrisse Menotti. Una donna completa: madre, moglie, amante, compagna delle battaglie, grande donna, della quale in fondo si sa ancora poco, contrariamente a Giuseppe, del quale si è scritto moltissimo. Anita, proveniente da un paese lontano, passata come una specie di ombra nella nostra storia, morì per tutti noi.
Grazie alla generosità e all’ospitalità della sua pronipote Costanza Ravizza Garibaldi, nella tenuta Ravizza Garibaldi di Carano, ho avuto di recente l’onore di osservare e toccar con mano alcuni preziosissimi cimeli di famiglia, fra i quali un piatto, con il quale provarono a darle da mangiare per l’ultima volta, alla Fattoria Guiccioli. In seguito, nel piatto vi fu sparato dentro, come si può vedere dall’immagine, perché non potesse mangiarci più nessuno. Questa reliquia fu poi consegnata, anni dopo la morte dell’eroina, a Giuseppe, Menotti e sua sorella Teresita, quando tornarono a riprendersi il corpo della madre.
Il monumento al Gianicolo, realizzato dallo scultore Mario Rutelli, raffigura la donna a cavallo, con i lunghi capelli sciolti, mentre stringe al seno uno dei suoi figli, il piccolo Menotti, e punta in alto una pistola, ricordando la drammatica fuga del 1840 presso il Rio Grande, quando la donna, appena partorito, vestita di sola camicia e con in braccio il figlio, aveva affrontato una furiosa cavalcata tra boschi e burroni, per sfuggire alle truppe imperiali che non davano tregua a lei ed al marito.
Un esempio di vita per tutti noi, di grande dedizione, amore per la libertà, forza, coraggio