Come sempre accade in Italia, alla morte di un «nababbo» si apre il dibattito su quanto sono fortunati i suoi eredi e sulla necessità perequativa di imporre pesanti aliquote per redistribuire la ricchezza in una logica egualitaria. Segue immediata levata di scudi da parte di chi sostiene che la «tassa» di successione sia un furto.
Proviamo a fare chiarezza. In primo luogo quella di successione non è una tassa ma un’imposta. La differenza dovrebbe essere nota: la tassa è un pagamento a fronte di un servizio erogato che si suppone essere coperto dai proventi della tassa, pagati in modo proporzionato agli utilizzi del servizio (es. Tari è a fronte del servizio di raccolta dei rifiuti) l’imposta è un pagamento forzato, imposto, che contribuisce a creare il gettito complessivo dello Stato.
L’imposta di successione colpisce quindi i risparmi accumulati nella vita da un cittadino e taglia il beneficio dei suoi eredi, in primis coniuge e figli. Vale la pena di notare che detti risparmi derivano da redditi o guadagni che, se ottenuti lecitamente, erano già stati tassati. In questo senso sarebbe una doppia tassazione sugli stessi danari. Non solo: immaginiamo che ci siano due fratelli, con pari istruzione e reddito da lavoro dipendente (quindi senza possibilità di evasione fiscale), il primo ha famiglia, conduce una vita modesta e risparmia il 20% dello stipendio per garantire possibilità ed un futuro migliore ai figli; il secondo si gode bellamente la vita e liberamente spende tutto. La vecchia storia della cicala e della formica, dove l’imposta di successione punisce la formica, decurtando i sacrifici che il padre, ma anche i bambini, hanno fatto. Quale sarebbe la morale della Repubblica Italiana, godersela come se ogni giorno fosse l’ultimo? Eppure il codice civile parla esplicitamente del buon padre di famiglia come di un concetto giuridico consolidato. Poi, per cortesia, non si venga a citare, a sproposito, la parabola del figliol prodigo, il cui senso sta, appunto, nella maturata consapevolezza che l’essere prodigo è sbagliato: il figlio torna per comportarsi come il fratello, per questo si festeggia sacrificando il vitello grasso, non certo perché ha in animo di continuare a sperperare come prima.
C’è chi, per ideologia egualitarista, vorrebbe aliquote molto alte, per fare dell’imposta di successione lo strumento redistributivo per antonomasia. Immaginiamo che l’imposta sia del 50%. Ogni volta che un anziano lascia un alloggio ai figli questi lo devono ripagare al 50%: non potendoselo permettere o lo mettono in vendita o diventa proprietà dello Stato al 50%. Il che significa che in capo ad un paio di generazioni l’intero patrimonio immobiliare italiano, ma anche tutte le imprese, diventerebbero proprietà dello Stato: una bella scorciatoia per realizzare il socialismo reale senza nemmeno sporcarsi le mani a fare la rivoluzione proletaria! Si capisce bene per quale motivo qualche nipotino di Stalin spinga in questa direzione.
In effetti la legge italiana, che riporto dal sito dell’Agenzia delle entrate, è alquanto equilibrata perché tiene già conto delle varie posizioni.
Le aliquote e le franchigie stabilite per l’imposta sulle successioni e donazioni sono state previste dall’articolo 2, comma 48, del D.L. n. 262 del 2006.
In particolare, vengono applicate le aliquote:
- del 4%, per i trasferimenti effettuati in favore del coniuge o di parenti in linea retta (ascendenti e discendenti) da applicare sul valore complessivo netto, eccedente per ciascun beneficiario, la quota di 1 milione di euro;
- del 6%, per i trasferimenti in favore di fratelli o sorelle da applicare sul valore complessivo netto, eccedente per ciascun beneficiario, 100.000 euro;
- del 6%, per i trasferimenti in favore di altri parenti fino al quarto grado, degli affini in linea collaterale fino al terzo grado, da applicare sul valore complessivo netto trasferito, senza applicazione di alcuna franchigia;
- dell’8%, per i trasferimenti in favore di tutti gli altri soggetti da applicare sul valore complessivo netto trasferito, senza applicazione di alcuna franchigia.
Oltre alle franchigie di 100.000 euro e di 1 milione di euro, vi è una ulteriore franchigia, pari ad 1,5 milioni di euro, per i trasferimenti effettuati in favore di soggetti portatori di handicap, riconosciuto grave ai sensi della legge n. 104 del 1992.
Innanzitutto l’imposta esiste (e si potrebbe anche pensare di abolirla del tutto), a beneficio dell’idea collettiva di redistribuzione. La franchigia di un milione di euro, controvalore di un appartamento di 100mq a Milano, matte al riparo i risparmi del buon padre di famiglia fino alla classe media (anche qualcosa in più), nei confronti degli eredi diretti. All’aumentare della distanza degli eredi dal deceduto, la franchigia si riduce fino ad azzerarsi e si alzano le aliquote.
Si può discutere fino alla morte se sia opportuno ridurre o alzare le franchigie e le aliquote, magari per scaglioni di beneficio; rimane il fatto che se si vuole fare una politica redistributiva sarebbe meglio intervenire alla fonte, direttamente sui redditi (aliquote IRPEF) e sul welfare. Se poi si ritiene, popolarmente, che i patrimoni siano il frutto di mera evasione fiscale, la risposta è contrastarla là dove si genera, non andando a colpire il risparmio.