Romano Prodi, ha dichiarato l’economista Giulio Sapelli al Foglio (La revoca delle concessioni è un errore, ora una terza via tra liberismo e statalismo 14 luglio 2020) «ha distrutto l’Iri, svendendo l’impresa pubblica. Spesso la storia non insegna niente agli uomini, perché si dimentica in fretta, ma la storiografia sì. Ed esistono molti libri seri che spiegano il disastro di Prodi all’Iri». Lo aveva già detto Antonio Venier, un tecnico vicino a Craxi, ma il suo libro, Il disastro di una nazione, non trovò un editore ‘rispettabile’ e pertanto dovette essere pubblicato da un editore della destra radicale, AR, nel 2000 con prefazione dello stesso Craxi. Giuliano Amato, con il Titolo V della Costituzione—da lui voluto per ottenere i voti di Umberto Bossi, quello che dichiarava di servirsi della bandiera italiana per pulirsi il c..—ha dato una picconata decisiva all’unità italiana, creando un guazzabuglio di competenze sovrapposte tra Stato (retrocesso a componente della Repubblica, con regioni e città…) e regioni. Ebbene entrambi accarezzano ora l’idea di succedere a Sergio Mattarella. Il primo fa  dichiarazioni distensive sul suo arcinemico Silvio Berlusconi, il secondo, in un’intervista al ‘Dubbio’, si presenta come il fautore di una concordia nazionale da ricostruirsi.

In un paese civile, dell’uno e dell’altro non si sarebbe sentito parlare da un pezzo. In Italia, invece, restano prestigiose ‘risorse della Repubblica’. Da noi gli errori vengono sempre condonati giacché non abbiamo una ‘classe dirigente’ ma una ‘casta dirigente’. Quando si parla di democrazie malate non ci si dovrebbe solo riferire alle ‘sfide populiste’ ma anche, se non soprattutto, alla regola che impone agli autori di una politica sbagliata di mettersi da parte. Ma diventeremo mai un paese normale?

Dino Cofrancesco (dino@dinocofrancesco.it)

Professore Emerito di Storia delle dottrine politiche, Università di Genova