Il 14 dicembre sono passati del tutto inosservati i trent’anni dalla morte di uno dei maggiori storici italiani ed europei del secolo scorso, il torinese Franco Venturi (914 – 1994) ,considerato uno “storico a parte” nella storiografia italiana al pari di Federico Chabod perché non poteva essere incasellato negli alveari ideologici allora prevalenti nelle nostre Università. Walter Maturi ha ripercorso con finezza le ragioni che portarono il giovane Venturi a studiare la storia degli iniziatori del Piemonte riformatore settecentesco, dell’ Illuminismo (anzi degli Illuminismi, come diceva lui), di Diderot, un lavoro tanto apprezzato dal grande Lucien Lefebre che vide in Franco un “homme vivant”. Egli scelse per antifascismo la via dell’esilio insieme al padre, il famoso critico e storico dell’arte Lionello Venturi e fu eroicamente impegnato nella lotta al fascismo e nella Resistenza, assumendo ruoli di responsabilità e di pericolo. Fu partigiano combattente e divenne una delle più lucide menti di “GL”. Dopo il 1945 fu a fianco dell’ambasciatore torinese Manlio Brosio, in qualità di addetto culturale in URSS dove, come studioso, si occupò del populismo russo, frutto di approfonditissime ricerche negli archivi e nelle biblioteche sovietiche.
Tornato in Italia, si dedicò all’insegnamento della Storia Moderna nelle Università di Cagliari, Genova, Torino dove insegnò per molti anni e purtroppo non poté lasciare una sua scuola. Le sue posizioni profondamente avverse alla contestazione ed a quello che lui definiva l’eccessivo facilismo negli studi crearono delle fratture irrimediabili. Attorno a lui si fece quasi il vuoto anche perché, insieme a pochi altri studiosi come Carlo Dionisotti, negò con intransigenza la possibilità di qualsivoglia continuità storica tra la Resistenza antifascista e la lotta studentesca che ricorreva alla violenza in regime di democrazia. La morte della moglie Gigliola, sorella di Altiero Spinelli, fu un durissimo colpo. Il Sindaco di Torino Valentino Castellani gli conferì il Sigillo d’oro della Città pochi giorni prima della sua morte. Il Sindaco Fassino volle che venisse ricordato solennemente nella Sala rossa del Consiglio comunale, affidando il compito a chi scrive e a Valerio Castronovo in occasione del centenario della nascita del Maestro, che venne ignorato da alcuni ex allievi. A trent’anni dalla sua morte andava debitamente ricordato ed io stesso, a causa del mio stato di salute, non ho potuto onorare l’uomo di studi straordinario, l’anti fascista intrepido e il resistente coraggioso, soprattutto l’autore di “Settecento Riformatore”, un capolavoro ciclopico, destinato a restare come l’opera più importante scritta sull’Illuminismo che fece di lui un vero monaco laico del sapere.
Ci sarà qualcuno a Torino che vorrà rendere l’onore dovuto al suo maggiore storico del secolo scorso? Io già nel maggio di quest’anno ne scrissi sul “Corriere della Sera”, ma la mia proposta non ha avuto seguito.