”Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso; ciascuno è un pezzo del continente, una parte dell’oceano. Se una zolla di terra viene portata via dal mare, l’Europa ne è diminuita […]; la morte di qualsiasi uomo mi diminuisce, perché sono preso nell’umanità, e perciò non mandar mai a chiedere per chi suona la campana; essa suona per te” (John Donne, 1624). Col suo nuovo libro Gli uomini non sono isole, Nuccio Ordine, dopo Classici per la vita, arricchisce la sua “biblioteca ideale” e prosegue la sua battaglia a favore dei classici, invitandoci a leggere (e a rileggere) altre importanti pagine della letteratura mondiale. Il titolo del suo volume, ispirato ad una celebre meditazione di John Donne, già instrada il lettore sul discorso che Ordine vuole sviluppare: “Gli esseri umani sono legati gli uni agli altri e (…) la vita di ogni uomo è parte della nostra” (p. 17). La “rosa” di autori citati – i cui testi, come già in Classici per la vita, sono corredati da un commento stringato ma denso – spazia da Saffo a Eliot, da Aristotele a Giordano Bruno, da Erasmo da Rotterdam a Pascal, da Lodovico Ariosto a Paul Celan, da Lessing a Brecht. Tutti i loro testi convergono nel messaggio che dobbiamo “vivere per gli altri” se vogliamo dare un senso alla nostra vita. Bisogna tornare a meditare sui classici per costruire un’umanità più solidale: questo ci dice Ordine col suo nuovo libro. È un messaggio forte, in un’epoca segnata dalla rinascita degli egoismi particolaristici, dell’intolleranza, del razzismo, della paura dello “straniero” e del “diverso”, abilmente fomentati e manovrati da “politici armati di uno spietato cinismo”, che “al grido dello stesso slogan declinato in salse diverse (“America first”, “La France d’abord”, “Prima gli Italiani” o “Britain first”, solo per fare qualche esempio), hanno fondato partiti di successo con un unico obiettivo: (…) fomentare una guerra di poveri (…) contro altri poveri” (p. 18). Ma c’è di più, perché la riflessione dell’Autore si estende anche al mondo della scuola e della ricerca scientifica: riproponendo e sviluppando ulteriormente idee già enunciate in Classici per la vita, egli denuncia la “deriva mercantile che sta compromettendo anche il futuro della ricerca scientifica”, per effetto della quale “l’efficienza dell’istruzione non si misura più sulle “conoscenze” da trasferire agli studenti, ma sulle “competenze” che gli allievi dovranno acquisire in vista della loro futura immissione nel mondo del lavoro. Detto in altri termini: l’obiettivo non è più quello di formare cittadini colti in grado di capire, criticamente, se stessi e il mondo che li circonda, ma di addestrare porofessionisti capaci di adattarsi alle richieste della produzione globale.” (pp. 93. 95-96). È impossibile non dar ragione a Ordine. Soprattutto, però, leggendo le sue riflessioni, si ha l’impressione di rileggere, applicate all’oggi, le pagine di Eugenio Garin sul tradimento dei valori e degli ideali dell’Umanesimo, quando l’obiettivo di formare “l’uomo integrale” – che fosse uomo di cultura e di gusto, certo, ma anche buon cittadino – si trasformò in quello di addestrare “il professionista delle lettere”. Quella che stiamo vivendo ai nostri giorni è una deriva che la cultura occidentale ha già conosciuto, e di cui ha già sperimentato gli effetti negativi: semplicemente, oggi si parla di “tecnocrati”, non più di “professionisti delle lettere”, ma questo non incide sulla sostanza del discorso.

  “Non è utile solo ciò che porta profitto”, ama ripetere Nuccio Ordine nelle sue conferenze: è una massima di saggezza su cui tutti dovremmo riflettere.