Lei stessa amava definire così la sua vita, la straordinaria carriera passata attraverso 70 anni di musica, di malìa, di fascino. I cafè di Saint-Germain-des-Prés esaltavano il fascino di Juliette, musa ispiratrice di grandi quali Prévert, Gainsbourg, Miles Davis, con cui nel 1949 ebbe una intensa storia d’amore, raccontata dallo stesso trombettista jazz nella sua autobiografia. Una storia che li vedrà reincontrarsi più volte, nel corso di tanti e tanti anni, per una passione mai sopìta. Juliette Gréco. Musa dell’Esistenzialismo francese, in un periodo in cui la filosofia veniva portata nelle strade, nei cafè, fino a diventare paradossalmente un fenomeno di massa, in contraddizione con l’intimismo che ne era stato l’anima. L’angoscia del dualismo bene-male non era solo più il dramma dell’uomo solitario, ma divenne, in quegli anni, in quell’atmosfera magica e rarefatta delle strade del Quartiere Latino di Parigi, discussione pubblica, feste popolari, buon vino, buona musica, buon canto. Juliette offrì la sua voce agli artisti di un periodo in cui, come diceva la scrittrice Simone de Beauvoir, compagna di Sartre, si guardava al futuro “con dubbi e speranze”. Nelle notti parigine di Saint-Germain-des- Prés, nel locale Tabou, divenne la regina. Veniva chiamata affettuosamente “la toutounne” (cagnolino buono”), per i suoi grandi occhi penetranti ed intrisi di trucco che ne esaltava il fascino, e per la sottile trasgressione emanata dai maglioni e pantaloni rigorosamente neri, su un corpo sensuale e sinuoso. La sua personalità dirompente si esprimeva anche così; tutto, di lei, divenne moda e simbolo. Eppure Juliette Lafeychine, in arte poi Gréco, aveva avuto un’infanzia dura, privata dalla presenza dei genitori, padre corso che abbandonò presto moglie e figlie, madre che se ne andò in Indonesia. Juliette e la sorella Charlotte vissero l’adolescenza con i nonni, parteciparono come attiviste alla vita politica parigina, picchiate ed arrestate, insieme alla madre tornata a Parigi, dalla Gestapo nella Francia occupata dai nazisti. Nel 1946, a soli 19 anni, andò a vivere a Saint-Germain-des-Prés, dove iniziò a cantare nei cafè. Il debutto davanti alla grande platea avvenne nel ’49, con un brano scritto da Jacques Prévert : “Les feuilles mortes”, destinato a fama mondiale. Molti poeti, affascinati dalla sua personalità e dal suo fascino, scrissero per lei: Jules Laforgue (“L’eternel feminine”), Raymond Quenau (“Si tu t’imagines”). E poi artisti come Brel e Brassens, Serge Gainsbourg (“La javanaise”), Leo Ferrè, Aznavour (“Je hais les dimanches”), brano rifiutato da Edith Piaf. Lei stessa aveva scoperto anni prima, per caso, per un cappotto appoggiato su una ringhiera e caduto da una scala, una buia cave cheil proprietario chiamava “Il tunnel” e che Juliette trasformò in un locale che affascinò in poco tempo musicisti e filosofi. L’incontro con Sartre fu una tappa miliare nella sua vita artistica. Il filosofo intuì immediatamente in lei l’arte, arrivando a commentare che Juliette aveva “milioni di poesie nella sua voce”. Il suo fascino si evidenziò anche nella recitazione, ricordiamo lo sceneggiato televisivo “Belfagor”, trasmesso dalla RAI negli anni ’60. Ma di lei ricorderemo sempre, soprattutto, la voce, che sembrava fondersi nell’eye-liner dei suoi occhi bistrati ed intensi. E le ovazioni di pubblico sulla scena dell’Olympia, tempio della musica parigina. “Gréco, rosa nera dei cortili. Della scuola dei bambini imprudenti”, scriveva Raymond Quenau, inebriato da quella voce che recitava, cantando, “Si tu t’imagines”, nel 1950. L’ultima sua volta in Italia nel 2015, prima al Festival di Spoleto e poi al Teatro Manzoni di Milano, aveva dichiarato: «Ho voglia di tutto, quando arrivo in Italia: tutte le scarpe e tutti i piatti, e anche un bel po’ di vestiti. Adoro l’Italia. E adoro gli italiani. Fareste credere alla donna più banale di essere la più bella del mondo». Era già stanca, la salute cominciava a vacillare, aveva annunciato da un anno il ritiro dalle scene: «Vorrei continuare per sempre, il pubblico e il desiderio non mi hanno abbandonato. Ma il corpo rischia di farlo e non voglio che sia lui a decidere». L’ultimo album della sua grande, stupenda vita artistica, con oltre 2 ore di musica e 36 canzoni, si intitola “Merçi”. Grazie, Juliette. La tua vita si è spenta il 23 settembre. Ma non la tua voce ed i tuoi occhi.
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