La Flotilla, di Leonardo Papa
Si parla molto, se non solo, in questi giorni, dell’avventura della nota Global Sumud Flottilla, al secolo Flotta globale di resistenza, per quello che sta rappresentando, e per i rischi di vario genere che tale iniziativa può comportare. Tra tutto questo parlare, si ergono, inadeguate, anche alcune parole, che sarebbe stato più saggio e prudente non proferire. Tuttavia, prima di valutarle nella loro gravità, mi piacerebbe, arrogandomi il diritto, dal basso delle mie conoscenze, di provare ad illustrare nel modo più semplice, alcuni principi di stretta attinenza, sui quali mi pare vi sia oggi molta confusione tra giornalisti e politici vari.
Si discute, infatti, con tanta insistenza della presunta illiceità del blocco navale israeliano, operante davanti alla striscia di Gaza. Ma è veramente illegittimo?
Partiamo dal principio che la navigazione pacifica nelle acque internazionali non possa essere limitata in alcun modo, per cui un eventuale abbordaggio delle barche della flottilla, da parte delle forze israeliane, rappresenterebbe un atto di pirateria vero e proprio. Mentre sarebbe, al contrario, considerato legittimo il blocco in acque territoriali. Ma qui sorgono due problemi; infatti resta un margine di incertezza circa la loro ampiezza e non parlo delle 6-12 miglia nautiche, ma di quelle acque più distanti, anche 50 miglia, che molti considerano essere acque di interesse economico dello stato di appartenenza. E vi è divisione di opinioni in merito. Diversa situazione per un blocco in acque territoriali. Esso è legittimo, purchè non ostacoli ed impedisca l’attività di aiuti umanitari di cibo e medicinali qualora tale approvvigionamento possa essere effettuato solo via mare. Nella fattispecie, Gaza è raggiungibile dalle spedizioni umanitarie sia via terra che per via aerea; pertanto, un blocco navale come quello israeliano, se effettuato in acque territoriali si appaleserebbe come legittimo. Una ulteriore considerazione in tal senso è come lo stesso sia operante dal primo gennaio 2009, come blocco alle forniture di armi, e non quindi recente, imposto al fine di isolare la popolazione dopo i noti fatti.
Molti, soprattutto appartenenti alla opposizione nostrana, rivendicano tuttavia il diritto di Gaza di disporre di proprie acque territoriali, cosa però non fattibile, in quanto la Palestina non è uno stato riconosciuto, e quindi privo della possibilità di esercitare tale rivendica. I citati esponenti, tuttavia, hanno più volte chiesto di riconoscere lo stato di Palestina, come segnale forte da parte del nostro governo. La Meloni, piaccia o no, ha risposto con correttezza. Lo Stato Italiano è aperto a tale riconoscimento purchè vengano rilasciati gli ostaggi israeliani ed Hamas non rappresenti più il popolo Palestinese, tenuto conto che ad oggi, a seguito poco libere elezioni di qualche anno fa, purtroppo costituirebbe la stabile organizzazione di governo, requisito richiesto per il riconoscimento. Questa posizione del nostro Capo del governo, è una posizione assolutamente legittima e non un nascondersi dietro vuote affermazioni come da qualcuno insinuato. Infatti, la Carta delle Nazioni Unite, dagli anni ’30, individua come principi inderogabili, al fine del riconoscimento dello status di nazione, il rispetto dei diritti umani, ed il rifiuto di far ricorso ad atti di guerra allo scopo di dirimere dissidi internazionali. È evidente come il mantenimento di ostaggi civili, ed i fatti atroci del 7 ottobre, unitamente al riconoscimento di Hamas come gruppo terroristico, non permettano questa possibilità. A tutto ciò si aggiunga lo statuto di hamas, del 2017, seppur edulcorato rispetto a quello precedente del 1988, quello mutuato dallo statuto dei Fratelli Musulmani egiziani, pervaso di antisemitismo, che prevede però ancora oggi all’art 12 il ricorso alla jihad, ovvero la guerra santa, contro gli infedeli, come metodo di risoluzione delle controversie con le altre etnie e religioni. In aperto contrasto con la citata Carta e con le costituzioni degli stati occidentali.
Ma veniamo alle parole che mi hanno tanto scandalizzato. Innanzitutto, l’atteggiamento irresponsabile della Schlein, che in spregio all’invito al buon senso del Presidente Mattarella, che chiedeva ai componenti della Flottilla di fare dietro front e tornare nelle rispettive nazioni, ha invitato gli stessi a proseguire, spiegando che il suo partito sarebbe stato ancora con loro. Con la consapevolezza dei rischi ai quali stanno andando incontro, ed ai possibili, gravissimi incidenti internazionali. Basta andare contro la Meloni.
Ma assai più gravi risuonano le parole di un responsabile di partito, il signor Fratoianni, il quale ha inopinatamente considerato insufficiente la scorta (con due fregate di ultima generazione) accordata alla flottilla dal Governo, chiedendo ed asserendo che il governo stesso avrebbe dovuto mandare la Marina militare a rompere il blocco navale di Israele. Queste parole, gravi, irresponsabili e dettate da partigiana ignoranza, non possono essere proferite da un capo di partito. Innanzitutto, non si capisce quale sia il diritto/dovere dell’Italia nel dover intervenire militarmente a dirimere un conflitto internazionale. Allora perchè non anche in Sudan, ad esempio?
Ma è un genocidio! Urla Fratoianni durante l’intervista. Forse sì. Ma non è corretta, bensì irresponsabile la sua soluzione. Forzare un blocco navale di uno stato sovrano invadendo le sue acque territoriali è un atto di guerra. È una dichiarazione di guerra. È questo che vuole costui? Una guerra con Israele? Una rottura diplomatica con gli Stati Uniti? La perdita di innumerevoli vite umane in seguito ad un conflitto causato dall’incoscienza di un gruppo di attivisti che si apprestano ad invadere le acque territoriali altrui, con la scusa degli aiuti umanitari (ma quanto possono portare una cinquantina di barchette a vela, quando vengono paracadutati innumerevoli quantitativi giornalieri dai vari governi)?
Oltretutto, il nostro Fratoianni, dimostra, nella sua sbornia di visibilità e di odio verso il Governo, di ignorare i principi cardine della nostra Costituzione. Infatti, la Costituzione italiana ripudia la guerra con l’articolo 11, che stabilisce che l’Italia non usa la guerra come strumento di offesa e promuove la pace tramite gli organismi internazionali, riservando l’uso della forza militare al solo caso aggressione al fine di difesa della Patria. Forse un ripassino, prima di proferire tali pericolose scempiaggini sarebbe da consigliare a chi di dovere.
Vorrei che la Flottilla potesse rivelarsi un piano volto solo a creare una nuova, forte attenzione internazionale alla tragica situazione di Gaza. Ed avrebbe veramente raggiunto il suo scopo, ma è un gioco pericoloso, a meno che non si ritiri subito prima di entrare in contatto con le forze israeliane.
Come al solito, purtroppo, finisco per parlare male della mia oramai antica parte politica. Ma vedo oramai una totale assenza di un progetto politico da parte della nostra sinistra, pronta ad abbracciare qualsiasi cosa possa andare in contrasto con quanto affermato dal governo, anche appoggiando tante tesi diverse, spesso anche in antitesi tra loro. Difendiamo le donne dal patriarcato, rivendichiamo le lotte lgbtq++, ma apriamo indiscriminatamente le porte all’islam, che tali valori non li fa certo suoi, visto che in alcuni paesi islamici i maltrattamenti alle donne sono permessi, e gli omosessuali lapidati. Ma quella dell’identità perduta della nostra sinistra è un’altra cosa. E non serve parlarne ora. A proposito, sapete che in seno alla flottilla, i partecipanti islamici magrebini hanno allontanato la componente lgbtq+ dalla missione?