Sono una docente di Scuola Primaria, ossia, come si diceva una volta, una maestra di scuola elementare. Non soffro di nostalgia per il passato, ritengo che le nuove scoperte nel campo delle neuroscienze, accanto a una pedagogia e a metodologie adeguate e innovative, abbiano ampliato la visione della Persona e abbiano contribuito a migliorare anche la Scuola. Non oso sbilanciarmi riguardo cose che conosco poco, e perciò parlerò dal mio modesto punto di vista di insegnante di scuola primaria, appunto. Dicevo prima della portata enorme delle scoperte relative al cervello e al comportamento umano in generale e degli studi che riguardano l’età evolutiva in particolare. Aggiungo il ruolo fondamentale della socialità e delle emozioni quale spinta formidabile per gli apprendimenti. Ed ecco la “mia” scuola, la scuola di chi si impegna quotidianamente con amore e fatica nelle classi, a contatto con bambini e ragazzi. Eppure la parola “amore” è un termine tanto inflazionato anche presso di noi. Perfino l’attuale ministro dell’istruzione ne ha parlato, ha usato nel corso di un’intervista la definizione di “scuola affettuosa”. La scuola affettuosa è, secondo Bianchi, una comunità nella quale deve ritornare a essere preponderante l’aspetto sociale degli apprendimenti. E immediatamente quelle parole mi sono parse uno slogan. Molti docenti non hanno mai smesso di curare l’aspetto delle emozioni e della socialità, nemmeno durante la didattica a distanza, nemmeno nel corso dell’anno scolastico appena terminato, pieno di limitazioni anche fisiche a causa della pandemia. Ritengo, inoltre, che restringere la scuola a questo aspetto sia parecchio riduttivo: occorre ovviamente curare l’impegno individuale che deve essere incoraggiato fin dalla più tenera età; se esistono ostacoli è necessario rimuoverli, concretamente, attraverso le azioni di docenti qualificati. E ho capito che nemmeno con questo ministro potremo contare su interventi realmente incisivi e radicali. Da troppi anni i ministri e i loro consulenti pasticciano con piccoli interventi a macchia di leopardo. È stata reintrodotta l’Educazione Civica come disciplina di studio nella quale sono coinvolti tutti i docenti, e questo è senza dubbio un aspetto positivo. Ma, se io insegno matematica in una classe e ho a disposizione solo sei ore la settimana, come potrò realmente contribuire allo studio della disciplina? Con il buon esempio? Con generiche esortazioni a un  comportamento civile ed educato? Nella Scuola Primaria da quest’anno è partita una nuova modalità nella valutazione degli alunni: non più voti o giudizi sintetici, che nulla dicono dei reali apprendimenti dei bambini, ma giudizi analitici su diversi obiettivi delle singole discipline, che mirano a valutare molti aspetti dell’apprendimento e del percorso del singolo. Molti di noi – io per prima – hanno guardato con favore a questa modifica. Ma si tratta realmente di una rivoluzione? No, perché non si ha avuto il coraggio di estendere tale  innovazione alla Scuola Secondaria di primo grado – la scuola media – ove si continua a valutare attraverso voti numerici, con una pignoleria che a volte rasenta il ridicolo. Dove sta la tanto sbandierata continuità tra i diversi ordini di scuola? Eppure noi, docenti e dirigenti scolastici, abbiamo l’obbligo – uno fra i tanti – di documentare i rapporti e le azioni concrete di continuità all’interno dei nostri Istituti Comprensivi. Solo i ministri hanno responsabilità? No di certo, voglio aggiungere i sindacati, che si sono persi in cause più o meno importanti, ma hanno permesso che le spalle dei docenti venissero caricate di compiti e oneri pesantissimi. Abbiamo all’interno delle nostre scuole diverse figure di riferimento; tra loro i cosiddetti fiduciari i quali, per un compenso aggiuntivo poco più che simbolico, svolgono anche attività non connesse con la funzione docente, come l’organizzazione per la sostituzione dei colleghi assenti. Abbiamo figure di coordinamento per ogni macroarea, docenti non distaccati dall’insegnamento, ma con compiti in più in orario aggiuntivo. Abbiamo infine persone che hanno scelto di fare “solo” gli insegnanti e vengono considerati di serie B. Direi che questo atteggiamento, ormai molto diffuso, è uno degli aspetti più tristi della scuola italiana. Il docente di scuola primaria è spesso una sorta di tuttologo – brutto il termine, ma rende l’idea – insegna tutte le discipline, programma, studia, si aggiorna, personalizza attività per le diverse esigenze dei suoi alunni, corregge, valuta. Nonostante questa mole di lavoro, viene dall’alto ritenuto poco produttivo, poco importante, quasi facente parte di una manodopera poco qualificata. È un atteggiamento che serpeggia sempre di più e che a tratti si palesa in maniera evidente e vergognosa. Il compito primario del docente è passato in secondo piano. Chi fa “solo” il mestiere di maestro è utile per la mansione pratica di gestire in maniera più o meno adeguata ed efficace gruppi di bambini, ma il suo è un lavoro poco prestigioso, anche se a parole e occasionalmente diventa destinatario di una bella manciata di frasi di circostanza e di tanta retorica.