La storia dell’umanità è stata suddivisa in evi, antico, medio e moderno, cui si è poi aggiunto quello contemporaneo; in parte perché il periodo di studio si è allungato, in parte per distinguere una differente realtà. In questo senso, l’età moderna ha assunto la connotazione di periodo in cui si definisce lo stato moderno, come lo conosciamo, indicativamente tra la fine del 1400 (scoperta dell’America) e la fine del 1700 (Rivoluzione Francese). In tal modo si relega all’evo antico tutta la storia di Roma e del suo impero, si considerano le invasioni barbariche ed il dualismo impero (Sacro Romano) papato, come un periodo di transizione e si consacra lo stato moderno, stato di diritto, come massima espressione e punto di arrivo dell’evoluzione sociale umana.
Negli ultimi decenni assistiamo alla creazione, più o meno riuscita, di entità sovranazionali (UE su tutte) o all’affermazione di stati federali (Usa, Russia, ma anche Brasile, India, Australia) con un’estensione alla scala subcontinentale (Cina). Il che fa pensare che la storia non sia affatto conclusa con lo stato moderno, che vi sia un’ulteriore aggregazione verso entità maggiori anche, anzi soprattutto, per politica di potenza. Alla luce di ciò, ripenso alla suddivisione del passato e ritengo che la ripartizione, ormai data per scontata, non sia in grado di cogliere l’aspetto fondamentale: quello delle aggregazioni, successive ed incrementali, post caduta Impero Romano. Questo aspetto è tanto più evidente nell’evoluzione delle fortificazioni militari.
L’Impero era una costruzione sociale che garantiva ai suoi abitanti, cittadini o meno, all’interno di un’area grande quanto le terre conosciute, pace, prosperità (infrastrutture e scambi commerciali), lingua, leggi, cultura e costumi comuni. Ad oggi non si è raggiunta una simile condizione. Il fatto che gli ebrei, non volendosi assoggettare alla religione, siano stati condannati alla diaspora, ossia al tentativo (non riuscito) di diluirli ed amalgamarli al resto della società, dimostra la forza dell’Impero. In altre epoche, sia precedenti che successive, sarebbero stati massacrati, come gli abitanti di Capua e Cartagine o convertiti forzatamente come gli Ugonotti.
Le invasioni barbariche distruggono tutta la struttura organizzativa, sociale e militare ed introducono in Europa una babele di popoli diversi. Non sono però in grado di creare strutture altrettanto stabili e centripete: per secoli il Sacro Romano Impero è fragile, la sua corte itinerante, perennemente in guerra. Le infrastrutture si deteriorano al punto che si dubita possano essere opera umana: la strade lastricate diventano strade del diavolo, gli acquedotti cessano di funzionare per mancanza di manutenzione (come quello del Pont di Gard), le scorribande sono ovunque. L’unica difesa possibile è l’incastellamento: ogni comune ha il proprio signore che controlla e protegge il contado circostante. I commerci sono ridotti al minimo, le lettere e le scienze sprofondano, si moltiplicano le fortificazioni e le guerre intestine tra fazioni continuamente mutevoli in base alla convenienza del momento.
In questo caos prevalgono i più forti, i quali si espandono manu militari ed aggregano territori più ampi, prima a livello provinciale, quindi regionale. Quante guerre deve vincere Firenze per arrivare al Granducato di Toscana? Contro Prato, Siena, Pisa, per citare le principali. Solo quando sarà abbastanza forte e ricca potrà sviluppare il Rinascimento. Le cartine politiche del Medioevo ricordano il celebre vestito di Arlecchino, per quanto sono frazionati i territori, non solo italiani.
L’aggregazione successiva è quella statale, cui si perviene in modi diversi: per matrimonio ed eredità dinastiche (Spagna), per accordo (Regno Unito di Gran Bretagna), per conquista e sconfitta delle ingerenza straniere (Francia). In questo senso l’Italia manca il suo appuntamento con la storia, a causa del fallimento di Cesare Borgia e della calata in Italia dei francesi, chiamati dai veneziani, come messo bene in luce da Machiavelli ne Il Principe. Continuando ad avere, per altri tre secoli, un’aggregazione regionale, in mezzo ad aggregazioni statali che se la contendono (Franza o Spagna purché se magna, dicono ancora oggi a Roma), rendendola più serva, più vil, più derisa.
L’aggregazione statale crea pace e prosperità al suo interno, rendendo obsolete strutture militari non più necessarie: in Inghilterra i castelli sono per lo più ridotti a rovine e ben più radi che sul continente, provate poi a cercarvi una fortezza Vauban, farete più in fretta a trovare una cattedrale gotica a Madrid! Il Regno Unito ormai unificato non ha più bisogno di fortificazioni al suo interno.
Il modello statale si è poi esteso a tanti altri, con la decolonizzazione del ‘900 tutte le terre emerse sono occupate da stati, con organizzazione struttura e controllo del territorio molto forti. Al punto che le poche eccezioni come Libia e Somalia vengono studiate come caso particolare di stato fallito.
La storia però non finisce qui: ad oggi per competere nelle sfide mondiali, dato il retrocedere della globalizzazione (ne siano la prova il reshoring di molte aziende e la costruzione di muri e barriere in molte zone del mondo) e l’acutizzarsi delle tensioni, sono necessarie aggregazioni ben superiori a quelle statali. A prevalere è, e sarà sempre di più, la scala subcontinentale. Ai paesi che ho citato prima si aggiungono ulteriori prevedibili aggregazioni che sono già iniziate con accordi commerciali. In questo processo l’Europa non può permettersi di restare indietro: è necessario uno sforzo per arrivare ad istituzioni centrali più forti come una politica estera ed una difesa comune. Pena l’essere spartita tra potenze straniere come nel 1945.
Sarebbe quindi opportuno chiedersi se non valga la pena di ridefinire le suddivisioni storiche, evidenziando questo fenomeno aggregativo, tutt’ora in corso e ben lungi dall’essersi concluso con l’affermazione dello Stato. Sarebbe più corretto pensare ad un unico periodo, dall’incastellamento medievale ad oggi, in cui lentamente si ricostruiscono aggregazioni via via maggiori, mai dimenticando il sogno universalistico delle potenza, di volta in volta, egemone.
Vale la pena di chiedersi se ci sarà un passo ulteriore: dopo la scala subcontinentale ci sarà un’ulteriore aggregazione verso una scala continentale o sovra-continentale? Forse sì, su questo punto si è già espresso George Orwell in 1984, laddove immagina un futuro distopico in cui il globo terracqueo è suddiviso in tre stati perennemente in guerra tra loro.