Lo scrittore ferrarese Giorgio Bassani, in “Di là dal cuore” ( vasta raccolta di scritti critici e recensioni poi confluita nelle “Opere”, a cura di Roberto Cotroneo, Milano 1998, pp. 1040-1046), ricorda tra l’altro lo scritto del giovane e coraggioso aviatore, figlio dell’elegante esteta dannunziano Adolfo, a proposito della religione della libertà” ( dello stesso anno dell’eroica spedizione su Roma, ai primi del 1931 ): ma senza citarne o discuterne alcun passo. Il futuro cantore di Ferrara è colpito dalla parabola letteraria e umana del De Bosis, alla uscita della antologia “Storia della mia morte e ultimi scritti”, con prefazione di Gaetano Salvemini e consulenza dell’amico Mario Vinciguerra ( Francesco De Silva, Torino 1948), come volume quinto di una collana etico-politica ideata e diretta da Leone Ginzburg ( dove apparirà anche la prima edizione di “Se questo è un uomo” di Primo Levi ). Nella sua ampia Prefazione, Salvemini pone in luce l’influenza di Benedetto Croce sul liberalismo di Lauro De Bosis. Ma questi non cita una sola volta il “maestro” nel proprio saggio per certi versi premonitore, pur dimostrando l’ispirazione filosofica ed etica del concetto di “libertà”. In fondo, vere e proprie riprese del tema della “religione della libertà” in De Bosis non sono frequenti in campo storiografico e del relativo dibattito etico-politico, ove si eccettuino un documentato servizio televisivo de “Il Tempo e la Storia” su RaiTre a cura dello storico Giovanni De Luna, anticipato sulla “Stampa” da Mirella Serri ( “L’aviatore che resisteva prima della resistenza”, 23 aprile 2014 ) e da chi scrive in vari luoghi di soggetto bassaniano ( “Il 25 luglio, Croce e gli italiani liberi”, in “La Nuova Ferrara-Repubblica” del 24 aprile 2014 e “Libertates” del 27 aprile ).
E’ noto che anticipazioni della rivendicazione della “religione della libertà” possono ragionevolmente reperirsi in Edgar Quinet e Giuseppe Mazzini, nei repubblicani italiani come Niccolò Montenegro e fautori del “Sorgimento” ( v. Giuseppe Santonastaso, “Edgar Quinet e la religione della libertà”, Dedalo, Bari 1968; con il mio “Niccolò Montenegro. La vita e l’opera”, Pensa Multimedia, Lecce 2011, per tacer d’altro): come pure nel carme “Dei Sepolcri” di Ugo Foscolo ( “religion che con diversi riti le virtù patrie e la pietà congiunta tradussero per lungo ordine d’anni” ). Ma qui si entra ( con Croce e De Bosis, Ragghianti e Bassani, Gobetti e i fratelli Rosselli, Pilo Albertelli e Aldo Garosci ) nel vivo della temperie storica e politica del XX secolo, “secolo breve” o “secolo sterminato” e “sterminatore”, nella vicenda delle interpretazioni: comunque, secolo in cui la testimonianza della libertà, “ecclesia pressa”, è stata messa a durissima prova, tanto più urgente e drammatica quanto più ha fatto “ribellare il pensiero”.
Argomenta, dunque, distesamente il De Bosis nel manoscritto redatto originariamente in inglese ( e poi reso da Vinciguerra e Salvemini ): “Guai se il pensiero rimanesse a lungo nelle sue posizioni, considerandole come definitive e staccandosi dalla vita ! Cesserebbe di essere pensiero e diventerebbe soltanto volontà. Il dubbio e la fede sono entrambi caratteristici del filosofo. Se si condanna il primo e si mantiene soltanto la seconda si ha la religione”. Quindi, dopo riflessioni sul rapporto tra modernismo e Chiesa cattolica, con riferimenti dotti che vanno da Origene a Ernesto Renan, il giovane pensatore si concentra su di un punto, peculiarmente “crociano”, nel senso su esplicitato. “La relazione tra la libertà e le istituzioni liberali è la relazione tra un’idea ed un fatto che incarna quella idea, tra un concetto ed un oggetto. Chiunque tratta la libertà come un oggetto, identificandola con qualsiasi istituzione liberale, la distrugge ipso facto. Se quella istituzione liberale è difesa non come la forma corporea assunta transitoriamente dall’assoluto, ma come l’assoluto stesso, essa diventa una cosa rigida, materiale, statica, un pseudo concetto concepito come concetto, vale a dire l’opposto della libertà”. Ancora: “Non ci dovrebbe essere niente di sconcertante nel fatto che ogni porta, una volta aperta, mena ad un’altra stanza con un’altra porta chiusa. Una mente superficiale, o chi ha imparato la storia solo come una successione materiale di fatti esterni ( e così è insegnata spesso ) pensa che la porta è sempre la stessa perché il nome è lo stesso, ma in realtà essa è un’altra. Non vi sono grandi problemi obbligati sui quali ogni generazione prova le sue forze, ma ogni generazione ha ogni giorno il suo particolare problema, ed ogni problema, una volta risolto, porta direttamente ad un altro problema. (..) Prima di rispondere se una proposizione sia vera o falsa dovremmo chiedere: ‘Quando è stata detta ?’ ‘Contro chi?’ Non vi sono chiavi buone o cattive in se stesse, ma ognuna è buona o cattiva in relazione ad una determinata porta”. Il ‘crocianesimo’ intrinseco alla posizione del De Bosis è evidente in codesti passi, con richiamo alla funzione “categoriale”, non “pseudoconcettuale” o “empirica”, del concetto d libertà; e alla necessità di comprensione storica delle proposizioni filosofiche. Alla fine del ’30, Croce aveva già scritto la “Storia del Regno di Napoli”, con elevate parole sull’ “accordo tra mente e animo”, richiami al “Breve trattato delle cause che possono far abbondare li Regni d’oro et argento dove non sono miniere, con applicazione al Regno di Napoli” di Antonio Serra ( Napoli 1613 ); il Discorso di Muro Lucano sul “Dovere della borghesia nelle province meridionali”; la “Storia d’Italia dal 1871 al 1915” ( che è del 1928 ), ma non ancora la “Storia d’Europa nel secolo XIX” il cui primo capitolo è dedicato alla “Religione della libertà” (1932 ), intraprendendo anche su riviste e giornali la tenace controversia con Luigi Einaudi a proposito dei rapporti tra liberismo e liberalismo. Pure, De Bosis ha ricevuto “in sucum et sanguinem” il di lui pensiero, senza ostentarlo, e addirittura sancendo le origini cristiane della filosofia moderna, il carattere di sovraindividualità dell’opera e altri motivi fondamentali della religione della libertà.
“E questa è la ragione perché noi filosofi abbiamo il diritto di considerarci i veri cristiani.”
Quindi Lauro De Bosis tenta di figger ancora di più il viso a fondo sulle strutture dell’anima, echeggiando il qualche modo il percorso che procede da Aristotele a Kant. “Nell’anima stessa, in ognuno dei nostri istantanei stati d’animo, dobbiamo distinguere tra la verità eterna ed il suo manifestarsi nel nostro pensiero individuale, tra la bellezza ideale ed il suo esprimersi nelle nostre intuizioni individuali, tra la moralità e le nostre volizioni individuali. All’interno della nostra stessa anima noi osserviamo questi ideali mutare le forme particolari in cui si manifestano da un istante all’altro. Essi sono inafferrabili al di fuori di queste incarnazioni, ma rimangono tuttavia sempre gli stessi nonostante il mutamento. (..) Ma in che cosa consiste il nostro reale ‘io’ ? Se si chiedesse ad un poeta se egli preferirebbe essere immortale, mentre la sua poesia sarebbe dimenticata, oppure morire del tutto mentre la sua poesia splendesse per l’eternità, egli risponderebbe senza esitare che ‘il mio vero io è la mia poesia, non questa mia povera vita individuale; fate vivere la mia poesia e lasciate perire me’. Così parlerebbe un legislatore per le sue leggi, così un patriota per il suo paese, così una madre per i suoi figli. Il nostro io reale è nell’oggetto del suo amore. E’ per questo che l’immortalità esiste, come esistono il premio e la punizione” ( tutto il brano è alle pagine 64-80 della “Storia della mia morte e ultimi scritti”, ed. cit., Torino 1948: titolo emblematico della missione debosisiana, portata fino alle estreme conseguenze, del “patriota” che rende la stessa vita “per il suo paese” ).
Alla fine: “Se si chiedesse: ‘Quale religione vi è oggi che contiene tutte le verità che sono il frutto di tutte le religioni ed i pensieri del passato’ ? V’è un’unica risposta: è la filosofia moderna; quella filosofia che continuando l’opera di venticinque secoli è riuscita gradualmente nei nostri tempi a colmare l’abisso tra questo mondo e l’altro mondo, tra la natura e dio, tra il corpo e l’anima, tra i fatti e l’idee; fondendo Dio con la storia e le idee coi fatti. (..) Una tale filosofia, lungi dall’essere professata lontano dal chiasso della vita, nelle sale delle accademie o nei ritiri dei sognatori, ‘au dessus de la melée’, è trasportata ‘dans les entrailles de la melée’, e avanzata da uomini di azione oltre che da pensatori. I suoi santi sono crociati, i suoi apostoli erigono barricate, i suoi predicatori parlano nei parlamenti e nei tribunali. Hegel e Madame de Stael, Fichte e Benjamin Constant, Stuart Mill e Cavour, Darwin e Lincoln, Huxley e Mazzini, tutti professano la stessa religione dello spirito umano, uno spirito che crea la sua carne ogni istante negli innumerevoli aspetti della società”.
E’ bensì vero che, ancor prima del noto saggio “Perché non possiamo non dirci ‘cristiani’”, del 1942, Croce stesso aveva trattato il tema in “Filosofia della pratica” del ’09 e altri scritti. Pure, dallo scritto di De Bosis si ricava l’impressione che le affermazioni del giovane ‘patriota’ liberale, a proposito del retaggio raccolto da parte della filosofia moderna della religione cristiana, prepari, in qualche modo, accenti del posteriore scritto crociano. Conclusivamente, afferma De Bosis: “Questa filosofia potrebbe essere chiamata la religione di oggi, se togliamo alla parola religione il connotato di inerzia intellettuale. Essa ha infatti molte delle caratteristiche della religione secondo è concepita comunemente. Ha i suoi precursori e profeti nei filosofi del passato, ed anche i suoi martiri giacché quelli che morirono sul rogo come Giovanni Huss e Bruno, o nelle battaglie per l’indipendenza nazionale, o sul patibolo per la libertà, morirono tutti per questa ‘religione della libertà’, quale che fosse l’aspetto particolare sotto cui la libertà appariva loro. Questa religione può perfino vantare i martiri del cristianesimo, ma il cristianesimo non può vantare i martiri della religione della libertà. Questa si identificò per un certo tempo col cristianesimo, ma lasciò il cristianesimo dietro di sé quando esso divenne ortodossia”.
A mettere a disposizione dei giovani siffatto tesoro di esperienze spirituali, ha teso la ricostruzione della linea logica essenziale dello scritto di Lauro De Bosis, insieme con la illustrazione della di lui figura e opera.