La scrittrice bolzanina Arianna Lombardelli ci offre un bellissimo romanzo di 230 pagine pubblicato da Mondadori, “L’equazione della colpa”. La trama potrebbe sembrare banale, e invece non lo è, perlomeno come viene sviluppata dalla Lombardelli: Anna, barese trapiantata a Roma, sposata con due figli, borghesia medio – alta, si trova con il proprio matrimonio sull’orlo del precipizio e, infatti, finisce con lo sfracellarsi. Ciò perché lei e il marito, nel corso degli anni, sono cambiati e non stanno più bene insieme. Difficile dire chi abbia colpa del fallimento del matrimonio: il figlio vuole saperlo e lo domanda alla madre, ma la vita è tanto complessa da non potersi ridurre ad un’equazione (Anna è laureata in scienze matematiche), da qui il titolo del romanzo. Sì, perché la realtà, in tutti i campi, non è mai sempre bianca o nera, ha vastissime zone grigie e sarebbe un errore volerla semplificare. Altro, della trama, non aggiungo. Avviso subito il lettore che nell’intero romanzo, benché la protagonista si rechi anche dallo psicoterapeuta, non vi è la minima traccia di psicologismo di bassa lega, quel deteriore psicologismo che spesso pervade romanzi di analogo soggetto e del quale, giustamente, abbiamo tutti le tasche piene. E non è neppure intriso di femminismo, anzi è proprio politicamente scorretto perché, in fondo, la protagonista desidera quella famiglia tradizionale basata sull’amore tra tutti i suoi membri ed è addolorata per aver visto questo sogno trasformarsi, alla fine, in un incubo. Mi piace segnalare questo romanzo, scritto con una prosa molto sobria e pulita, perché è una testimonianza, a più di cento anni dall’annessione, della presenza, ormai solida, di una letteratura altoatesina in lingua italiana, sia al maschile sia al femminile. Prima del 1918 non mancano i testi in lingua italiana in Alto Adige, ma generalmente non si tratta di testi letterari, piuttosto giuridici, come gli atti del Magistrato Mercantile di Bolzano, gli atti pubblici del Regno d’Italia napoleonico e quelli del tribunale di Bolzano in epoca austro-ungarica; avendo avuto il tribunale di Bolzano competenza anche su zone italofone del Tirolo, i giudici dovevano essere bilingui ed era meglio che lo fossero anche gli avvocati, se volevano curarsi la clientela. Del resto nel Liceo del Tirolo austriaco, l’unica scuola che permetteva un accesso immediato all’Università (e che corrispondeva, più o meno, al nostro Liceo Classico), dove la lingua di insegnamento era il tedesco (Innsbruck, Bolzano, Merano, Bressanone, ecc.) era obbligatorio anche lo studio dell’italiano e, viceversa, a Trento e a Rovereto era obbligatorio quello del tedesco. In italiano ritroviamo anche scritti giornalistici (per esempio la rivista turistica “Adige e Adria” di Bressanone e le corrispondenze dall’Alto Adige per i giornali trentini) e religiosi (i sermoni tenuti da parroci, perlopiù trentini, ove esistevano comunità italofone), ecc. Gli unici testi paraletterari (poesiole, raccontini, ecc.) ci vengono da autori dell’area ladino-dolomitica che, quando il ladino ancora non esisteva come lingua scritta, adoperavano l’italiano. Ma sono andato un po’ fuori tema: in attesa di una bella crestomazia italiana dell’Alto Adige avanti l’annessione, godiamoci il bel romanzo di Arianna Lombardelli, aspettando con impazienza il prossimo.
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