Molti lettori avranno praticato la meditazione guidata o anche solo ne avranno sentito parlare da qualche conoscente o collega. Tecniche e corsi vari, derivati dalla cultura orientale, sono proposti negli ambiti più disparati, dalla preparazione sportiva, all’ambiente lavorativo come team building o risposta allo stress. Che siano più o meno utili e più o meno efficaci sta alla valutazione soggettiva di ciascuno, anche in considerazione dell’impegno e del tempo dedicato: la meditazione, infatti, dovrebbe essere praticata con continuità, come una lingua o un software, non basta un’infarinatura iniziale. Qual è il suo scopo? Dare sollievo psicologico alla mente umana, sempre continuamente indaffarata, spesso a rimuginare moltiplicando preoccupazioni, ansie, angosce di ogni tipo. Non ricordo più chi disse che la sua vita era stata costellata da una serie di incredibili disgrazie, la maggior parte delle quali, per sua fortuna, non si era mai verificata! Le tecniche meditative invitano ad allontanarsi dalle elucubrazioni mentali concentrandosi su altro, a cominciare dal respiro, per arrivare a guardare alla propria mente con distacco, come un osservatore esterno che ci osserva dal soffitto. La promessa è che assimilare questa capacità consenta di essere più rilassati, ma anche più presenti nella realtà che ci circonda, più concentrati sul qui ed ora, meno condizionati dalle ossessioni. Con un ricaduta benefica sul comportamento, sulle relazioni con gli altri, addirittura sul sistema immunitario o sulla conformazione dell’encefalo: neuroplasticità. L’aspetto più interessante è che, ogni volta che approccio a tecniche di questo tipo, mi tornano in mente molti dei precetti che da bambino mi insegnavano al catechismo. Che ritrovo anche in religioni diverse da quella cattolica. Regole e rituali che, in una società sempre più laica, sono stati abbandonati per primi, anche dai credenti praticanti. Senza nulla togliere al dogma ed agli aspetti propri della dottrina e della fede. Quanti mangiano di magro il venerdì o si privano di qualcosa durante la Quaresima? O, banalmente, rivolgono un pensiero di ringraziamento prima dei pasti? Con ciò non voglio accusare nessuno di poca religiosità, e ci mancherebbe, lo dico da laico, ma sottolineare il fatto che quelle regole erano state poste per soddisfare i nostri bisogni psicologici, averle trascurate ci priva di qualcosa, che magari andiamo a ricercare nella meditazione. Il senso della gratitudine per ciò che si ha e che non è affatto scontato, dalla salute al benessere, al cibo quotidiano. Il senso della rinuncia, del piccolo sacrificio che ci insegna a non dipendere dagli oggetti materiali, un tempo si diceva «fare un fioretto». Il distacco dalle passioni, già atarassia per gli antichi greci, a sostituire l’ira, ma anche il continuo incalzare delle incombenze quotidiane. La contemplazione, il fermarsi un momento, per una meditazione o una preghiera, più semplicemente prendere un respiro per noi stessi. Il desiderare il bene anche per i propri nemici, che ci libera dal desiderio di vendetta, regalandoci un sollievo psicologico e la libertà di dedicarci alle nostre attività. Senza che per questo ci debba essere perdono o riappacificazione: il messaggio cristiano è molto più forte e completo perché punta a risolvere il conflitto, ma indubbiamente include il semplice benessere psicologico di voltare pagina e guardare avanti. L’allontanamento, il viaggio, per un periodo più o meno prolungato, il pellegrinaggio da cui tornare accresciuti per l’esperienza fatta, i posti visti, le persone incontrate. Tutti questi elementi, non dogmatici, ma rituali, sono comuni a molte religioni perché hanno in comune la psicologia dei loro seguaci. È per venire incontro a queste loro esigenze che, da sempre, includono rituali di questo tipo. Più di tutti, spesso si facilita la meditazione con la ripetizione cadenzata di una litania, un mantra, uno «strumento del pensiero» che costringe la mente a concentrarsi, senza sforzo, sulla cantilena, distogliendosi dalla prepotente invadenza dei pensieri ossessivi. Se ne esce con una sensazione di sollievo, quasi di essersi presi una breve vacanza dalle preoccupazioni quotidiane. Non era forse questo lo scopo psicologico di recitare quotidianamente il Santo Rosario, al di là della preghiera verso la divinità? Non è una forma di meditazione? Quanti, anche credenti, la praticano ancora?