Ho fatto un fioretto e, dando fondo a tutte le mie riserve di pazienza, ho letto per intero e con la dovuta attenzione l’articolo che Roberto Saviano ha scritto nel numero del settimanale La Lettura, distribuito dal quotidiano Corriere della Sera, del 9 maggio 2021, pp. 2-5. L’articolo, sobriamente titolato Il veleno di Assad, tende a promuovere il libro di Joby Warrick, appena pubblicato in Italia per i tipi de La Nave di Teseo, con il titolo: La linea rossa. La devastazione della Siria e la corsa per distruggere il più pericoloso arsenale del mondo. Per chi non lo sapesse – io, ad esempio, povero provinciale, non lo sapevo – Warrick è un giornalista degli Stati Uniti, attualmente in forza al Washington Post. Un giornalista esperto, sia dal punto di vista anagrafico perché ha sessant’anni compiuti, sia per il suo curriculum personale: deve essere bravo, posto che già due volte ha vinto il Premio Pulitzer. Per Saviano, ciò che ha scritto Warrick ha la stessa autorità dei Vangeli. «Io sono la via e la verità e la vita» (Gv, 14, 6), poteva dirlo di sé stesso soltanto Gesù Cristo. Quando vengano in considerazione le opinioni espresse da un essere umano, consentitemi di ricorrere al sano esercizio del dubbio laico. La politica internazionale è una materia molto complessa. Molto più complessa dei traffici della camorra, della mafia e della criminalità organizzata in genere, studiando i quali Saviano è assurto a notorietà. La tesi esposta da Warrick ed entusiasticamente fatta propria da Saviano si può così sintetizzare. L’attuale presidente della Siria, Bashar al-Assad, deve essere ritenuto responsabile per aver ordinato l’impiego del Sarin – «un gas 26 volte più letale del cianuro» – contro gli oppositori. Per risultare più efficace, Saviano riassume molto e semplifica molto. Così scrive che al-Assad «ha bombardato migliaia di persone con questo veleno, ha usato i gas sulla popolazione civile, su persone indifese. Bambini, anziani, uomini e donne di ogni età e ogni attività sono stati sorpresi da questa morte atroce, sterminati con il gas ideato per uccidere i topi». Si noti che tutto il periodo, concepito in modo che ogni singola parola possa suscitare lo sdegno del lettore, è retto dall’incipit: «al-Assad ha bombardato». In Siria la guerra civile dura, purtroppo, da dieci anni, essendo iniziata nel 2011; ma, per Saviano, che sempre riassume molto e semplifica molto, la colpa di tutto quanto è avvenuto è soltanto ed esclusivamente di al-Assad: «Warrick raccoglie in Siria le “prove finali” [Nota: le virgolette sono state messe da me] di come il mondo abbia permesso che un assassino sanguinario e folle mietesse oltre mezzo milione di vittime e costringesse oltre 10 milioni di persone ad abbandonare le proprie case, a muoversi all’interno dei confini siriani o a decidere di lasciare il Paese». Come risolvere i problemi della Siria e, soprattutto, dell’infelice popolo siriano? Warrick e Saviano hanno la loro ricetta, bella e pronta. Al popolo siriano bisogna dare la “giustizia”. Non la pace interna, non la ricostruzione, ma la giustizia. Prima o poi al-Assad dovrà essere portato davanti a qualche Corte internazionale di giustizia, poi da questa condannato e punito in modo esemplare. Afferma direttamente Warrick, intervistato da Saviano: «Potrebbe sembrare un sogno, una fantasia, ma è già successo. Nel conflitto balcanico sono state commesse atrocità terrificanti e le persone che le hanno commesse l’hanno fatta franca per molto tempo. Ci sono voluti vent’anni prima che alcune figure chiave, i capi militari responsabili di quelle atrocità, fossero portati al cospetto del tribunale dell’Aja. Ma alla fine è successo. Penso che non dobbiamo perdere la speranza». Per quanto mi riguarda, non assocerei mai le parole “sogno” e “speranza” all’auspicio che il corpo di un uomo penzoli da una forca. Si pensi soltanto a quanto è successo in Iraq dopo che Saddam Hussein è stato, prima deposto, poi impiccato il 30 dicembre 2006. Com’è noto, gli Stati Uniti d’America nel mese di marzo del 2003 intrapresero una guerra contro l’Iraq, muovendo a Saddam Hussein le accuse di possedere segretamente armi di distruzione di massa e di fomentare il terrorismo internazionale. L’intervento americano non ottenne l’approvazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e fu quindi condotto unilateralmente, con il sostegno di una coalizione di “volenterosi”. Oltre agli Stati Uniti, che sostennero il maggiore sforzo bellico, l’apporto militare più importante fra gli alleati fu quello del Regno Unito. La guerra, denominata “seconda guerra del Golfo”, non ebbe storia: già alla fine del mese di aprile del 2003 le truppe anglo-americane completavano l’occupazione del Paese. La vittoria militare, tuttavia, non risolse alcunché. In Iraq la stragrande maggioranza della popolazione è sì di religione islamica, ma di osservanza sciita. I Sunniti, i quali, pur essendo localmente minoranza religiosa, erano al potere quando governava Saddam Hussein, una volta resi orfani del potere, hanno dato vita al sedicente Stato islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS). In altre parole, la deposizione e poi l’esecuzione di un tiranno qual era Saddam Hussein non hanno realizzato la “giustizia internazionale”, ma hanno semplicemente completato la destabilizzazione di uno Stato, il quale, a sua volta, si trovava inserito in un’area geografica delicatissima, oggetto dei contrastanti interessi di molte potenze, globali e regionali. Sappiamo cosa abbia fatto l’ISIS, dalla data dell’annuncio della sua formazione nel mese di giugno del 2014, in poi. Dall’ISIS sono derivati i seguenti effetti negativi per la Comunità internazionale: il riesplodere con la massima virulenza del conflitto fra Sunniti e Sciiti; l’imposizione della sharia, ossia della legge islamica, in tutti i territori controllati dai fondamentalisti sunniti; la persecuzione sistematica dei Cristiani d’Oriente e delle altre minoranze religiose; la diffusione del fondamentalismo islamico in tutto il Nord Africa e nell’Africa subsahariana; efferati e sanguinosi attentati terroristici in tutto il mondo, tanto in Europa e in Occidente, quanto nei Paesi islamici; l’aumento della pressione migratoria, sollecitata come fattore di destabilizzazione dei Paesi Occidentali.

Non è ancora finita. Perché è di ieri la notizia che a Kabul, in Afghanistan, è stata fatta saltare una automobile piena di esplosivo davanti ad una scuola frequentata da studentesse, proprio quando le ragazze stavano uscendo. Con un bilancio provvisorio di 55 morti e 150 feriti circa. I Talebani asseriscono di non essere stati loro e, probabilmente, è vero; i medesimi talebani afghani attribuiscono la responsabilità del bestiale attentato terroristico a quanto resta dell’ISIS nel loro Paese. I fondamentalisti islamici cercano di impedire che le bambine e soprattutto le ragazze possano ricevere una regolare istruzione scolastica, perché vogliono che le donne restino sottomesse. È la stessa logica che seguono i terroristi islamici di “Boko Harām”, nella parte settentrionale del continente africano. La parola araba “harām” significa proibizione e la parola “boko“, della lingua locale, indica la cultura occidentale. Le azioni terroristiche colpiscono sia Stati dell’Africa subsahariana, con particolare riferimento alla Nigeria, sia dell’Africa sahariana, come il Mali. Tutto questo riguarda una minoranza di fondamentalisti, i quali strumentalizzano la fede religiosa per perseguire i loro deliranti scopi politici. Non riguarda, invece, il mondo islamico nel suo insieme; meno che mai riguarda la religione dell’Islam. Mondo islamico e religione dell’Islam che meritano il nostro rispetto, sempre che il dovere di conoscere prima di giudicare valga anche in questo caso e non prevalgano invece il pregiudizio e l’ignoranza. Pregiudizio ed ignoranza che, in particolare negli Stati Uniti d’America, purtroppo sono abbastanza diffusi. Il mondo islamico in quanto tale non è il nostro nemico. Per quanto mi riguarda, ho grande rispetto per la storia e la cultura dei Paesi arabi, che è una storia plurale, così come ho grande rispetto per la storia e la cultura, rispettivamente, dell’Iran e della Turchia. Oggi gli Stati aventi maggiore popolazione nei quali la religione islamica è maggioritaria sono l’Indonesia, il Pakistan e il Bangladesh. Nel più popoloso Stato dell’Africa subsahariana, la Nigeria, c’è una competizione fra religioni: Cristianesimo ed Islam; con ancora una leggera prevalenza di cristiani. Tra gli Stati arabi, l’Egitto ha una cifra della popolazione superiore a quelle sia dell’Iran, che della Turchia, storiche potenze islamiche non arabe; ma la popolazione dell’Indonesia è più di due volte quella dell’Egitto. Nel complesso, oggi, nel pianeta, professano la fede islamica un miliardo e seicento milioni di credenti. A fronte di questi numeri, bisogna seriamente dubitare della sanità mentale di coloro che, con leggerezza mista ad ignoranza, parlano di “scontro di civiltà”. Il giornalista statunitense Warrick accusa Bashar al-Assad di essere un tiranno: «E quando c’è un’opposizione – non importa da quale direzione venga, dalla comunità islamica o da ambienti democratici – la soluzione è la brutalità. Il dissenso viene schiacciato». Questa è la grande mistificazione, alimentata da certa propaganda occidentale. Ossia che all’interno di società che non da oggi, ma in tutto il travagliato periodo del post-colonialismo, diciamo quindi a partire dagli anni Sessanta dello scorso secolo, sono state rette da regimi più o meno autoritari, possano tranquillamente valere le nostre belle regole improntate a valori liberal-democratici e si possa tranquillamente instaurare una normale dialettica tra maggioranza e opposizione. Chi sostiene questo, mente, sapendo di mentire. In quasi tutti i Paesi in cui si sono manifestate le cosiddette “primavere arabe”, l’opposizione che si è proposta contro il regime dominante non ha avuto le caratteristiche di un movimento politico improntato a valori liberal-democratici, o social-democratici, quali noi l’intendiamo, ma ha immediatamente puntato sulla fede religiosa per avere consenso sociale. Bashar al-Assad è un dittatore per caso. Secondo logiche monarchiche, ha ereditato il potere paterno, ma il vero erede era suo fratello, a questo compito specificamente addestrato. Un imprevisto, ossia la prematura morte del fratello, gli ha dato un potere per il quale lui, medico, non era tagliato e che forse in cuor suo non voleva. Di conseguenza, pubblicare, come ha fatto La Lettura, una fotografia in cui la sua foto, con il corredo di baffetti, è accostata a quella di Hitler, è una evidente forzatura. Il padre, Hafiz al-Assad, governò ininterrottamente la Siria dal 1971 al 2000. Gli Assad fanno parte di una comunità di Alauiti, di osservanza sciita (ma, non coincidente con gli Sciiti duodecimani dell’Iran), in uno Stato, la Siria, la cui popolazione è nella stragrande maggioranza di osservanza sunnita. Naturale, quindi, che un regime autoritario espresso da una minoranza religiosa abbia dimostrato una certa tolleranza in fatto di religione; della quale per lungo tempo hanno beneficiato i cristiani, anche loro minoritari, ma, prima della guerra civile, consistenti in Siria. Anche la condizione delle donne era notevolmente migliore rispetto a quella che si rinviene in altri Stati islamici più tradizionalisti. Per questo motivo i sunniti più fondamentalisti hanno maturato un odio mortale contro gli Assad. Grandissima parte degli oppositori del regime siriano, in questi dieci anni, è stata costituita da combattenti islamici sunniti. Non pochi dei quali alleati all’ISIS, o comunque amici dell’ISIS. In altre occasioni ho scritto, ed oggi confermo, di preferire Bashar al-Assad ai suoi attuali nemici interni, per i seguenti motivi: 1) perché penso sia importante che lo Stato della Siria mantenga la sua integrità territoriale, laddove invece si sono affacciati a più riprese progetti di spartizione del Paese. Da questo punto di vista, il regime attuale è l’unico che abbia un punto di vista e una tradizione “nazionali” siriani; 2) perché il regime di al-Assad è un modello di laicità e di tolleranza religiosa, se messo appena appena a confronto con le milizie islamiche che oggi gli si oppongono; vincessero gli attuali oppositori, avremmo la sharia come legge dello stato. Tutto questo non significa che per la Siria non si possano ipotizzare tempi migliori. È auspicabile, ad esempio, che molti siriani, i quali sono andati via per sottrarsi alla guerra civile, abbiano l’opportunità di ritornare, in un mutato clima di ricostruzione del Paese e dello Stato. Ed è possibile che il medesimo Bashar al-Assad, quando avrà ottenuto le necessarie garanzie che la Siria resterà uno Stato indipendente, con il suo territorio integro, decida egli stesso di farsi da parte, per favorire la pacificazione nazionale. L’odio contro la persona fisica di al-Assad, alimentato da Warrick e da Saviano non porta da nessuna parte. Questo è l’unico fatto indubitabile. Che poi, proprio in Siria, ci sia “il più pericoloso arsenale del mondo”, di armi chimiche, in quanto tali bandite dalla Comunità internazionale, mi sembra una sciocchezza talmente evidente, che non occorre nemmeno affaticarsi più di tanto per smentirla.