Nel mio usuale scorrere mattutino di veicoli di informazione, un paio di notizie hanno attirato la mia attenzione; entrambe riconducibili all’epidemia di coronavirus, ma non legate agli oramai stucchevoli dibattiti tra “allarmisti” e “negazionisti”. Tanto anche in questa diatriba vale l’appartenenza politica. D’altronde come quasi tutto in Italia. E non entro nel merito. Mi riferisco invece ai fatti di Napoli, una vera e propria sommossa popolare, e ad una legge Svizzera, o meglio un protocollo approvato che disciplina chi abbia diritto, alla bisogna, di essere assistito accedendo alla terapia intensiva. E da quest’ultima notizia, che sta facendo molto discutere, vorrei iniziare la mia trattazione. Innanzitutto vorrei, in due parole, riassumere il contenuto di questo protocollo della sanità Elvetica. La Svizzera si trova oggi in una situazione “pandemica” ancor più grave di quella italiana, ed anche l’organizzatissimo paese nostro vicino di casa deve cominciare a fare i conti con una possibile insufficienza di posti in rianimazione, nonché di personale medico specializzato in tale delicata disciplina. Il citato protocollo individua le regole, in caso di ulteriore aggravamento della situazione covid, stabilendo chi avrà diritto e chi no ad accedere ad un posto in rianimazione. E’ una disposizione di legge terribile. Perché l’argomento è terribile. Ma la vorrei leggere alla luce di un freddo pragmatismo, anche se faccio fatica ad approcciarmi all’argomento ed a prendere una posizione definitiva. Queste le controverse disposizioni. In caso di emergenza e di carenza di posti gli anziani con più di 85 anni non potranno accedere alla terapia intensiva. Così anche gli ultrasettantacinquenni afflitti da altre gravi patologie che ne mettano a rischio la vita indipendentemente dal covid; ed anche chiunque, che per malattie cardiovascolari od oncologiche o comunque particolarmente gravi, abbia un’aspettativa inferiore ai dodici mesi di vita. Una legge da antica Sparta, di Tarpea ispirazione. Può essere condivisa od avversata, ma i nostri cugini, nel secondo caso, lo hanno fatto senza alcuna spinta demagogica. Alcuni hanno di fatto criticato il terzo punto, sostenendo che non si può lasciare morire una giovane madre con poche speranze di vita per salvare un settantacinquenne che potrebbe farcela in terapia intensiva. Critiche che vanno oltre il protocollo. In realtà in Svizzera lo Stato ha voluto prendersi la responsabilità di scelte dolorose e crudeli in ciò sgravando il personale medico da scelte personali e terribili. Ovvero dover decidere chi vive o chi muore. Una legge fredda, dettata da un terribile pragmatismo, ma forse necessaria, purtroppo, per dettare in anticipo delle regole certe, empiriche e dimostrabili con la sola carta di identità, alle quali attenersi in caso di un futuro aggravarsi della situazione. Sigmund Freud diceva: “non si muore perché ci si ammala, ma ci si ammala perché fondamentalmente bisogna morire”; in Svizzera hanno ulteriormente razionalizzato ed “applicato” questo concetto. Disciplinandolo. Immaginatevi cosa sarebbe successo in Italia nel caso venisse proposta una legge similare. Una levata di scudi demagogica, della Chiesa prima: “vergogna! Solo Nostro Signore può decidere chi deve morire! Volete forse arrogarvi un potere divino?”. Oppure quella sempre folta dei benpensanti che avanzerebbero accuse di genocidio di anziani, di scelte disumane, e via dicendo. Sì. Sono scelte disumane, ma che è meglio che se ne assuma la responsabilità lo Stato, nel rispetto di regole certe, piuttosto che il singolo medico, così come si dice sia successo negli ospedali di Bergamo durante la “prima ondata” del virus. Il citato protocollo in Italia non potrebbe mai essere approvato anche perché le regole certe, non sono ben accolte e digerite… perché difficilmente aggirabili. Noi siamo il paese del “lei non sa chi sono io!” dove una telefonata del cardinale o del deputato di turno, al primario messo lì da una corrente politica può far sì che un novantacinquenne pluripatologico venga scelto a scapito di un trentenne padre di famiglia. Ecco questo è proprio quello che non vogliono i nostri freddi, pragmatici, antipatici cugini svizzeri. Veniamo ai fatti di Napoli. Solo per una veloce riflessione. Peraltro mai accennata dagli organi di informazione e quindi forse frutto della mia sola mente contorta. Mi chiedo. Possibile che per un possibile lockdown, tra l’altro solo parziale, si sia assaltato il palazzo della Regione, aggredite le forze dell’ordine, incendiate macchine e cassonetti, infranto vetrine? Alcuni scrivono di provocatori incappucciati mischiati ai manifestanti. Ma chi potrebbero essere costoro? Una rappresentanza estrema di commercianti del ramo abbigliamento? Baristi e ristoratori incazzati? Pettinatrici sovversive?  Si provi a pensare qual è l’industria che più ha da perdere da un lockdown… una industria che prospera spesso protetta dal buio della notte, che fa numeri economici impressionanti, nel ramo dei furti in abitazione, dello spaccio di droga, della prostituzione. Non dico altro e qui mi fermo se non ricordando come molti di costoro, come riportato dall’informazione, godano del reddito di cittadinanza… Speriamo che arrivi presto un vaccino od una cura certa, perché al di là di ogni valutazione circa la mortalità del virus, circa la sua pericolosità reale, una cosa è certa: sta apportando dei mutamenti, se non degli stravolgimenti del nostro modo di vivere che forse, in futuro creerà più danni del virus stesso. A noi, in quanto “esseri umani sociali” ed alla nostra economia.