Molto si è detto e scritto su papa Benedetto XVI. Soprattutto ora, all’indomani della sua scomparsa, numerosi sono i tentativi di una valutazione complessiva della sua figura. Se è sostanzialmente unanime la stima per la statura dell’uomo e del pensatore, molto variegate sono le considerazioni sulla sua opera in quanto prefetto per la dottrina della fede, papa e papa emerito. Si passa dall’approvazione incondizionata alla critica anche molto decisa, come nel caso di Vito Mancuso, teologo e, in quanto tale, per definizione persona che crede in Dio. Leggere Vito Mancuso mi ha sempre provocato un certo disagio, a marcare una evidente, seppure  indefinibile, distanza. Soddisfatte le prime curiosità, è stata facile difesa evitare la lettura senza troppo riflettere sui motivi del disagio. Ma ecco, proprio a proposito di Benedetto XVI, La Stampa pubblica una serie di articoli del teologo, a date ravvicinatissime. L’invito è suggestivo, la curiosità riemerge, a maggior ragione in quanto l’autore premette di scrivere solo in prospettiva critica “perché non mi sono mai riconosciuto nella sua teologia e perché considero il suo papato un momento più negativo che positivo per la Chiesa e la società contemporanee”. Ci vorrà tempo per dare una corretta valutazione del papato di Benedetto XVI e mi pare già azzardato un giudizio così perentorio. Ma ancora più azzardata è l’elaborazione di un’analisi psicoanalitica della personalità di papa Benedetto “uomo impaurito”, basata su alcuni termini linguistici ricorrenti in un unico, per quanto significativo, testo: il testamento spirituale scritto nel 2006. Un’analisi psicoanalitica risulta spesso suggestiva ma certo non è mai decisiva; accanto ad essa se ne possono porre facilmente altre di intonazione diversa se non addirittura opposta e altrettanto suggestive. Karl Popper docet. E comunque si tratta di una lettura piuttosto riduttiva: per guardare ad una figura come quella di Joseph Ratzinger, con il suo innegabile peso storico e culturale, occorre porsi su un piano un pochino più alto. Anche chi esprime disaccordo con l’operato di papa Benedetto non lo farà certo su pur intriganti argomentazioni di tipo psicologico. Riferendosi ancora al Testamento spirituale, Vito Mancuso osserva stupito che non vi sono parole di apprezzamento per le scienze bibliche, citando correttamente dal testo: “Sono ormai sessant’anni che accompagno il cammino della Teologia, in particolare delle Scienze bibliche, e con il susseguirsi delle diverse generazioni ho visto crollare tesi che sembravano incrollabili, dimostrandosi essere semplici ipotesi: la generazione liberale (Harnack, Jülicher ecc.), la generazione esistenzialista (Bultmann ecc.), la generazione marxista”. Egli tralascia però, o più precisamente interpreta un po’ troppo liberamente, la conclusione cristallina: “Ho visto e vedo come dal groviglio delle ipotesi sia emersa ed emerga nuovamente la ragionevolezza della fede. Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita”. Ma il tema che rende particolarmente spinosa, oserei dire inaccettabile, la critica è quello che riguarda la dittatura del relativismo strettamente collegato alla questione  dei principi non negoziabili. Dittatura del relativismo è un’espressione che si presta ad una facile critica in quanto in sé contradditoria se si pensa a relativismo come pluralità di idee. Ben venga in questo caso. Ma quando il relativismo si spinge a non riconoscere alcuna verità, giunge all’affermazione palesemente assurda che la verità non esiste.  Vengono qui alla mente parole forti di Pavel Florenskij, figura cara a Vito Mancuso a cui dobbiamo gratitudine per aver promosso la pubblicazione di sue importanti opere in italiano: “La verità è irraggiungibile. Non si può vivere senza verità”. Quanto ai principi non negoziabili, dopo aver precisato che la “non negoziabilità è legittima e necessaria a livello di foro interiore, nel senso che ognuno non deve mai tradire le proprie convinzioni”, conclude che “a livello politico non c’è nulla che non sia negoziabile, dato che la negoziazione, ben lungi dall’essere relativismo, è l’anima stessa della politica democratica”. Un’affermazione questa a dir poco azzardata. No, di più, è inaccettabile. Esistono eccome principi inviolabili, pare perfino banale esplicitarli, e nessuna politica che si rispetti può ignorarli. Risuona nel sottofondo di quel “non c’è nulla che non sia negoziabile” la voce di Ivan Karamazov:  “Se Dio non esiste, tutto è permesso”. E quel SE è potente, perché dice tutta la tensione di Dostoevskij verso Dio che deve esistere. Quello stesso SE che non ritroviamo in un altro spirito inquieto. “Niente è vero. Tutto è permesso”, esclama Nietzsche, e crolla.