In queste poche righe si intenderà dare notizia di alcune considerazioni nate dopo la lettura dell’Estate corsara (Puntoacapo Editrice, 2022) di Alessandra Corbetta. Non nascondiamo dubbi di varia natura su questo lavoro, che molto poco si discosta stilisticamente dal precedente Corpo della gioventù (ivi, 2019) dimostrando come la Nostra consolidi la propria voce in un’odierna “linea lombarda”. Che dire, dunque? A nostro parere il discorso dell’autrice, fatto di modeste meditazioni sul quotidiano esistenziale, risulta schermato da codici esclusivamente personali. Che questo tipo di “misteriosità” voglia essere un possibile senso poetico? Chi può dirlo?  Ovvio che un tale gesto, in qualche modo snobistico, non intenda “abbracciare” la fantasia del lettore né condurlo verso dimensioni altre, ma anzi – con crudezza, ma pulita e graziosa – sembra riportare parole trascritte in vista della dimenticanza, al modo di un diario criptato. Ciò non è un male in sé, e, all’opposto, si farebbe apprezzare se fosse manifesta, in questi versi, un’originalità formale di qualche tipo, ma così non è. E pure gli sparsi calchi dalle opere dei maestri risultano ben poco innovativi, basti pensare al Sereni dell’«ombra più ombra di fatica e d’ira», che qui diventa: «Ombra nell’ombra di cui il volto» (da Nero). Muove giusto una qualche simpatia, per trovare un moto positivo all’occhio del critico, certa soffusa saudade memore di un indefinito ormai perduto, e che – a nostro dire – carica perlomeno di una vaga emozione le poesie in-comunicanti di questa studiosa di comunicazione.