Ogni popolo, per quanto piccolo possa essere, ha bisogno, per crescere, di miti, miti che si trasformano in idee-forza. I miti nazionali nacquero in epoca romantica e, per l’Italia, il mito nazionale per eccellenza non poteva che essere quello di Roma antica, mito che accomunò personaggi diversissimi tra loro quali, per esempio, Giuseppe Mazzini e Quintino Sella. Che poi questo mito abbia fornito un’immagine non del tutto esatta di ciò che Roma antica fu, poco importa: nell’Ottocento esso riuscì a catalizzare le forze migliori del popolo rendendole utili e necessarie per il conseguimento di un grande ideale, quello dell’unità nazionale. La moderna archeologia (penso alla scuola di Andrea Carandini) e la moderna storiografia hanno poi reso parzialmente giustizia agli agitatori ottocenteschi: certi miti, magari non tutti, si sono poi rivelati realtà. A chi si occupa di storia delle idee interessa, peraltro, sapere solo che i giovani scappavano di casa per indossare la camicia rossa al grido di “O Roma o morte!”, non al grido di “Viva il suffragio universale”. A qualcuno potrà non piacere, ma è stato proprio così… E fu proprio Garibaldi, nel 1862 e nel 1867, a tentare due sfortunate spedizioni per la liberazione di Roma, conosciute rispettivamente come l’impresa di Aspromonte e quella di Mentana. Ma Roma verrà liberata solo nel 1870 quando alcune circostanze internazionali lo permisero (la guerra franco-prussiana in primis). Fu liberata dall’esercito di quella Casa Savoia che, ebbe il grande coraggio, pur vantando nelle proprie file non pochi Santi e Beati ed essendo la custode della Sacra Sindone, di dare l’ultimo scossone al potere temporale dei Papi. Già, il potere temporale dei Papi. Esso si basava su di un falso, la donazione di Costantino, riconosciuto tale già in epoca rinascimentale da Lorenzo Valla e contrario al precetto evangelico di dare a Cesare ciò che gli compete e all’affermazione del Cristo secondo il quale il Suo Regno non è di questo mondo. Per puntellare l’ormai traballante potere temporale ci si inventò, il 18 luglio 1870, l’antiscritturale dogma dell’infallibilità papale ma, evidentemente, il Re Galantuomo non si lasciò impressionare più di tanto. Non così quei vescovi e quei cardinali che, non accettandolo, provocarono uno scisma creando la confessione dei Vecchi Cattolici (in Italia praticamente non esistono, sono piuttosto presenti in Austria e in Svizzera). Senza volermi addentrare in discussioni teologiche che non mi competono faccio solo la seguente osservazione: il dogma dell’infallibilità papale cozza contro l’ecumenismo, impedendo un franco dialogo financo con le stesse Chiese che si basano su concezioni teologiche analoghe a quella Cattolica, quali l’Ortodossa e l’Anglicana. In ogni caso, i Bersaglieri che il 20 settembre 1870 irruppero attraverso Porta Pia, seguiti dai Fanti del 19° Reggimento comandato dal nizzardo Alberto Teofilo Garin di Cocconato (lo cito apposta in quanto ho notato che il contributo della perduta Nizza all’unità della nostra Patria viene spesso dimenticato), liberarono Roma ma liberarono anche la Chiesa da un fardello troppo pesante, che la soffocava nell’esercizio della propria funzione spirituale. I miei genitori diedero ai loro figli una forte educazione patriottica e in casa il XX Settembre solo in questo senso si commemorava, l’anticlericalismo non vi aveva alcuna parte. Perché il senso dello Stato laico nulla ha a che vedere con l’anticlericalismo. Laicità significa, e non è così poco, “Libera Chiesa in Libero Stato”, secondo l’insegnamento del Conte di Cavour, non significa assolutamente combattere la religione ma rispettare le funzioni di due istituzioni che operano su piani diversi e che si devono reciprocamente rispettare. E se è giusto, non potrebbe essere altrimenti, riconoscere che il Cattolicesimo è la religione della maggioranza degli italiani, non possono essere trattati come cittadini di serie B italiani di altra fede, che nelle guerre d’Italia e negli sforzi per l’unità nazionale combatterono con lo stesso impegno dei cattolici e che nella nostra penisola sono stanziati da secoli (penso ai Valdesi in Piemonte, agli Ortodossi in Meridione, agli Ebrei). E non si può non riconoscere il contributo notevole dato al Risorgimento da personalità cattoliche: Gioberti, Rosmini, don Ugo Bassi, martire della Repubblica Romana, don Giovanni Verità che salvò la vita a Garibaldi e che, per quanto perseguitato dai suoi superiori, mai rinnegò una virgola della propria fede, profondamente sentita, e tanti altri. Venne poi la prima guerra mondiale e anche lì le masse cattoliche diedero il proprio contributo. Anni fa passeggiavo per le vie di una cittadina turistica marchigiana e notai una lapide all’ingresso del Liceo Classico, lapide che ricordava gli studenti caduti nella Grande Guerra, caduti da eroi perché formatisi agli insegnamenti provenienti dall’Ellade e da Roma. Dopo pochi passi notai una lapide sull’oratorio cattolico, ove venivano ricordati i frequentatori caduti durante la Grande Guerra, anch’essi caduti da eroi perché formatisi agli insegnamenti del Vangelo. Non c’è bisogno di commenti, intelligenti pauca… Io parlo sempre di laicità e la difendo, mai di laicismo. Esso è oggi diventato un’ideologia estremista, intrisa di giacobinismo d’accatto, professata da anime inquiete che sembrano avere dei conti personali da regolare col Padreterno. Mi ricordo gli scomposti attacchi al Governatore della Banca d’Italia Fazio che faceva celebrare una Messa in suffragio dei caduti pontifici il XX settembre (ricorderò che la prima Messa in suffragio dei caduti borbonici a Gaeta fu ordinata dal generale Cialdini, non precisamente una mammoletta e che quella piazzaforte aveva conquistato…). Rispettare e, quando è il caso, onorare il nemico vinto è uno dei primi insegnamenti impartitimi alla Scuola Militare ma, oramai, in nome dell’ideologia ci siamo dimenticati persino l’ABC della civiltà, quella civiltà che magari pretenderemmo di insegnare ad altri popoli, eventualmente con l’ausilio di cacciabombardieri se questi popoli fossero un po’ duri di comprendonio. Io mi sono formato, invece, sul pensiero di Mazzini, un personaggio che fu intransigente nel difendere la laicità delle istituzioni, ma che non appartiene assolutamente alla cultura anticlericale. Fu egli stesso uno spirito profondamente religioso, scrisse spesso dei doveri versi Dio, irrise l’ateismo ed ebbe una sorella suora che, lo si evince dall’epistolario, trattò sempre col più profondo rispetto. E’ inutile, in momenti di crisi è sempre ai classici che dobbiamo tornare. I falsi profeti blaterano rumorosi e fanno danni, ma la loro catena è fatalmente misurata. Achille Ragazzoni
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