Cile settembre 1973, la condizione del Paese è vicina al collasso, con la paralisi di interi settori economici avvitato in un circolo vizioso: scarsità di generi e inflazione altissima fomentano lo scontento di autotrasportatori e commercianti, quindi le loro serrate di protesta, quindi ulteriore scarsità e salita dei prezzi. Scioperi di tutte le categorie, quotidiane proteste delle massaie. Oramai siamo al punto che non c’è da mangiare. La situazione dell’ordine pubblico è fuori controllo. Prima e dopo del Tanquetazo (il maldestro sollevamento di un reggimento blindato, a fine giugno) le settimane sono scandite da disordini, incidenti, ammazzamenti; ancora il 10 settembre per mano della polizia muore il camionista G. Valdés.

Lo scenario più probabile è la guerra civile. Unidad Popular è preparata, da tempo gli organismi governativi più strategici e sensibili sono arricchiti di personale cubano, nelle fabbriche vi sono dotazioni di armi leggere e, soprattutto dai dirigenti politici la guerra civile è evocata, in taluni discorsi paventata, più spesso auspicata[1]: una catarsi, un benefico lavacro, in molti lo pensavano. Carlo Prats il generale amico di Allende, comandante in capo dell’Esercito, poi sostituito il 22 di agosto con Augusto Pinochet Ugarte, aveva preventivato un tributo complessivo di cileni delle due parti fra i cinquecentomila e il milione di morti.

E arriva l’11 settembre. Già ben prima delle torri gemelle l’11 settembre per molti di noi è stata una data indelebile. Soprattutto nella Sinistra, perché i miti sono più ricchi di fascino se si fondano su una sconfitta, se hanno il sapore del martirio.

11 settembre. Alle due del mattino il comandante in capo della Marina, l’ammiraglio José Toribio Merino ordina a tutte le unità navali che erano in mare aperto di portarsi a Valparaìso: la sedizione proprio lì ha inizio alle ore sei; e in poco tempo viene preso il controllo delle radio e di tutta la seconda città del Paese. Da subito convogli della Marina salgono verso la capitale. Dove il segnale è dato dall’Esercito: obiettivi sono il palazzo della Moneda, la residenza presidenziale in via Tommaso Moro, le fabbriche dove c’erano le più alte concentrazioni di operai. Il presidente riesce a portarsi alla Moneda, scortato da venti uomini del Gap (Grupo de Amigos Personales del presidente). Il ministro della Difesa O. Letelier viene arrestato mentre si accinge ad entrare nel suo ufficio.

Alle 9:15 la prima chiamata al presidente: gli si chiede resa incondizionata e gli si offre un aereo, per qualsiasi Stato tranne Argentina. Rifiuto. Altre chiamate, poi l’ultima gli intima di uscire entro le 11:00, dopodiché l’aviazione avrebbe iniziato a bombardare il palazzo. Cosa che avviene alle 11:52, dopo che si è dato modo ad una cinquantina di persone di uscire, fra le quali i familiari più stretti[2]. Intorno a quelle ore c’è la famosa frase ascoltata nelle comunicazioni fra i golpisti: «Lo mandiamo fuori dal Paese … però durante il volo l’aereo cade …»[3]. Intanto, fra quelli asserragliati nel palazzo, il capo dell’Informazione A. Olivares si tira un colpo alla tempia.

Otto passaggi aerei sul palazzo, l’ultimo alle 12:08, diciotto bombe, nessun danno agli edifici circostanti la Moneda. Il presidente è al secondo piano. Si stima che Salvador Allende sia morto intorno alle 14:15. A lungo si è disquisito se realmente sia stato suicidio, per i sostenitori era più bella una morte per mano del nemico: l’autopsia delle ore successive e poi una ulteriore autopsia nel luglio 2011 lo hanno sancito. Il suo medico personale, alcuni anno dopo, riferì di esser stato fortuitamente presente all’attimo stesso in cui Allende si sparava, il mitra AK47 posto con la canna sotto il mento, e di aver visto il vertice della teca cranica volare in alto[4]. Potrebbe altresì aiutare una attenta lettura del suo ultimo messaggio radio, che fu inciso su un 45 giri di vinile e diffuso nel mondo a decine di migliaia di copie (con brani del testo ci composero pure una canzone).

Lui profetizza «Superaràn otros hombres este momento gris y amargo…» Come a dire «Verrà un Dopo ma io non ci sarò …». Alle 14:45 le truppe irrompono nell’edificio in fiamme. Altre persone che agitano drappi bianchi vengono fatte uscire. Intorno alle tre del pomeriggio dell’11 stesso la radio comunica che «L’ordine regna in Chile». Non era proprio così, sacche di resistenza, raffiche di mitra, cecchini isolati si trascinarono ancora per giorni, via via sempre meno.

Guerra civile: ma non è una parola grossa?

Patricio Aylwin, presidente del Senato e futuro presidente del Cile democratico (1990-1994)[5]: «S.Allende si apprestava a compiere un autogolpe: l’intervento delle FFAA non fece altro che anticipare i fatti. Ha salvato il Cile da una dittatura comunista o da una guerra civile». Inoltre[6]: «Un autogolpe con milizie armate e la “collaborazione” di non meno di diecimila stranieri che ormai erano nel nostro Paese».

Eduardo Frei Montalva, ex presidente del Cile[7]: «La gente in Europa non immagina (…) la guerra civile era perfettamente preparata: è questo che il mondo non conosce o non vuole conoscere. Tu non desideri essere operato di cancro, però arriva il momento in cui devi operarti. I nostri chirurghi sono le FFAA e la popolazione ha insistentemente sollecitato l’intervento. (…) Vi sono molti pubblici funzionari democristiani che collaborano con la Giunta militare».

E sempre Frei nella storica lettera a Mariano Rumor, l’allora presidente della Internazionale democristiana: «Erano entrate in Cile varie migliaia di rappresentanti della estrema sinistra mondiale, della guerriglia e dei movimenti rivoluzionari di estrema sinistra di America, Tumamaros di Uruguay, guerriglieri di Brasile, Bolivia, Venezuela … L’ambasciata di Cuba si era trasformata in un vero Ministero, tale che essa da sola aveva un personale più numeroso di quanto ne avesse il nostro stesso Ministero degli Affari esteri nel 1970. Questo dà la misura. Da tutti i Paesi socialisti, finanche Corea del Nord. Uomini conosciuti in tutto il continente per le loro attività guerrigliere stavano qui, stipendiati dalla nostra Pubblica Amministrazione, ma poi dedicavano il loro tempo a implementare scuole di guerriglia e addestramento paramilitare; sul territorio nazionale! Luoghi dove non potevano introdursi uomini dei Carabineros o delle FFAA. E, con le persone, la illegale importazione di armi[8]».

Infine l’arcivescovo di Santiago, card. Raùl Silva Henriquez (che pure inizialmente aveva simpatizzato per l’esperimento di U.P.): «I militari non hanno voluto il potere, piuttosto è stata la maggioranza del popolo cileno che li ha spinti ad assumere tale responsabilità».

Questo breve articolo (come i precedenti)si è prefisso, per ragioni di spazio, di dire solo le cose meno note, perché tutti già conosciamo le repressioni brutali, i desaparecidos, la sospensione dello Stato di diritto. Realtà oggettive abbiette, non giustificabili. Tre cose dobbiamo concedere a Pinochet.

  1. Lui stesso ha preparato la transizione alla democrazia e ha accettato il verdetto popolare. Tutti noi abbiamo davanti agli occhi le situazioni odierne di Nicaragua, Venezuela, Cuba: questi non mollano il potere a morire.
  2. Il costo umano della dittatura (i morti, i torturati, i reclusi, …) non è comparabile col costo umano della guerra civile ormai prossima.
  3. Il Cile, che nel 1973 era sull’orlo della bancarotta, ha prodotto (negli anni di Pinochet) due miracoli economici e oggi è incontestabilmente e durevolmente l’economia più florida e stabile dell’America latina. E attira immigrazione.

Torna alla mente quella signora iraniana che mi diceva[9]: «Pensi, se quelle trecento persone che protestavano davanti alla casa dello Scià lui, ascoltando il primo ministro avesse usato la mano dura, le vittime sarebbero state al più trecento; invece quanti morti abbiamo pianto dal 1979 a oggi? Nei soli primi dieci anni in Iran non meno di tre milioni».


[1] Vedi anche 50 anni fa il Cile, 28 febbraio 2023

[2] Fra coloro che restarono vi era La Payita, la segretaria-amante del presidente; sul conto bancario della quale, in Canada, si trovarono depositati sei milioni di dollari canadesi: «Come “risparmi” di una segretaria sono niente male!» ironizzò il “Sunday Express” di Ottawa.

[3] Pronunciata da Pinochet. È stato poi detto che era una battuta di humor, per stemperare una tensione che tutti pervadeva; in altri passaggi si può cogliere un fermo intento del farlo espatriare, tant’è che parecchio discutono fra loro, i comandanti in capo, se potesse essere meno offensivo e dannoso avere un Allende recluso e quindi oggettivamente vicino ai suoi supporter o averlo esiliato in un Paese socialista con il massimo delle possibilità di comunicazione verso tutto il mondo. E poi un “incidente aereo” non si improvvisa, sono cose che necessitano meticolose preparazioni; e di tutte le registrazioni (ormai di pubblico dominio) non si rinviene alcuna istruzione inerente ad artiglieria contraerea o altri presidi pertinenti. Comunque la frase è udibile.

[4] Intervista trasmessa dalla Rai in “Mixer” di G. Minoli.

[5] Dichiarazione alla tv spagnola, settembre 1973.

[6] Dichiarazione a NC News Service, settembre 1973.

[7] Intervista al quotidiano spagnolo “Abc”, 10 ottobre 1973.

[8] Vedi anche Cile. Le trame degli Stati Uniti la visita di Fidel Castro, 15 aprile 2023

[9] Vedi Febbraio 1979 14 febbraio 2023.