ANNIVERSARI: IL GOLPE DELL’11 SETTEMBRE

MESE DOPO MESE QUEL DRAMMATICO 1973. Il governo di Unidad Popular rovesciato da un golpe militare, la morte violenta del presidente Salvador Allende, le repressioni. Una intera generazione è stata segnata (innamorata) da un fatto che subito divenne epopea. Il bene che combatte il male e, proprio perché ne è vinto, si purifica degli aspetti meno commendevoli fino ad assurgere a mito. Come la Guerra di Spagna.

Una generazione di giovani crebbe col mito del Cile. Grazie alle arti, soprattutto: i murales della Brigada Ramona Parra, la poesia di Pablo Neruda e Rafael Alberti (appunto, un tutt’uno con la Spagna) ma soprattutto la Nueva Canciòn Chilena. Inti Ilimani, Quilapayun, Isabel e Angel Parra e altri minori, tutti i discepoli della grande Violeta Parra. E poi Victor Jara, che recava pure le stimmate del martirio, in senso figurato e letterale: rinchiuso nello stadio Chile, prelevato e torturato, gli fratturarono le mani schernendolo: «Suona adesso la chitarra, se ne sei capace!».

Victor Jara, cantautore, poeta e regista teatrale, aveva infuso nelle sue opere un misticismo e un vocabolario religioso (da giovane era stato in seminario) paradigmatici di quell’utopia tutta latinoamericana che vuole realizzare il Regno di Dio sulla terra, impastando sincreticamente marxismo e cristianità coloniale. Dunque l’epopea romantica del Cile consiste nel tutto, abbraccia entrambe le figure speculari, Allende e Pinochet, l’intero decennio dei ‘70. Perché se importante è l’inquieta storia dell’esperimento soffocato (1970-73) non meno necessaria è la repressione della dittatura militare come mito negativo. Fa niente se nel frattempo il paese si rimise in piedi e costruì un’economia prospera (il “miracolo economico cileno”), la più solida del continente: noi in Europa eravamo troppo affezionati a quella narrazione e tutt’ora siamo restii a scalfirla.

Proviamo a raccontare, mese dopo mese, tutto il 1973.

L’anno era iniziato con una notizia che avrebbe dovuto esser positiva, l’aumento delle quotazioni del rame da 48,5 a 60 centesimi a libbra, quindi promessa di maggiori introiti. Ma il paese non ne poté godere più di tanto, perché paradossalmente non era più in grado di soddisfare la domanda, in quanto la nazionalizzazione si era accompagnata a una minore efficienza e a un calo della capacità produttiva.

Nazionalizzazione: parola evocativa di riscatto e di emancipazione, finalmente ci riappropriamo del nostro, lo straniero non succhierà più il nostro sangue. Nasser che nazionalizza Suez, Cuba con l’industria azucarera e, appunto, Allende con il rame. Pertanto l’industria estrattiva era stata in gran parte nazionalizzata: minerali, nitrati, carbone. Così pure la totalità dell’industria tessile. Nazionalizzazione ma anche statizzazione. E non solo i tycoon, a fine 1971 cinquemila medie imprese erano state tolte ai proprietari e collettivizzate. Il sistema bancario privato, nazionale e straniero statizzato già nel 1971 e successivamente il Banco de Chile e il Banco di Credito e Investimenti. Allende, nel famoso discorso del primo anno di governo, 4 novembre 1971: «Controlliamo il 90% di quelle che erano le banche private, le 16 banche più grandi, più di 70 imprese strategiche sono state espropriate: siamo padroni!». Dunque statizzazione e pianificazione centrale: «Però questo non implica che le imprese possano essere autonome nel produrre. No, noi siamo e saremo partigiani di una economia centralizzata: le imprese dovranno sviluppare i piani di produzione che fissa il governo[1]».

Allende e Unidad Popular lo dicevano chiaro, volevano trasformare il Cile in un paese socialista come l’Urss: statalizzazione, direzione centrale dell’economia, eguaglianza. E, quanto al modo (lo dissero, lo scrissero, lo agirono), misure rivoluzionarie per conseguire tali scopi.

Non solo i mezzi di produzione ma l’istituto stesso della proprietà privata: dal 1970 al solo gennaio 1972 cinquemila e settecento abitazioni avevano perso i loro legittimi proprietari, o per espropriazione o per toma ossia occupazione illegale.

Toma, letteralmente “la presa”, se usiamo il metro dello Stato di diritto sono insediamenti illegali; ma per capire questo esteso fenomeno occorre un approccio movimentista, immedesimarsi in un processo di cambiamento, un grandioso progetto di redistribuzione della proprietà. Progetto che, in forme legali era auspicato anche dalla Chiesa latinoamericana (benevolo, speranzoso e malcelato simpatizzante di Unidad Popular, fu il ruolo dell’arcivescovo di Santiago e Primate in Cile, cardinale Raùl Silva Enriquez); progetto che si era iniziato ad attuare già con la precedente presidenza del democrata cristiano Eduardo Frei (ma lui era troppo legalista).

La storia di quel triennio è tutta punteggiata di episodi di toma e potevano essere case, poderi agricoli o fabbriche, dove talvolta i legittimi proprietari se si opponevano morivano negli scontri: poi se anche vi erano presenti i futuri fruitori, essi erano comunque addestrati e militarmente scortati (e catechizzati) dalle formazioni paramilitari fiancheggiatrici di Unidad Popular: innanzitutto il MIR, Movimiento de Izquierda Revolucionaria, fondato nel 1965, il quale «rinnega la via pacifica perché disarticola politicamente il popolo (…) la unica via per distruggere il capitalismo è la insurrezione popolare armata» e coerentemente realizzò sino all’avvento della dittatura un piano di attentati e omicidi, nonostante avesse verso Unidad Popular una posizione di “appoggio esterno”. Ma le sigle dei movimenti armati erano tante, ogni partito della coalizione aveva la propria. E furono tre anni di instabilità.

Si è parlato molto degli aiuti esterni all’opposizione, che essa fosse eterodiretta, della regia statunitense ecc ecc. Beh, i fatti e la cronologia di essi, certificano che si era inaugurata una trasformazione rivoluzionaria della società. E, ci dice Mao, non è mica un pranzo di gala. La mobilitazione permanente, la “legalità rivoluzionaria” (ossimoro), concretamente ha prodotto tre anni di turbolenza, di insicurezza (sì, come la repubblica spagnola, non dal 1936, già dal 1931). Guerra civile: Unidad Popular la aspettava, la considerava ineluttabile, ostinatamente la suscitava, quale momento catartico, separazione del grano dal loglio. «Non c’è dubbio che, mano a mano che si radicalizza il processo di costruzione di una nuova società nel nostro paese, si prepara un serio scontro tra le forze conservatrici e quelle che lottano per creare questa nuova società» (Carlos Altamirano, segretario gen. del Partito socialista). «Lo Stato borghese non serve per costruire il socialismo: è necessaria la sua distruzione» (documento ufficiale del PS). E Allende stesso «Ascoltino bene: useremo la violenza rivoluzionaria» (gennaio1972).

Oggetto della toma erano anche terreni su cui poi gli occupanti edificavano, creando così nuove baraccopoli (nient’affatto dignitose, peraltro), le poblaciones. Un dato gravissimo è che queste “Zone liberate”, così si autodefinivano, erano inaccessibili allo Stato e l’autorità politica era esercitata dalle formazioni guerrigliere che avevano promosso e coperto la toma stessa. Il competente capo del MIR (Alejandro Villalobos, comandante Mickey) intervistato da un quotidiano rispose: «I Carabineros? Non è che non possono entrare, debbono chiedere autorizzazione alle autorità del campo e noi siamo incaricati di portarli fino alla persona che essi stanno cercando».

Un bell’assist alle toma lo diede il ministro dell’interno, generale Carlos Prats quando nel gennaio 1973 firmò un provvedimento il quale, sconfinando nelle competenze del potere giudiziario (e violando la sua indipendenza) ordinava di non concedere la Forza pubblica per dare esecuzione alle restituzioni di immobili illegalmente occupati: i cittadini erano impotenti, lo Stato era contro di loro.

Con una tale insicurezza per la tutela della proprietà privata, erano crollati gli investimenti, e le imprese andavano all’estero: disoccupazione. Allora si inventarono posti di impiego in quelle aziende di recente statizzazione, le quali già producevano di meno: le miniere El Teniente passarono da 8mila a 12mila la loro pianta organica, la tessile Sumar da 2500 a 3500, le Birrerie Unite (che avevano dimezzato la produzione) raddoppiarono i dipendenti. Tutto coperto con produzione di cartamoneta. E relativa inflazione.

1972, ultimi mesi. Nell’ottobre 1972 il governo controllava l’80% delle grandi industrie, l’85% delle banche, l’84% delle imprese di costruzione, il 75%delle imprese agricole, il 52% delle piccole e medie imprese. Ma le cose non andavano bene: inflazione al 270%, e c’era scarsità di tutto. Nella grande miniera di Chuquicamata, del macchinario pesante ne funzionava un terzo; il 30 % dei bus urbani e il 21 % dei taxi erano fermi per mancanza di pneumatici o di pezzi di ricambio. I camionisti erano disperati, 56mila automezzi, 40mila proprietari: decisero lo sciopero. Da subito vi si unirono contadini (400mila), commercianti (120mila), docenti e studenti, bancari, piloti di linee aeree, autisti, e i collegi degli avvocati, medici, ingegneri, architetti. Risposta del governo, arresto e incarcerazione dei capi dei sindacati autotrasportatori (per il fatto in sé dello sciopero), coprifuoco in Santiago, stato di emergenza in dieci province, chiusura di emittenti radio e le seguenti indicazioni: «Requisiremo i camion, l’automezzo requisito non sarà restituito; se domani il commercio non riapre le porte, i commercianti stranieri saranno condotti alla frontiera, i nazionali alla giustizia»(così Allende). Ancora Altamirano: «E’ il preludio di una serie di scontri di classe che culmineranno con la battaglia per il potere totale».

Novembre 1972. I giornali informavano che «non c’è farina dal lunedì al venerdì, non si venderà carne bovina nei fine settimana» e che in determinate zone del paese «non ci saranno alimenti per chi non esibisce la “libreta de razonamiento”». Ed ecco che ci siamo arrivati, alla tessera annonaria[2], istituto permanente in pressoché tutti i regimi socialisti: la quale viene introdotta inizialmente per ragioni emergenziali, perché tutte le rivoluzioni piombano nella scarsità di beni (e mercato nero); ma che volentieri il regime mantiene, come forma di controllo sulla popolazione attraverso la somministrazione discrezionale e arbitraria dei beni di consumo basici.

Così che la vigila del Natale 1972, il giornale La Prensa informava che «le file[3] per acquistare la carne bovina o di pollo durano mediamente due giorni sotto le intemperie». È a dire che le code (che non si misuravano in termini di lunghezza ma di tempo) erano sulle 50 ore, notte e dì, costringendo ad accamparsi e a far turnare più familiari, per disputarsi e conquistare infine qualcosa da mettere sulla tavola il giorno della festa.

La gente, tutta la gente perché i meno abbienti non è che dalla penuria e dal disagio fossero dispensati, era esasperata. Questo fece dire a un leader della coalizione, il MAPU (cattolici di sinistra staccatisi dalla DC), José Antonio Viera Gallo: «Dovremmo essere la immensa maggioranza e non lo siamo; scusate se lo dico, ma non si può fare una rivoluzione contro la maggioranza». A fronte di qualche voce autocritica tuttavia, in Unidad Popular i più vi leggevano la lezione bolscevica per cui solo le avanguardie coscienti sono affidabili. Mireya Baltra del Partido Comunista de Chile: «Il fascismo ha preso contorni di massa: c’è da organizzare la difesa, isolato per isolato, c’è da scoprire dove vive il nemico, il fascista». Insomma, se le masse non sono con noi, peggio per loro, sono loro che sbagliano. (1 – continua).


[1] Il presidente Allende in una intervista del 1972.

[2] Vedi anche IRAN, pubblicato 14 febbraio.

[3] Vedi anche IRAN.