Il 1° dicembre1970 l’Italia ebbe finalmente il divorzio. Per alcuni fu una seconda breccia di Porta Pia dai toni fortemente anticlericali, per molti fu semplicemente un adeguamento della legislazione italiana a quella europea. In effetti si rivelò molto difficile introdurre in Italia una legge sullo scioglimento del matrimonio perché i vari tentativi fatti negli anni successivi all’ Unità d’Italia vennero bloccati sul nascere dalla forte opposizione della Chiesa cattolica e di forze cattoliche e conservatrici. Il Governo Zanardelli ai primi del ‘900 fu promotore di un disegno di legge che venne battuto in Parlamento da 400 voti contrari . Giolitti di fatto bloccò ogni tentativo divorzista perché la sua politica, volta a trovare l’appoggio dei cattolici, e il patto Gentiloni in particolare, impedirono di procedere su quella strada, malgrado lo statista di Dronero fosse laicissimo. L’ Italia aveva conosciuto il divorzio solo durante la dominazione napoleonica. Il fascismo, che firmò il Concordato con la Chiesa cattolica, mise il divorzio in soffitta. Solo con la ripresa della democrazia il deputato socialista Luigi Sansone tentò di riaprire il discorso in Parlamento con una legge relativa al “piccolo divorzio” che naufragò miseramente. Il deputato socialista Loris Fortuna riprese le fila di quella battaglia e dopo varie vicende si giunse all’approvazione di cinquant’anni fa La legge porta il nome di Loris Fortuna e di Antonio Baslini deputato liberale di Milano. Ad essere decisiva fu la battaglia ingaggiata fuori dal Parlamento dalla LID (Lega Italiana per il Divorzio), dal partito radicale e soprattutto da Marco Pannella. Fu una battaglia fondata sul confronto civile di opinioni e sulla considerazione difficilmente contestabile che uno Stato laico non possa considerare il matrimonio un sacramento indissolubile, ma un contratto. Ernesto Rossi disse allora che non si poteva andare in Paradiso accompagnati dai Carabinieri ,evidenziando che una scelta religiosa non può essere imposta da una legge dello Stato. Certo ad ingarbugliare la materia fu il matrimonio concordatario celebrato, con effetti civili, in chiesa. Lo stesso Papa Paolo VI si schierò contro la legge sul divorzio, vedendola come un “vulnus” al Concordato. Il partito comunista, per quanto impegnato in linea di principio per il divorzio, fu molto esitante perché anch’esso interessato a stabilire un buon rapporto con i cattolici, come già dimostrò il voto all’articolo 7 della Costituzione che inseriva in essa i Patti Lateranensi del 1929. Non fu facilissimo spiegare che non si trattava di una riforma “borghese”, ma che già allora riguardava mezzo milione di coppie ” irregolari ” conviventi. La legge Fortuna – Baslini era una legge austera e severa che nulla aveva a che vedere con certi divorzi all’americana. Se al Senato passò per pochi voti con la mediazione del cattolico liberale Giovanni Leone e con il voto del senatore a vita Eugenio Montale, fu perché essa era una legge seria e meditata . Io giovanissimo partecipai a quella battaglia (come poi negli anni successivi a quella del referendum per impedirne l’abrogazione) insieme a Zanone, Magnani Noya, Segre (accusato come avvocato di volersi accaparrare futuri clienti), Pannella e il coraggioso magistrato Mario Berutti. Con Pannella e Zanone allora nacque un’amicizia destinata a durare tutta la vita. Furono giorni entusiasmanti di volantinaggio e di comizi appassionati , anche se io scelsi fin da allora il confronto pacato delle posizioni laiche con il mondo cattolico, una scelta che portò ad un grande risultato al referendum del 1974: la nascita dei cattolici del No. Il Presidente Giuseppe Saragat firmò subito la promulgazione della legge che però non ebbe immediata attuazione a causa della lentezza degli Organismi giudiziari nel creare le apposite sezioni a cui rivolgersi per il divorzio. Era stabilito un termine minimo di 5 anni tra separazione e divorzio , poi ridotto a tre. Non sarebbe onesto se non riconoscessi che quella legge giusta e necessaria ebbe anche come conseguenza quella di matrimoni affrontati più alla leggera e culminati spesso nel divorzio. Era il tema che stava a cuore ai giuristi cattolici preoccupati degli effetti sulla tenuta delle famiglie. Non ci furono però gli sconvolgimenti intravisti e molti cattolici fecero ricorso al divorzio, persino chi lo aveva combattuto come il missino Giorgio Almirante. Molti cattolici come Casini sono divorziati e risposati. La Chiesa stessa si è man mano dimostrata più tollerante con i divorziati che erano esclusi dai sacramenti. Basta rileggere il testo di quella legge per comprendere qual era lo spirito che mosse Fortuna e Baslini: fu in anteprima un lib – lab, rafforzato da Pannella. Un qualcosa che sarebbe piaciuto anche a Mario Pannunzio.
Poi negli anni 2000 arrivò il divorzio facile e immediato che però nulla ha a che vedere con la legge di 50 anni fa. Fu il frutto di una società priva di valori, non laica, ma profana e godereccia fondata sull’edonismo più che sulla libertà che può trasformarsi anche in licenza. Molti sostenitori della Legge Fortuna- Baslini non si ritrovarono in una legge all’americana che diventa difficile da accettare come un diritto civile perché ‘ davvero ha incrinato il valore della famiglia tutelato costituzionalmente. Ma questo è un altro discorso che ci porterebbe lontano. Il rapporto tra mos e ius andrebbe più valutato, anche se oggi ambedue sono finiti nell’ombra di una crisi profonda di carattere politico e sociale con inevitabili ricadute etiche.
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