Parliamo un po’ dell’acqua? E’ importante per vari e diversi aspetti, che vorrei brevemente  esaminare prima di passare a qualche considerazione finale. Il primo aspetto sul quale mi soffermo lo vedo al primo posto anche come importanza: è quello geopolitico legato ai grandi corsi d’acqua  i quali, attraversando molti paesi, creano situazioni esplosive. La gestione delle acque nei paesi che stanno a monte, in particolare i grandi progetti a scopo irriguo, possono avere effetti devastanti sui paesi a valle. Fino ad affamarli. In Europa queste situazioni – tipica quella del Danubio – si gestiscono con delle convenzioni, ma fuori dal mondo occidentale, in particolare nell’ex “Terzo Mondo”, lo stile dei rapporti diplomatici tende ad essere più manesco. Gli esempi non scarseggiano. Il Nilo nasce in Uganda ed Etiopia e, nei suoi 6000 km attraversa il Sudan prima di andare a fecondare l’Egitto. Facile immaginare con quale attenzione l’Egitto “monitora” i progetti dei paesi a monte. Il Brahmaputra nasce in Tibet sul versante settentrionale della catena Himalayana che poi aggira alla sua estremità orientale per andare verso sud e sboccare nel Golfo del Bengala. La tentazione dei Cinesi di deviarlo verso settentrione certo non manca, operazione che metterebbe alla fame milioni di contadini tra India (Assam) e Bangladesh. In un’area bollente e meno remota, la gestione del sistema idrico Tigri + Eufrate coinvolge Turchia, Siria ed Iraq, in un’area dove, per recente tradizione, prima si spara e poi, caso mai, ci si siede a discutere. Gli esempi sarebbero molti, e mi sono limitato a citarne tre particolarmente vistosi. A differenza del petrolio, l’acqua non ha surrogati, ciò che ne fa il miglior candidato come elemento scatenante di prossime guerre. Al secondo posto metto l’aspetto “agricolo-ambientale”. Quando se ne parla di solito ci si riferisce alla situazione italiana, ma anche i riferimenti al problema globale sono diventati frequenti, come tutti sappiamo. Due parole sulla realtà italiana. Il nostro è un paese temperato e discretamente piovoso, nel quale purtroppo le precipitazioni spesso mancano quando servono, mentre in altri momenti possono presentarsi disastrosamente abbondanti. Questo problema non concede soluzioni perfette, ma può essere efficacemente affrontato con l’approccio che è proprio di ogni famiglia: mettere da parte risparmi quando si può, per poi attingervi quando se ne ha necessità. Traducendo, questo significa accumulare acqua nei periodi piovosi per rilasciarla nella siccità. Accumularla dove? In bacini artificiali, soprattutto in un paese montano come l’Italia, ma questo richiede investimenti e lungimiranza: un punto sul quale non  mi dilungo qui (visto che mi ci sono già soffermato in uno scritto del dicembre scorso) se non per sottolineare che gli investimenti di lungo periodo non sono purtroppo redditizi sul piano del consenso elettorale. Poi c’è l’aspetto “globale”, e anche qui va sottolineato che soluzioni “facili” non esistono. Un esempio estremo posso attingerlo da un paese semi-arido che conosco bene, la Somalia. Esiste nel meridione somalo un’area il cui substrato geologico è costituito da rocce impermeabili (graniti in senso lato) esposte a giorno e cioè prive di una copertura di sedimenti permeabili. Niente sedimenti, niente pozzi. Non c’è una significativa rete idrografica di superficie. Due volte all’anno, la stagione delle piogge monsoniche riempie dei laghetti con un’acqua presto arrossata dagli ossidi di ferro, acqua che usano allo stesso modo gli animali per l’abbeverata e i residenti per le loro necessità. Posso testimoniare di persona che, adeguatamente bollita, quell’acqua non uccide, ma c’è poco altro che si può dire a suo favore. Passando a situazioni meno estreme, esistono vaste aree semi-aride, nelle quali basta una associazione di eventi meteorologici sfavorevoli per fare “saltare” una stagione delle piogge, e provocare  una carestia di dimensione biblica. Svanisce il raccolto, i punti-acqua si asciugano. Ho il giovanile ricordo di un percorso in fuori-strada su una pista africana accompagnato dalla puzza degli animali morti. Si tratta generalmente di paesi che non hanno accesso ai benefici forniti dalle tecnologie avanzate. Quando si parla dell’Africa –  il continente forse più soggetto a carestie – è utile aver presente che vanno distinte due Afriche, quella dove piove e quella dove non piove. E quella dove piove ha  grandi potenzialità che le consentirebbero di alimentare una popolazione ben superiore alla attuale. Il problema è di infrastrutture, risorse,  politica, tecnologia. Inutile sottolineare come la disponibilità di acqua sia necessaria non solo per l’agricoltura, ma anche per gli insediamenti industriali. Questo porta ad una domanda: come mai certi gruppi di umani decisero di stabilirsi in aree così disgraziate come quella da me ricordata, quella con l’acqua rossa? La risposta è al di là della mia competenza.  La fase di riscaldamento che il pianeta sta attraversando è destinata ad alterare non tanto la quantità delle precipitazioni, quanto la loro distribuzione, e la risposta  a questo cambiamento fornita dall’uomo, così come dalla fauna e dalla flora è stata sempre la stessa: migrazione. La fauna lo sta già facendo. L’uomo migrerà inseguendo le migliori condizioni climatiche, come ha sempre fatto. Migliaia di anni fa, parti del Sahara erano verdi e popolate da uomini e animali, come attestano le incisioni rupestri del Tassili.  Homo sapiens non avrà “salvato il Creato”, ma sopravvivrà. Mi risparmio ulteriori profezie, e passo all’aspetto numero tre, quello dell’acqua potabile. Fin qui ho toccato grandi temi, dalla geopolitica all’ambiente alle tragedie umanitarie. L’acqua potabile invece, in un clima temperato come il nostro, ci porta a parlare di tubi che perdono. Si tratta di chiamare l’idraulico. Il problema è strettamente economico, e non ha nulla a che fare con quelli ambientali, tanto meno con i bambini dell’ (ex) terzo mondo e con gli aridi pascoli del Sahel. Il sermone che si sente spesso (“noi sprechiamo l’acqua e in certi paesi hanno sete”) in genere (ed è il migliore dei casi) fa riferimento ai nostri decrepiti acquedotti che perdono. E ignora che l’acqua dispersa non è “sprecata”: resta nel sistema e va a alimentare la falda freatica (alla quale attingiamo) oppure  quei fiumi che alimentano la nostra agricoltura. L’acqua che va perduta la paghiamo sulla bolletta, e quindi fa un danno alle nostre tasche. In alcuni casi può persino procurarci dei disagi, quando i rubinetti restano all’asciutto in certe ore di certe stagioni. Ma lasciamo perdere la natura, per favore. Le megalopoli sono un problema di difficile soluzione – non solo per l’approvvigionamento idrico! –  e la mia previsione è che verranno, nel lungo termine, abbandonate. C’è un dato che attingo ad un libro importante (G.E.Valori, “Geopolitica dell’acqua”, Rizzoli, 2012): dell’acqua dolce presente nel nostro pianeta “meno dell’uno per cento è disponibile per l’uso diretto dell’uomo”, e di quell’uno per cento un decimo è destinato alle abitazioni. Cambiamo pure canale quando arriva la ragazzina che ci esorta in tono moralistico a chiudere il rubinetto mentre ci spazzoliamo i denti. Su scala globale, in particolare nei paesi tecnologicamente arretrati, il problema dell’acqua potabile è ancora un problema di costi. Spesso l’acqua c’è nel sottosuolo, ma tirarla fuori con le moderne tecnologie è costoso. Prima bisogna individuarla, e la prospezione costa, poi bisogna fare i pozzi, e le moderne tecnologie costano. Mi piace, a questo proposito, citare un iniziativa della quale fui testimone ancora in Somalia  anni fa, quando vi fioriva un’Università. Un docente di Geologia, mio collega, dedicava le sue migliori energie proprio ad addestrare i suoi studenti alla prospezione e sfruttamento  delle falde acquifere in modo “autarchico”, e cioè con le poche risorse disponibili. Sacerdote, applicava il laico principio antico “regala a un uomo un pesce e lo nutrirai per un giorno, insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita”. Due parole in chiusura. Che cosa mi ha indotto a questo scritto? Presto detto: la appena trascorsa “Giornata mondiale dell’acqua 2021” è stata sui media l’occasione per un esteso bla bla. L’aspetto che sopra ho elencato al punto uno, quello geopolitico, non è stato mai toccato per quanto è a mia conoscenza, e passi. Argomento sgradevole. Ma i disastri di comunicazione sono altri due. Il primo è la frequente, dannosa confusione dei due aspetti, quello “agricolo-ambientale” e quello dell’acqua potabile. Secondo, si ha a volte l’impressione che certi commentatori non abbiano capito un punto elementare e fondamentale, e cioè che l’acqua, a differenza del petrolio, si può solo riciclare, ma non consumare. E quando è così, ahi, ahi.