Fin da bambina ho sentito mio padre ripetere che il suo professore di elettrotecnica decantava i vantaggi del motore elettrico a scapito di quello a scoppio. Il secondo deve trasformare un movimento lineare in uno rotatorio con notevole dispersione di energia, inquina notevolmente, è rumoroso, ha numerose cinghie, richiede molta più manutenzione del primo. Insomma, secondo il suo professore, il motore a scoppio era già superato negli anni Sessanta. Molto meglio sarebbe stato, perciò, sostituirlo con quello elettrico. E così sono cresciuta sognando di comprare, un giorno, un’auto elettrica silenziosa ed efficiente con il cambio automatico, facile da manovrare, senza olio da cambiare tutti gli anni, e, soprattutto, priva del tubo di scappamento. Tutto ciò molto prima che iniziasse l’era gretiniana. Pur nel mio ottimismo voltiano, ero consapevole del fatto che un veicolo elettrico non sia totalmente né green né cruelty free. La sua produzione, infatti, genera scarti come quella dei veicoli di vecchia concezione; l’energia elettrica che consuma non proviene sempre da fonti rinnovabili; e, quel che è peggio, le sue batterie contengono Coltan, minerale sulla cui estrazione si proiettano le ombre dello sfruttamento dei bambini africani. Date queste premesse, accolsi con un misto di malinconia ed entusiasmo l’ultimo respiro della mia vecchia auto a benzina, la quale, dopo sedici anni di onorato servizio, aveva ben diritto di iniziare a fare le bizze. Decisi di approfittare degli incentivi statali per acquistare il mio primo veicolo elettrico. Non essendo completamente sprovveduta, mi ero rivolta a un amico, che da anni ne possedeva una per sapere cosa ne pensava. Egli mi avvisò di un problema serio e poco noto che riguarda le elettriche: il Generale Inverno. Dovete sapere, infatti, che l’autonomia chilometrica derivante dalle batterie dipende dalla temperatura esterna. Più si abbassa, meno chilometri si possono percorrere con una ricarica. Questo caro amico, che ancora ringrazio, mi disse che, a suo avviso, l’auto che avevo intenzione di comperare poteva percorrere duecento-duecentocinquanta km d’estate e centotrenta nella stagione fredda. Sapendo questo, mi informai sull’esistenza di colonnine nel mio paese, che per fortuna non mancano. Tuttavia, mi era stato suggerito di utilizzare la presa in garage, visto che il costo in bolletta sarebbe stato di circa 2-3 € a ricarica contro i 5-7 € della colonnina. Perciò, fiduciosa del fatto che, nella peggiore delle ipotesi, avrei potuto ricaricare la batteria di sera in casa, firmai il contratto alla concessionaria. Mi ricordo ancora dell’ultima volta in cui feci il pieno pensando: “Ah, da ora in poi addio, distributori! La prossima auto farà il pieno nel box!”. Che ingenua. Una volta portato a casa il nuovo veicolo elettrico, scoprii che non si ricaricava attaccandolo alla presa (a norma) del garage. E da lì spuntarono le sorprese. Io abito in un vecchio condominio anni Settanta. A quanto pare ai tempi non avevano pensato che l’impianto di messa a terra potesse essere necessario. Quindi dovetti chiedere di installarne uno. Non completamente convinta di essere arrivata alla soluzione, feci di nuovo controllare l’impianto elettrico. Così venni a conoscenza del fatto che se il filo elettrico dell’impianto ha la sezione 1,5 mm invece di 2,5 mm non è possibile ricaricare, perché si rischierebbe il cortocircuito. Infatti, a differenza di ciò che ci avevano riferito alla concessionaria, l’auto necessitava non di 6-7 ampere ma di 8-9 per rigenerarsi. L’effetto di un utilizzo ingenuo della corrente sarebbe stato il surriscaldamento dei fili con conseguente possibile incendio. Purtroppo, sostituire i fili non sarebbe stato possibile, perché i tubi erano troppo stretti per far passare nuovi fili. Detto ciò, la mia conclusione è la seguente: continuo a guardare al futuro con fiducia, tuttavia credo che le auto elettriche siano ancora un bene di lusso, adatto a chi vive in stabili nuovi o in villa. Ai poveri mortali, restano a disposizione batterie ancora poco performanti e le bibliche ricariche alle colonnine.
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