Nel 2005, quando la fumata bianca del Conclave portò al soglio pontificio il cardinale Ratzinger, ci fu qualcuno in ambiente ecclesiastico che, con riferimento alle famose parole di papa Wojtyla di 27 anni prima “… se sbaglio, mi corrigerete …” – parole peraltro riferite all’uso ancora insicuro della lingua italiana -, lasciò cadere questa battuta: “Bene, adesso abbiamo uno che saprà dire: se sbagliate, vi correggerò!”. Previsione errata, non è stato così. L’immagine, la comunicativa, l’esempio di papa Benedetto XVI non sono oggi consegnati alla storia sotto questa luce, tutt’altro. Va bene il riconoscimento unanime per i suoi studi di teologia, va bene i richiami misurati e ponderati per un recupero della dimensione etica della vita (in tempi di pensiero debole e fluido, di relativismo etico, di conformismo politicamente e religiosamente corretto), ma al di là di tutto questo la figura di papa Ratzinger sarà ricordata dai posteri per la scelta inattesa delle dimissioni, per l’atto veramente rivoluzionario della rinuncia, nientemeno che alla cattedra di rappresentante di Dio in terra! Sono oggi ovviamente ben presenti (e lo saranno anche in futuro) tutte le perplessità sui motivi veri di quella scelta, operata in effetti dieci anni prima del ritorno alla casa del Padre, così come le domande irrisolte sui gravi problemi della Chiesa Cattolica negli ultimi decenni (dal ponte dei Frati Neri a Londra alla morte prematura di Giovanni Paolo I, dallo IOR agli scandali sessuali, dall’attentato a papa Wojtyla in piazza San Pietro al Vatileaks, dalla crisi delle vocazioni alla perdita di presa religiosa sulla società). E’ anche ben evidente che l’esempio delle dimissioni di papa Ratzinger è destinato a rimanere un unicum nel mondo moderno, trionfo dell’individualismo, dove tutti parlano di pace, bene e bontà, ma dove nessuno ha l’umiltà di riconoscere realmente i propri limiti e i meriti degli altri. E tuttavia l’espressione consegnata alla storia sarà quella “… vires meas ingravescente aetate non iam aptas …”. E Benedetto XVI sarà per sempre il papa che ha saputo rinunciare all’onore più grande.