In un letto dell’ospedale di Tortona, alle 8,45 del 2 gennaio 1960, per una forma di malaria incredibilmente non diagnosticata, morì Fausto Coppi, il più grande ciclista di tutti i tempi. “Il grande Airone ha chiuso le ali” titolarono i giornali. L’Airone, lo chiamavano, perché quando partiva in salita sembrava spiegasse le ali. E solo l’Airone avrebbe potuto compiere quella che ormai viene definita unanimemente dagli esperti e dai ciclofili la più bella e celebrata impresa ciclistica di ogni tempo, la vittoria del giro d’Italia del 1949, con la tappa Cuneo – Pinerolo. Una fuga che durò 192 km, scalando d’un fiato Maddalena, Vars, Isoard, Monginevro e Sestriere, un’impresa rimasta leggenda di questo sport. Bartali arrivò secondo a Pinerolo con quasi 12 minuti di ritardo. È in questa tappa che il grande radiocronista Mario Ferretti iniziò la radiocronaca dicendo: “un uomo solo è al comando. La sua maglia è biancoceleste. Il suo nome è Fausto Coppi”. Coppi non fu soltanto un grande scalatore, “l’Airone”; egli fu anche un campione completo, straordinario per le sue imprese e modernissimo perché a suo modo rivoluzionario, “un fuoriclasse del pedale, un precursore di nuovi stili di vita, un esempio di coraggio, di emancipazione culturale di libertà intellettuale”. “Coppi era unico nel suo tempo per l’attenzione maniacale con cui curava la dieta (anche in gara), le ferree regole di vita (niente alcool, né fumo, postura particolare nel sonno, indumenti di avanguardia), gli allenamenti (con il fratello Serse e i fidati gregari Carrea e Milano), la scienza e la medicina applicate al ciclismo (bici più leggere, pomate riscaldanti per i massaggi, occhiali speciali, scarpe anatomiche, farmaci come caffeina e affini). Le imprese e le vittorie di Coppi sono talmente numerose che è impossibile elencarle tutte. Fra le vittorie più belle ricordiamo 5 giri d’Italia, 2 tour de France, 1 mondiale in linea su strada, 2 mondiali in pista nell’inseguimento, 5 Lombardia, 3 Sanremo, 1 Roubaix, il record dell’ora, il gran premio delle Nazioni a cronometro. Ma spesso è stato il modo con cui Coppi realizzò le sue imprese ad eternarne l’immagine, immortalandola nella leggenda. Nel 1953, il “Campionissimo” compì la sua ultima impresa sullo Stelvio. Alla vigilia della tappa dello Stelvio i giochi sembravano ormai fatti. Lo svizzero Hugo Koblet indossava la maglia rosa con quasi 2 minuti di vantaggio su Coppi. Sulle prime rampe della grande montagna restarono in cinque: Coppi, Koblet, Bartali, Fornara, Defilippis. Ma dopo alcuni chilometri di salita l’Airone aprì le ali e per i suoi rivali non ci fu più nulla da fare. Sullo Stelvio passò con 2 minuti di vantaggio su Fornara, 3 su Bartali, 4 abbondanti su Koblet. Arrivò a Bormio con 3 minuti e mezzo su Koblet nonostante una caduta in discesa. Il quinto Giro d’Italia era suo. Come uomo, Fausto era adorato fin quasi alla venerazione dai compagni di squadra, ai quali cedeva tutti i premi in denaro conquistati con le vittorie. Inoltre era noto per la sensibilità verso i meno fortunati: al suo funerale arrivarono da ogni parte d’Italia ex malati che si erano potuti curare grazie alle somme di denaro, spesso molto cospicue, ricevute in dono dal Campionissimo. La sua carriera fu straordinaria ma costellata di sventure: decine di incidenti anche gravi, LA SECONDA GUERRA MONDIALE con la prigionia in Africa, la terribile scomparsa per trauma cranico dell’amato fratello Serse per una caduta nel giro del Piemonte del 1951, infine la tragica morte in un letto dell’ospedale di Tortona. L’Airone chiuse per sempre le ali il 2 gennaio del 1960, ucciso dalla malaria. “Non gli sono stati fatali i dirupi delle grandi montagne ma l’ignoranza e la superbia umana. Come ha detto Jacques Goddet, è stato il più grande. Oggi il Giro passa dallo Stelvio, da casa sua. Perché in mezzo alle aquile il re è stato sempre l’Airone”.
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