Sulle strade delle nostre città brillano da più di quattro settimane le luminarie natalizie. Visto l’aumento del conto nelle bollette, qualche Comune ha deciso di ridurre il numero di ore di accensione, qualcun altro ha optato per le candele e qualcun altro ancora ha chiesto aiuto a sponsor privati o ha puntato sulle fonti rinnovabili. Eppure c’è una luce che non si potrebbe spegnere, nemmeno se ci tagliassero la corrente o se il prezzo della cera aumentasse vertiginosamente. Nemmeno nell’ora più oscura, segnata dalla grave crisi nelle relazioni internazionali e dai conflitti di oggi e del passato. Attualmente è difficile vedere qualcosa di positivo nelle cronache dei quotidiani, senza apparire naïf o ingenui. Eppure, perfino durante la dittatura fascista ci furono persone che, nel silenzio, disobbedirono e non accettarono di essere piegate alla logica della distruzione. Allo stesso modo, si può pensare, anche oggi, che ci sia chi si opponga agli orrori. Rimane una costante: nessuno di loro verrà a pretendere la medaglia d’oro. Anzi, la maggior parte di queste storie resterà nell’alveo dei racconti di famiglia per essere poi, gradualmente, ricoperta da una coltre di oblio. Ma non per questo svaniranno nel nulla, perché, come afferma Benedetto Croce, ognuno apporta un contributo alla storia con il proprio operato, i cui effetti genereranno nuove azioni. In particolare, vorrei parlare di una vicenda avvenuta nella Repubblica di Salò nel marzo 1944, quando vennero deportati circa 30.000 lavoratori e lavoratrici del Nord Italia, poiché avevano partecipato a uno sciopero generale contro l’occupazione nazifascista. Questi prigionieri vennero rastrellati nelle regioni settentrionali per essere, prima, incarcerati a Bergamo e, poi, caricati sugli Streikertransport diretti al Lager. Dalle finestre delle prigioni e dalle fessure presenti nei vagoni bestiame, essi lanciarono bigliettini per avvisare i famigliari della loro sorte. Alcuni abitanti di Bergamo – e delle località toccate in seguito dal penoso viaggio dei convogli diretti ai campi di concentramento – raccolsero questi messaggi, che arrivarono a destinazione. Era un piccolo gesto di opposizione non armata e non violenta, che sicuramente richiedeva una complessa organizzazione, visto che i deportati provenivano dal Piemonte, la Lombardia, il Veneto. Eppure nessuno sa chi furono le donne, gli uomini e i bambini che parteciparono a questa operazione postale clandestina. Oggi potrebbe sembrare un piccolo gesto, privo di qualsiasi significato storico. Tuttavia, ritengo che questa vicenda possa accendere un lume – forse fioco – nel racconto drammatico degli scioperanti, pochi dei quali fecero ritorno a casa. Un lume che mantenne accesa o riaccese l’umanità di chi si era trovato di fronte a centinaia di condannati ai lavori forzati, solo per aver partecipato a uno sciopero o a una manifestazione. È con questo lume di quasi ottant’anni fa che vorrei augurare buone Feste e a tutti i lettori del Pannunzio Magazine.
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