Bianca Montale,grande storica del Risorgimento e nipote di Eugenio Montale, donna controcorrente, anzi fuori ordinanza, è mancata giovedì a Genova. Aveva 95 anni. Oggi ho partecipato ai suoi funerali. L’ho sempre seguita nei suoi studi risorgimentali in particolare quelli su Mazzini e Garibaldi, ma solo nel 2011 ho avuto la possibilità di conoscerla di persona ad Albenga quando i miei amici Costa ci invitarono a parlare all’istituto internazionale di studi liguri per un importante convegno dedicato ai 150 anni dell’Unità d’Italia. Cosimo e Josepha Costa vollero dietro il tavolo il tricolore con stemma sabaudo perché in realtà era l’anniversario della proclamazione del Regno d’Italia. La repubblicana Montale non ebbe esitazioni, da storica di razza, a parlare con dietro quella bandiera. Tenne non una relazione, ma una lectio magistralis davvero indimenticabile, rasentando i livelli di Rosario Romeo, di cui ambedue eravamo amici ed ammiratori. La volli invitare a Savona, ad Alassio e ad Albenga dove parlò dello zio in modo mirabile, mettendo in evidenza il fatto che Montale era un liberale autentico, come attesta il suo “Piccolo testamento “in cui rifiuta le ideologie arroganti del ‘900. Montale non fu mai “un chierico rosso o nero“ – sono sue parole – ritenendo le granitiche certezze ideologiche impossibili e pensando sempre a conclusioni provvisorie, mai dottrinali. Non a caso il poeta riprendeva la parola “chierico“ che costituiva parte del titolo del grande libro di Jiulien Benda. Montale fu un laico liberale in tempi in cui il marxismo sembrava una fede assoluta per quasi tutti gli intellettuali, l’oppio degli intellettuali, come diceva Raimond Aron. Bianca ha seguito le orme liberali dello zio nel campo della storiografia risorgimentale, dando un apporto agli studi come pochi altri accademici, tra cui voglio ricordare Narciso Nada. La Montale, che fu direttrice e anima dell’Isituto Mazziniano di Genova, non ebbe nella sua città e nel suo Ateneo i riconoscimenti che avrebbe meritato. Io conservo delle sue lettere molto affettuose in cui mi scrisse osservazioni importanti anche in relazione ad un mio libro nelle quali non si lamentò mai degli ostracismi che subì, se non con riferimenti ironici e gentili verso l’ambiente intellettuale genovese troppo impegnato a sinistra. Una volta ci parlammo con franchezza dei “moti“ genovesi del 1960 contro il congresso del MSI che non trovavano una plausibile giustificazione , come invece sostenuto da Pertini e Parri . La Montale era della tempra del più giovane Dino Cofrancesco. Un mio grande rammarico è quello di non essere riuscito a portarla a parlare al Museo del Risorgimento di Torino: il mio amico Umberto Levra storico del Risorgimento come noi, e presidente del Museo, non volle accogliere a Palazzo Carignano Bianca per una sua conferenza. Negli anni successivi capì l’errore, ma fu troppo tardi per porvi rimedio. La Liguria di Mazzini ma anche il Piemonte di Cavour dovranno onorare in modo adeguato una grande studiosa che molti quotidiani oggi hanno ignorato perché intellettuale libera, storica non ideologizzata, custode autentica del poeta più grande del nostro Novecento e donna che non ha mai ridotto la questione femminile al femminismo.
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