Sia la vita del singolo uomo, sia quella della specie – umana o animale che sia –si originano con una data di scadenza. In realtà, questo vale per tutto ciò di cui abbiamo conoscenza, persino per il protone, dicono i fisici. E persino per l’Universo, anche se questo non si capisce bene che cosa questo voglia dire, e comunque lascia senza risposta la domanda antica che mi intriga: perché c’è qualcosa invece di niente?

La vita nostra personale la sua scadenza ce l’ha (è quella che ci interessa di più…), ma tutto quel che si può dirne l’ha già sintetizzato Orazio: scire nefas ovvero, gli dèi non ci hanno concesso di sapere.  L’hanno concesso al latte sullo scaffale, che la data di scadenza la porta scritta sulla bottiglia, e quando le si avvicina lo mettono in offerta (beh questo lo abbiamo in comune).

Ci sono alcune altre scadenze che all’autore di queste righe sono apparse degne di qualche riflessione. La prima è connessa con un argomento che è da gran tempo oggetto di pensamenti e di discussione: l’esistenza, o non esistenza, di intelligenze extraterrestri. C’è una considerazione dovuta al grande Enrico Fermi, e diventata nota come il “Paradosso di Fermi”, che si può sintetizzare come segue: se nei miliardi di pianeti che popolano la nostra galassia si fossero sviluppate specie intelligenti, nell’enorme periodo trascorso dall’origine le più antiche avrebbero avuto tempo di esplorare la galassia, nonostante le sue enormi dimensioni: e allora perché non ce ne siamo mai accorti, ovvero, non ne abbiamo mai colto i segni? Vorrei sottolineare che, modernamente, la ricerca di segni è molto attiva. Esiste un progetto internazionale (SETI) nell’ambito del quale, da anni, migliaia di computer esaminano la immensa quantità di onde che arrivano dal cosmo nella gamma delle onde radio per riconoscerne qualcuno che abbia caratteri di un artefatto. Risultato: zero.

Alla domanda posta da Fermi sono state offerte molte risposte, compresa la più semplice ed estrema – altre specie intelligenti non ne conosciamo perché non ne esistono. La risposta sulla quale qui mi soffermo è un’altra, è l’ipotesi cosiddetta del “Grande Filtro”: le specie intelligenti, sempre che ne esistano, hanno ognuna una scadenza, in quanto a un certo momento incontrano una barriera – appunto il “Grande Filtro” – che è frutto di processi autoindotti. In pratica, la specie intelligente, prima di raggiungere la capacità di intraprendere viaggi spaziali, raggiunge quella di autodistruggersi, e a quel punto, prima o poi, inevitabilmente ne fa uso. In alternativa, il disastro può fermarsi ad uno stadio intermedio, e allora quella specie iper-sviluppata potrà regredire a barbarie.

L’idea del “Grande Filtro” ha scatenato teorie catastrofiste secondo le quali a quella barriera saremmo vicini in particolare noi, ovvero la specie Homo sapiens. Le spiegazioni addotte sono disparate e, allo stato attuale, inadeguate – ad avviso di chi scrive – in quanto al massimo possono lasciar prevedere dei danni, ma non l’estinzione della specie. Vanno dall’apocalisse nucleare all’epidemia, al cambiamento climatico, all’inquinamento, al boom demografico, all’esaurimento delle risorse. Spiegazioni tutte proposte al grido di “salviamo il pianeta” che suona comico alle orecchie del geologo, il quale sa che, dei nostri destini, il pianeta se ne batte. Le stesse teorie concedono che, se ci va bene, andiamo incontro ad un “Medio Evo prossimo futuro”. È il discorso di Greta Turnberg e seguaci: “non abbiamo un pianeta B”, “siamo vicini al punto di non ritorno”, eccetera. Nel caso più generale, ignorano quell’importante effetto di tipo termostatico, che si chiama feedback, di solito reso in italiano con “retroazione”: effetto che generalmente si produce con segno opposto a quello del cambiamento.

Però, c’è un però. Qualche riga più sopra fa ho citato fattori di rischio che considero inadeguati “allo stato attuale”. Ma c’è un fattore che si chiama Intelligenza Artificiale ed è un neonato potentissimo già adesso. E’un game changer che darà all’uomo – nel bene e nel male – una potenza oggi impensabile. Quanto ci vorrà perché il nuovo nato, cresciuto, metta l’Uomo (o l’umanoide -sottolineo – il robot) in grado di creare l’arma totale (personalmente scommetterei sulla biologica)? E quando Homo sapiens sarà capace di questo, quanto tempo passerà prima che un uomo (u minuscola) lo metta in opera? Mah.  E allora, eccolo qua il Grande Filtro. Mi si obietterà che si parla di una prospettiva lontana. Non vale lo sforzo di pensarci…. O forse sì…  Ci tornerò prima di chiudere.

Fin qui mi sono soffermato su viaggi spaziali e destino della specie Homo sapiens, ma in un’idea del tipo “come sullo scaffale il latte” ci imbattiamo anche quando abbassiamo un po’ il tiro. Sullo scaffale troviamo anche i vari modelli di civiltà, quelli ancora in vendita (i vecchi li hanno già tolti). Cioran, il brillante scrittore franco-rumeno, era ignaro di Grande Filtro, ma diceva – e personalmente sono d’accordo – che ogni civiltà, a un dato momento, è matura per scomparire. Detto in altre parole, ha la sua data di scadenza.

La civiltà che ci interessa è ovviamente quella dell’“Occidente Cristiano”. Per due millenni il cristianesimo ha segnato l’Occidente in modo direi totale. Ma oggi è stanco: basta guardare ai seminari deserti ed alle chiese poco frequentate. Per il Cristianesimo il terzo millennio potrebbe essere “il millennio di troppo”. L’espressione l’ho rubata a Michel Houellebeq, ed è legata alla boxe: di un pugile che ha chiuso la carriera a volte si dice che ha fatto “un incontro di troppo”. Insieme con la civiltà cristiana, a chiudere la carriera sarebbe la sua prole, e cioè il nostro modo di convivenza, ovvero quel sistema di regole e di valori che chiamiamo democrazia. Eccolo allora il Grande Filtro: la colonizzazione da parte di qualcuno dei grandi players che si sono affacciati alla storia, o che stanno affacciandovisi. Ecco che il latte sullo scaffale è andato acido.

Tra i protagonisti di questo rush verso il Grande Filtro il candidato più autorevole, ad avviso dello scrivente, è la cosiddetta Transizione Green. Vari commentatori hanno cominciato ad accorgersi che la vecchia Europa ha circa il 9% della popolazione globale. In un mondo nel quale l’altro 91% continua a coltivare forsennatamente carbone e altri combustibili fossili, e a costruire nuove centrali nucleari, così producendo a bassi costi, il sistema industriale europeo può solo andare fuori mercato con le conseguenze che si possono immaginare. Una prospettiva sulla quale qui già mi soffermai nel 2020 (“Una Visione”), per cui non mi dilungo.

Ma andrà proprio così? C’è infatti una molteplicità di fattori sia tecnici, sia culturali, che possono incidere, e qui è il timing a diventare decisivo. Pigliamo due fattori tecnici. Il primo è la rivoluzione indotta dalla fusione nucleare che risolverebbe il problema energetico fornendo energia carbon free illimitata. Quella rivoluzione sta maturando, e la gente del mestiere è convinta che arriverà, ma quando? Tra 20 anni? O tra 50? Per salvare la vecchia Europa, venti potrebbero forse bastare, mentre cinquanta potrebbero essere troppi. Il secondo fattore è l’ingegneria climatica, della quale si parla poco, ma che ha grandi potenzialità. Anche di questi due fattori mi occupai in un contributo precedente (“Troppa CO2”, 2021). Non mi ripeterò, se non per sottolineare che c’è ancora di mezzo il fattore timing, col quale le profezie da difficili diventano quasi impossibili.

È facilmente prevedibile che la macchina intelligente avrà un ruolo importante nel decidere quella scadenza. Non per niente la competizione tecnologica è già cominciata su scala mondiale. La prossima guerra sarà una guerra di algoritmi, non di forze, come ha detto uno dei boss cinesi, aggiungendo che il padrone dell’AI diventerà il padrone del mondo.

Certo che, nel tentativo di suicidarsi, la Civiltà Occidentale sta impegnandosi di buona lena. In quest’ottica è da vedere la idolatria della Natura che è andata sviluppandosi in parallelo con l’affievolirsi della religiosità. Un’idolatria che non è coltivata in nessun’altra parte del mondo, in nessuna cultura della quale abbia conoscenza. È illuminante il fatto che dell’idolatrata Natura non faccia parte l’Uomo, che anzi, ne è considerato il nemico. Concezione lontana da quella del Libro che proprio l’Uomo mette al centro del creato, e concezione che è sempre stata estranea alla Dottrina, almeno fino al penultimo Papa. Niente di male nell’ammirare la bellezza del Cervino: utile però ricordare che in quell’apprezzamento stiamo applicando un criterio da noi stesso creato. L’errore suicida, ormai corrente, è colpevolizzarsi, vedendo il bene nel Cervino, il male nell’artefatto. Tutto nostro, questo complesso.

Incidentalmente, le macchine intelligenti pongono un problema etico del quale già si discute. Costruiamo macchine capaci di scrivere una poesia o un saggio.  Domanda: costruiamo / costruiremo macchine che abbiano una coscienza di sé? La domanda dilaga. Non ci arriva più soltanto da Alan Turing e dalla fantascienza di Asimov. In area protestante esiste un robot BlessU-2 che “benedice i visitatori” (La Lettura, 30/04/2023, p. 7).  Ridere o prenderlo suo serio?

Ho menzionato anche fattori culturali, che in sostanza si riducono ad uno: l’islamizzazione. I dati demografici sembrerebbero renderla inevitabile e tuttavia le incognite non mancano. L’islamizzazione è temutissima, anche se quasi nessuno lo dice a chiare lettere, in tutti i paesi europei perché l’Islam è portatore di un’identità forte – come suole dirsi – ed è quindi considerato come non integrabile. Identità forte perché la sua radice è religiosa, ma quanto durerà la forza di questa radice? Quand’è che Voltaire metterà piede a Teheran? Ciò che succede in Iran ispira dei dubbi (che io chiamo speranze), senza contare che scricchiolii, dei quali si parla poco, arrivano anche dall’universo sunnita. Nella diaspora musulmana – solo nella diaspora ovviamente – ci sono più conversioni di quel che si crede: conversioni all’indifferenza religiosa, qualcuna anche al Cristianesimo. Ma quale sarà il ritmo di questo processo? Altra incognita: l’effetto distruttivo di TicTok sarà più rapido sul nostro mondo o sulla concorrenza?

Insomma, anche qui abbiamo a che fare con una prospettiva lontana, ma meno lontana di quella legata al Paradosso di Fermi. E allora anche qui chiediamoci: vale la pena di pensarci? Io penso di sì. Quanto a fare, è un’altra cosa, e non solo per i lettori di Pannunzio Magazine.

Eppure…. Eppure, qualcosa si potrebbe fare sul medio periodo, ovvero, l’unico che ci interessa (sul lungo periodo saremo tutti morti, come diceva John Maynard Keynes). Certo, non è semplice. Pensiamo a capitoli di spesa tipo intelligenza artificiale, ingegneria climatica, fusione nucleare, o anche semplicemente “costruzione di bacini montani per combattere siccità e alluvioni”. E immaginiamo un governo che dica: metterò su questi capitoli qualche miliardo sottraendolo a welfare, sanità, pensioni…. Difficile pensarlo, vero?

Tornando al ruolo di AI, mi sono imbattuto nella posizione di uno storico-filosofo-autore di bestseller, che considero una delle più belle teste sul mercato, Juval Noah Harari: eccola, come riportata dal Telegraph (29 aprile 2023): “I don’t know if humans can survive AI […] For the first time we’ve invented something that takes power away from us” (non so se l’Umanità può sopravvivere ad AI […] Per la prima volta abbiamo inventato qualcosa che può sottrarci potere”). Tranquillo – mi sono detto – la tua preoccupazione non è semplicemente una tua paranoia. C’è in ballo qualcosa che va oltre lo sciopero dei cineasti di Hollywood

E comunque, non vorrei crearmi con questo scritto un’immagine di pessimismo, un’immagine gloom and doom…  Preoccupazione, sì, ma la profezia che il cuore mi detta è a breve termine e di segno opposto: nel 2030 saremo più felici. Avremo tanti cani, quindi tanto affetto disinteressato. I cani sono più ecocompatibili dei bambini e consumano meno energia. Avremo tante libertà, esempio, uno sarà libero di scegliersi il genere a suo piacere, come già progettavano in Scozia, senza tante complicazioni. I tennisti (ex) maschi potranno optare per i tornei maschili o femminili, senza gli attuali, fastidiosi vincoli. Banditi gli stereotipi di genere. E ancora più felici saremo nel 2050. Godremo di molte altre semplificazioni, tipo: se passi col rosso la multa te la trattengono in automatico dal conto in banca, senza noiose controversie, come avviene già in paesi più avanzati. Saremo tutti un po’ meno ricchi – beh, quasi tutti – e si sa che la ricchezza genera corruzione: è stato detto: è più facile che un cammello passi… eccetera. Passeremo per la cruna dell’ago e andremo in Paradiso. I ragazzi, persa la rumorosa movida, potranno coltivare il loro lato spirituale. Unico vincolo: si studierà accanto all’italiano una seconda lingua: cinese? russo? arabo? parsi? Questo è un dettaglio che conosceremo a suo tempo.