Chiunque osservi le società contemporanee, può rilevare un paradosso: da un lato, vi è l’attuazione di processi (epocali) che tendono a limitare, negare e perfino rimuovere l’identità personale (neutralizzazione identitaria), dall’altro emerge con maggior enfasi il modo in cui gli individui si confrontano con la loro identità personale, con chi propriamente sono nel loro più profondo e di come vogliono essere riconosciuti, facendo apparire le società contemporanee come molto individualizzate. La tendenza, in questo contesto, è altresì quella di attribuire alle relazioni un ruolo minimo e marginale rispetto alla ricerca della identità personale e al mantenimento dell’integrità di essa.
Questo paradosso (che ha effetti sul piano concettuale della personalità e della rappresentazione sociale) determina, o meglio plasma, una nuova mentalità che si esprime in scelte morali, etiche, religiose, politiche ed economiche di ognuno.
Basti pensare, prendendo in esame il solo fenomeno religioso, come siano riscontrabili atteggiamenti peculiari e nuovi che si riflettono, ad esempio, sul concetto di pluralismo. Infatti, in tema, non è riscontrabile il solo pluralismo “delle religioni”, ma anche, in ragione dei sopra citati atteggiamenti, un pluralismo “dentro le religioni”.
Per essere più chiari in merito e facendo un esempio (seppur semplicistico), occorre prendere in esame i diversi universi religiosi e osservare come in essi vi sia la presenza (non solo dell’appartenenza ad una data comunità con adesione ai suoi principi morali, etici e spirituali, ma anche) di “appartenenze senza credenza”, ossia persone che ritengono di appartenere ad una certa comunità, pur non aderendo ai principi morali, etici e religiosi ad essa connessi, e anche “credenze senza appartenenza”, ossia persone che aderiscono a certi principi morali, etici e religiosi, non ritenendo di appartenere alla comunità di riferimento di quei principi. A ciò devono poi aggiungersi i fenomeni della soggettivita? della fede e dell’individualismo religioso, elementi generatori delle “religioni fai da te”.
Sul punto è d’uopo precisare come tali atteggiamenti siano “figli” di società contemporanee passate da una visione statica della realtà, connessa a precisi indirizzi di pensiero filosofico, ad una concezione dinamica, largamente interpretabile (incidendo inevitabilmente anche sul concetto di “valori”, giungendo a metterli tutti in discussione).
La relativizzazione dei valori ha inevitabilmente manifestato, quale conseguenza nelle generazioni giovani, una sorta di amnesia individuale e sociale, che trasforma le grandi tradizioni religiose o filosofiche in mere narrazioni storiche difficilmente applicabili al contesto moderno.
Da ciò ne consegue una diminuzione drastica di partecipanti ai riti periodici ed alle attività di fede quotidiane (ma una stabilile partecipazione ai riti c.d. di passaggio).
Tutti i fattori descritti evidenziano come, nonostante sussistano, a livello sociale, processi di neutralizzazione identitaria, il moto interiore dei singoli sia rivolto ad una costante ricerca di una identità, anche spirituale e religiosa (la quale però si paleserebbe come “svincolata” dai percorsi e dai modelli preesistenti tipici di una società statica – come anzidetto), la quale però si manifesta sempre più come non sostenuta da un “pensiero critico” ed un approfondimento ponderato, ma in balia delle tendenze e delle emotività.
Le facilitazioni tecnologiche, poi, in questo contesto, certo non hanno fornito agevolazioni, facendo emergere nelle persone una evidente dispercezione del tempo, ossia l’aumentata incapacità di attesa, di accettare che la nostra evoluzione avvenga cogliendo le esperienze per frammenti e per gradi, ciò determinando (spesso) una conseguente fragilità nella costruzione dell’identità. Identità che così si appalesano sempre più variegate, ma nella sostanza vuote (si badi bene, vuote e non vacue).
In tale descritto contesto, nel tentativo di invertire la tendenza, le religioni manifestano il desiderio di avere (o tornare ad avere) un ruolo pubblico e vogliono così esercitare (o tornare ad esercitare) una funzione sociale. Queste volontà fanno sì che le religioni maturino un certo interesse al confronto con le persone e le istituzioni, adottando diverse strategie (le quali, come insegna l’esperienza umana, vengono elaborate e attuate per “tentativi ed errori”, fino a giungere eventualmente al risultato desiderato); così talora vengono manifestate strategie volte alla semplificazione, alla mercificazione e alla brandizzazione; talora strategie che possono prestare il fianco alla strumentalizzazione per fini altri, ma altre volte vengono manifestate strategie sagge capaci, se coltivate, di invertire la tendenza sopra descritta.
Permane comunque, nella maggioranza dei casi, la scarsa efficacia comunicativa e di trasmissione di conoscenze (in modo chiaro ed intellegibile, ma anche approfondito e non banalizzato) con le comunità e con i singoli, con la conseguenza di alimentare quanto sopra descritto.
La costruzione di identità fragili viene così ad unirsi perfettamente al processo sociale di neutralizzazione identitaria, processo questo nato come rimedio (politico e giuridico contemporaneo) alla gestione (più facile) della diversità, ossia della complessità sociale; portato avanti rendendo commensurabili interessi apparentemente non componibili, con l’obiettivo di superare la logica amico-nemico (logica per la quale, all’estremo, il conflitto può essere anche cruento, non prevedendo l’accettazione di una mediazione con reciproche rinunce), pur mantenendo un certo agonismo, e creare comunque, attraverso decisioni politico – giuridiche, un senso di comunità (neutralizzazione attiva).
Tale processo è però poi sfociato in imposizioni ideologiche (neutralizzazione passiva) di un preteso super-senso che sarebbe capace di annullare ogni differenza e divisione (al contempo, però, viene operata una delegittimazione del “nemico” del super-senso ed esasperate le inimicizie sociali).
In questo contesto, le religioni, sul piano individuale, cercano di ideare e adottare strategie capaci di creare una controtendenza alla neutralizzazione identitaria, ma le singole voci, non coordinate tra loro, risultano avere scarsi effetti (soprattutto in ragione dei sopra citati atteggiamenti peculiari individuali e di una comunicazione spesso non efficace).
Laddove, invece, viene manifestato un coordinamento delle suddette voci, tramite enti (pubblici o privati – comitati, associazioni, tavole e così via) che attuano un dialogo c.d. di primo livello, ossia tra confessioni religiose e istituzioni, le strategie poste in essere sembrano però sostenere il “gioco” della neutralizzazione identitaria, aderendo formalmente al super-senso capace di annullare ogni differenza e divisione.
Per superare il gioco citato, appare innegabile la necessità di una maggiore attenzione alle esigenze ed alla istanze delle comunità e dei singoli individui, incentivando la loro cooperazione (nel rispetto delle diversità) e manifestando vicinanza ai temi da questi desiderati (dialogo c.d. di terzo livello), svolgendo altresì attività di divulgazione di contenuti in modalità non competitiva, ma informativa, affiancandosi costantemente al mondo accademico.
A ciò, chiaramente, deve aggiungersi un necessario ritorno, da parte delle istituzioni, alla promozione della cultura (in quanto generatrice di conoscenza) e far si che gli individui ritrovino gli strumenti per sviluppare un pensiero critico, utile anche per la creazione di identità (forti) capaci di superare le sfide del nostro prossimo futuro.
Sarebbe poi opportuno che vengano forniti “esempi” di vita tangibili e considerati percorribili nella vita quotidiana (che siano anche comprensibili e emulabili, nonché scevri di contraddizioni). Esempi non solo legati a figure storiche, ma anche presenti e osservabili nel loro agire e nel loro sviluppo costante (a titolo di esempio semplicistico, i rappresentanti religiosi dovrebbero uscire dal luogo di culto e palesarsi in contesti di vita quotidiani quali esempi sociali tangibili e percorribili – ossia, parlando di religione, senza parlare di religione – e, nel contesto del dialogo, essere esempi di dialogo come stile di vita e non come rappresentanti di un punto di vista relativo ad una visione del mondo tra le varie visioni del mondo).
L’esempio e l’emulazione degli stili di vita, occorre infatti ricordare, sono una costante nel sociale umano e nella costruzione delle identità individuali e sociali.
Francesco Curto
(Avvocato, Vice-Presidente di FEDINSIEME)