“In queste carte” – concludeva lo Spadolini la presentazione del Carteggio con la Biblioteca del Senato – “c’è il senso intero della operosità crociana, della sua socratica lezione di vita: l’assolvimento del proprio dovere al di là degli eventi folli e tragici che gli si muovono intorno… Più si allarga la tragedia europea, più aumentano i motivi di amarezza, più si accentuano le lezioni di devozione al lavoro di questo grande maestro: grande anche nelle piccole cose, nalla vita di ogni giorno” ( Carteggio di Benedetto Croce con la Biblioteca del Senato, Roma 1992, pp. 32-33 ).

Va da sé che quasi ogni libro o saggio del Presidente Spadolini è intriso di riferimenti alla lezione liberale e storicistica crociana. Ma io mi soffermo sullo smagliante elzeviro in tre colonne Croce in Francia, apparso sul “Resto del Carlino”  del 22 maggio 1966: dove lo storico opportunamente aggancia le date delle traduzioni di opere di Croce in Francia, o di “svolta” della sua fortuna in Francia, con epoche e momenti di storia civile ed etico-politica.

1901, “Matérialisme historique et économie marxiste”, tradotto da Alfred Bonnet ( Giard et Brière, Paris ) e 1904, “Esthétique comme science de l’expression et linguistique génèral”, curata da Henry Bigot, sempre a Parigi. Interpretazione del marxismo e del revisionismo di Antonio Labriola, la prima. Opera fondamentale nella storia dell’Occidente la seconda, che “sanzionava ‘avant lettre’ tutte le forme più ardite della letteratura e dell’arte contemporanea”, come ben scrive il nostro Autore con felice allusione, mercé il canone dell’autonomia dell’arte, alle influenze dirette o indirette sulle poetiche del modernismo ( Joyce, Beckett, Eliot ) e della poesia pura ( Valery e altri ).

Ora, sul piano storico, questa è l’epoca – in Italia – del ritorno al Governo di Giovanni Giolitti, per intanto solo Ministro dell’Interno; ed in Francia, dell’ascesa al potere di Waldeck-Rousseau, “il Giolitti francese”, specialmente dopo lo scandalo dell’ “affaire Dreyfus”.

1929, “Histoire de l’Italie contemporaine”, tradotta da Henry Bedarida per i tipi della Payot. “Inno alla Libertà”, che evocava il Risorgimento e l’accordo tra Cavour e Napoleone III, accordo senza il quale l’unificazione italiana sarebbe stata non solo impossibile ma inconcepibile. E sul piano storico, è l’anno del discorso in Senato di Benedetto Croce avverso i Patti Lateranensi ( “Parigi non sempre val bene una messa !” ) e del progressivo superamento del pregiudizio, da parte della cultura francese, di un Croce “germanofilo” perché “neutralista”, a proposito dell’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale.

1913-1920. Si pubblica la traduzione della monografia crociana su Vico, a cura di Georges Bourgin ( 1913 ); mentre Croce dedica a Corneille, il poeta francese che aveva celebrato nella volontà “la più alta dignità dell’uomo”, la terza parte del libro Ariosto Shakespeare Corneille, a ricomporre spiritualmente l’unità culturale europea. Nel tempo stesso, la “Nuova Antologia” pubblicava nel ’20 il saggio sul Maupassant, nel quale ( diceva Croce e riconosceva lo Spadolini ) “il sentimento del dolore annulla la prevalenza della sensualità”. Sul piano storico, la fine della guerra impegnava il compimento del processo risorgimentale e innalzava la libertà a “religione del cuore” ( non senza una profonda eco – aggiungo – del contributo di Edgar Quinet, storico e politico delle Rivoluzioni d’Italia, Il genio delle religioni e coniatore della espressione “religione della libertà” ).

Pure, il Croce si veniva a più riprese occupando di Alfred de Vigny, Gustave Flaubert, Stendhal, Charles Baudelaire e altri estetologi, ritenuti sin dagli anni giovanili più filosofi dell’arte e fini critici, rispetto a tanti accademici e professori, “sorbonastres” come avrebbe detto François de Rabelais nella sua parodia. Spadolini considera bene anche il rapporto di Croce a Jules Michelet e Georges Sorel ( del cui carteggio con il Croce sarà editore e prefatore presso Le Monnier ): proprio il Sorel delle Considerazioni sulla violenza, ma la cui lezione stava negli “stimoli mentali”. Il chiarimento era affidato a una lettera di Croce del dicembre 1947 a Giovanni Spadolini , lettera poi accolta nel Quaderno “Carducci e Croce” dello stesso 1966: “Non bisogna accettare le cose che egli afferma come sentenze o conclusioni definitive, ma come stimoli mentali”.

Alla fine, nella “barbarie ricorsa” dei totalitarismi, conclude il professore: “Croce fu il primo a rivendicare i valori perenni della libertà e della dignità umana, i valori che nascevano dall’innesto tra libertà e cristianesimo, i valori per cui – e lo proclamò solennemente nel 1942 – tutti noi ‘non possiamo non dirci cristiani’ “.

In seguito, mentre approfondivo il tema all’altezza del dibattito aperto in Francia dai “Nouveaux Philosophes” prima su “Nord e Sud” poi ne Il tempo e le forme ( secondo tomo delle Questioni dello storicismo, Galatina 1981, pp. 199-215 ), infine nel Croce in Francia ( Laterza, Bari 2000 ); Giovanni Spadolini sarebbe tornato su “Croce e la Francia”, nel trentennale della morte, il 1982, in “Nuova Antologia”, evocando la cerimonia parigina della Sorbona del 18 maggio 1966, cerimonia tenuta insieme al titolare di Estetica, Etienne Souriau, in termini pressocché identici. Nel Debito con Croce, Spadolini accentuerà la estrema “angoscia del maestro”. “Non solo nel contatto con la vita reale dalla quale rifuggì presto, non solo nell’esperienza del dolore e della sofferenza. Piuttosto in quel nuovo slancio, in quel senso ‘creativo’ e ‘aperto’ che egli darà alla sua filosofia della libertà come misura del mondo, come religione dell’anima: superando certe chiusure,trascendendo certi schemi, approfondendo i vincoli fra filosofia e storia, fra pensiero e azione, fra la meditazione sul mondo e l’impegno nel mondo” ( Il debito con Croce, pp. 69-72 ).

E aveva con ciò còlto il senso autentico e la riposta esigenza della eredità crociana, imperniata sulla ricerca di mediazioni o “modalità categoriali”, che si sarebbero  di poi sempre più appianate all’occhio del paziente indagatore.

Secondo Raimond Aron,“on ne peut rejéter définitivement les idoles qu’en reconnaissant le vrai Dieu”: o fuor di metafora, l’ideale della libertà e della dignità dell’uomo ( Introduction à la philosophie de l’histoire, Gallimard, Paris 1948 ).

Bibliografia essenziale

 “Infatigabile et universelle historien”, definisce per primo il Croce il francese Louis Medelin, L’excessive Naples, in “Grand Revue”, septembre 1906.  

Lorenza Maranini, Proust. Arte e conoscenza, Novissima, Firenze 1933: è la Tesi di laurea vigilata da Antonio Banfi e conseguita il 2 giugno 1933, con lettera elogiativa di Benedetto Croce ( “L’acume della sue osservazioni è grande, ed Ella non si lascia mai trasportare dalla suggestione del suo oggetto” ); lettera edita da Giorgetto Giorgi, Lorenza Maranini studiosa e docente, in Studi di cultura francese ed europea in onore di Lorenza Maranini, Schena, Fasano 1983, p. 14.

Jean Lameere, L’Esthétique de Benedetto Croce, Vrin, Paris 1936.

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Raffaele Mattioli, Benedetto Croce et la culture française, in “Rivista di studi crociani”, III, 1966, pp. 265-276, poi in Fedeltà a Croce, Scheiwiller, Milano 1966.

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Giuseppe Brescia, Croce in Francia. Momenti per una storia delle interpretazioni, Laterza, Bari 2000: riospita Croce in Francia, dalle Questioni dello storicismo ( Salentina, Galatina 1981, pp. 199-215 ); Ancora su Croce in Francia. Carteggio con Gabriel Faure, Louis Gillet e Alfred Loisy, dove corregge una trascrizione di Renzo Ragghianti di una lettera di Croce al modernista francese Loisy ( pp. 21-29 ); e l’inedito A proposito di Henry Bergson, Benedetto Croce, Alfred Loisy e Adolfo Levi ( pp. 31-44 ); con l’Appendice della Rassegna bibliografica di Adolfo Omodeo sui testi di storia delle religioni di Alfred Loisy ( pp. 49-66 ).