Nei mesi atroci della pandemia tutti abbiamo utilizzato il termine smart working, prima a tanti sconosciuto. Lavoro intelligente, oppure agile, oppure telelavoro o lavoro da casa: tante possono essere le traduzione del termine inglese. Si basa essenzialmente sul grande sviluppo delle tecnologie digitali. Tantissime imprese ed anche la Pubblica Amministrazione, durante la fase acuta del Coronavirus, hanno permesso ai propri dipendenti  di poter lavorare da casa, sfruttando le possibilità offerte da internet e dalle tecnologie digitali in modo da evitare la concentrazione di persone negli uffici. Oggi il lavoro agile è previsto dalla legge 22/5/17 n.81 che lo definisce : “ senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita ,in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza postazione fissa”.

Fin qui nulla di male …anzi! Ma se lo smart working diventerà la modalità prevalente di lavoro del futuro? Ecco alcuni problemi che potrebbero sorgere con la diffusione senza limiti di tale modalità. In primis gli strumenti tecnologici utilizzati dal singolo lavoratore sono sicuri? Garantiscono la stessa sicurezza di quelli aziendali? Specie nella PA ci sono modalità di controllo dell’effettiva prestazione lavorativa effettuata da casa? Forse è lecito dubitarne. Ma soprattutto, non è possibile sguarnire gli uffici pubblici, penalizzando il pubblico. E’ irrealistico pensare che tutta la popolazione colloqui con la PA attraverso lo strumento telematico. La popolazione anziana è abituata a recarsi allo sportello ; in certe aree del Paese internet funziona a singhiozzo e non sempre e non tutti sono dotati di pc o altro strumento analogo. Altri aspetti poi devono essere presi in considerazione: il lavoro da casa porterà ad una ulteriore perdita di capacità contrattuale per i lavoratori ed a una sempre maggiore marginalizzazione del sindacato. La presenza fisica sul luogo di lavoro è sempre stata un elemento di forza per il lavoratore nel   conflitto con la parte datoriale. Forse sarà un’eredità novecentesca, ma ritengo che con lo smart working ci si avvii  ad un ulteriore indebolimento del mondo del lavoro ed a una sua sempre maggiore proletarizzazione ….ancorché non voluta o non percepita. Consideriamo poi altre conseguenze di una massiccia diffusione di tale modalità di lavoro: uffici vuoti, interi stabili abbandonati, strutture immobiliari che perdono di valore perché inutilizzate, attività commerciali fortemente penalizzate dalla mancanza di clientela abituale, cioè i lavoratori,(caffè, ristoranti, negozi) e conseguente forte disoccupazione nel settore commercio . Di seguito poi il fallimento di tante imprese commerciali. Bisogna anche valutare l’impatto di queste conseguenze economiche. Conviene alle città tutto ciò?

Se poi passiamo a considerare lo smart working applicato alla scuola, la mia critica è ancora più decisa. I bambini ed i ragazzi in età scolare devono frequentare fisicamente la scuola. Devono socializzare, vivere a contatto con i compagni e con gli insegnanti, sia pure con le dovute cautele per la pandemia. Come si può pensare che il bambino figlio di laureati, lavorando unicamente a casa , non venga aiutato ? E dunque si crei un’ulteriore ingiustizia nei confronti degli scolari privi di supporto parentale. Solo il controllo fisico dell’insegnante può evitare tutto ciò. Non sono uno psicoterapeuta, ma è evidente che creare una generazione che non sa vivere in società , ma soltanto smanettare sul computer tutto il giorno, porterà a disastri ben maggiori di quelli odierni per le future generazioni. Dunque smart working utile, ma da usare con le molle!

Forse però la mia è la riflessione di un figlio del Novecento……