Si aprirà il 19 luglio prossimo e si protrarrà fino all’8 ottobre prossimo una nuova importante mostra presso Camera. Dopo Eve Arnold continua, infatti, il viaggio nella fotografia con Dorothea Lange e l’esposizione dal titolo “Dorothea Lange. Racconti di vita e lavoro”, che si compone di oltre duecento immagini fotografiche curate dal direttore artistico di Camera Water Guadagnini e dalla curatrice Monica Poggi. La mostra presenta la carriera di Dorothea Lange, nata nella località di Hoboken nel New Jersey nel 1895 e morta a San Francisco nel 1965, artista che è stata, come scrisse John Szarkowski “per scelta un’osservatrice sociale e per istinto un’artista”.
Il percorso della mostra si concentra in particolare sugli anni Trenta e Quaranta, picco assoluto della sua attività, periodo nel quale ha documentato gli eventi epocali che hanno modificato l’assetto economico e sociale degli Stati Uniti. Tra il 1931 e il 1939 il Sud degli Stati Uniti fu colpito da una grande siccità e da continue tempeste di sabbia, che misero in ginocchio l’agricoltura dell’area, costringendo migliaia di persone a migrare. Dorothea Lange fece parte di quel gruppo di fotografi chiamati dalla Farm Security Administration, agenzia governativa incaricata di promuovere politiche del New Deal, a documentare l’esodo dei lavoratori agricoli in cerca di un’occupazione nelle grandi piantagioni della Silicon Valley. Lange realizzò migliaia di scatti, raccogliendo storie e racconti, riportati poi nelle didascalie a completamento delle immagini. È in questo contesto che ha realizzato il ritratto passato ormai alla storia della “Migrant Mother”, che vive insieme ai sette figli in un accampamento di tende e auto dismesse.
I temi trattati da Dorotea Lange, nonostante diversi decenni ci separino da queste immagini, sono di grande attualità e forniscono spunti di riflessione e di dibattito sul presente, oltre a rappresentare una tappa fondamentale della storia della fotografia del Novecento. Il soggetto più famoso di Dorothea Lange è stato Florence Leona Christine Thompson, un’operaia statunitense detta “La Madre Migrante”. Questa immagine è identificativa della Grande depressione e mostra una donna che incarna la sofferenza di un’intera nazione, ma anche una madre che è ancora in grado di proteggere i figli, nonostante tutto. Questa immagine ha scosso le coscienze individualiste degli americani e li ha obbligati a una reazione positiva di fronte a quello che stava accadendo, divenendo uno strumento politico di straordinaria efficacia.
Fu scattata dalla Lange a Nipomo, nell’Imperial Valley, nei primi giorno del marzo del ’36. La fotografa stava transitando con la sua auto nei pressi di un campo che ospitava oltre duemila braccianti impiegati nella raccolta di piselli precoci. Il gelo aveva appena distrutto gran parte della produzione e la situazione stava peggiorando di giorno in giorno. Appena fuori dal campo, in una tenda improvvisata sul bordo della strada, la Lange notava una donna con alcuni bambini e decideva di riprendere la scena da lontano, poi si avvicinava e, dopo aver scambiato qualche parola con lei, scattava ancora quattro foto.
“Non ho chiesto il suo nome né la sua storia” dirà molti anni più tardi la Lange. D’altronde la FSA non aveva interesse a conoscere i nomi delle persone ritratte dai fotografi. Sul San Francisco News del 10 marzo venivano pubblicati un paio di quegli scatti, accompagnati dal titolo “Cenciosi, affamati, falliti: i raccoglitori vivono nello squallore”. Sullo stesso quotidiano, il giorno successivo, apparve un altro articolo con il ritratto ravvicinato della donna dal titolo “Cosa significa New Deal per questa madre e i suoi bambini?”. L’effetto fu assolutamente immediato perché giunsero al campo generi alimentari e vestiti, dottori e medicinali. Il volto sofferente, ma dignitoso della Migrant Mother, sarebbe stato destinato a diventare familiare a milioni di americani, finendo sui pannelli illustrativi della FSA, sui giornali, le riviste, e poi sui libri di scuola e sui francobolli.
Nel 1970 un giornalista scoprì l’identità della Migrant Mother, si trattava di Florence Thompson nata nel 1903 nel territorio indiano della nazione del Cherokee. Non discendeva, così, da eroici pionieri, ma da pellerossa deportati in Oklahoma dal governo americano nel 1838 lungo un cammino di sofferenza che verrà ricordato con il nome di “Sentiero di lacrime”, costato a Cherokee ben 4 mila morti. Secondo Florence, la Lange avrebbe promesso di non pubblicare quelle fotografie che le ricordavano un momento di estrema difficoltà, tanto da far pensare che quegli scatti siano stati la fortuna della fotografa e non quella del soggetto. L’Associated Press fece poi pubblicare una storia sullo scatto, suscitando l’ira di Florence Thompson, che scrisse una lettera per esprimere il proprio disappunto per quell’immagine affermando di sentirsi sfruttata da quel ritratto, da cui non aveva ricavato nulla dal punto di vista economico. Tuttavia negli anni Ottanta in pochi giorni di raccolta fondi i familiari ricevettero 25 mila dollari necessari per offrire le cure alla donna malata di tumore e, in seguito, un funerale dignitoso.