Come abbiamo visto nei mesi scorsi, a Milano, con la presenza del Capo dello Stato, sono iniziate le celebrazioni per il 150° della morte di Alessandro Manzoni: grande personaggio della storia e della letteratura. Tra le sue grandi sempiterne opere (anche se meno conosciuta) c’è il mirabile e illuminante saggio-romanzo “Storia della colonna infame”, un libro che Enzo Tortora, vittima simbolo della malagiustizia, prima di morire volle nella sua bara. Un libro caposaldo e illuminante sul potere terribile e totalizzante dei giudici; un testo che dovrebbe essere obbligatorio nello studio in giurisprudenza e per chi fa il magistrato e lavora nell’esercizio della Giustizia.  Sono tanti e di straordinaria attualità i passaggi emblematici i temi che riguardano la Giustizia; in particolare c’è questo: “… Ciò che essi (i giudici) chiamavano arbitrio, … fu poi chiamato ‘potere discrezionale’: cosa pericolosa, ma inevitabile nella applicazione delle leggi, e buone e cattive, e che i savi legislatori cercano non di togliere, che sarebbe una chimera, ma di limitare ad alcune determinate e meno essenziali circostanze, e di restringere anche in quelle, più che possono …”. E pensando all’attualità, Manzoni si rivolterebbe dalla tomba, constatando amaramente che oggi non abbiamo “Savi Legislatori”, o magari ce ne sarebbero, ma il furore del “manipulitismo”, trent’anni fa, con il tintinnare delle manette, lo sputtanamento mediatico, l’uso del carcere per ottenere confessioni e delazioni, terrorizzò, spazzò via gran parte della migliore classe politica, e quella restante: residuale, salvata o impunita, non poteva che essere debole e subalterna, grata e sottomessa. La sottomissione iniziò con l’amputazione dell’art. 68 della Costituzione (una ferita alla Costituzione che ancora sanguina). Da allora è stato un susseguirsi di leggi e norme che affidano sempre più potere discrezionale alla magistratura, soprattutto quella inquirente, approvate da una classe politica pavida e imbelle, per paura, ma anche per convenienza e indole giustizialista (ci sono partiti che nascono e si nutrono di giustizialismo e le lotte politiche dei consessi elettivi si fanno con denunce alle procure o ricorsi al TAR); una situazione che ha scardinato l’equilibrio tra i poteri dello Stato, dove l’invasione del potere giudiziario, sostenuto dalla stragrande maggioranza dei mezzi di informazione ( da qui quel pericolosissimo e totalizzante potere “Mediatico-Giudiziario”), che inibisce e travolge quello legislativo e quello esecutivo, quello delle amministrazioni, con tutte le nefaste conseguenze sul funzionamento della democrazia, sul piano economico e sociale, nonché sul piano dei diritti inviolabili delle persone sottoposte agli abusi dell’esercizio giudiziario.

Insomma, una continua crescente deriva moralistica e giustizialista, che è causa ed effetto del decadimento della politica, sempre più incapace di governare le cose, di svolgere il proprio ruolo, abdicando dalle proprie funzioni. Una classe politica che ha primeggiato al grido di “onestà”, ma come diceva Benedetto Croce, l’onestà che si chiede al politico è la sua capacità politica, come quella che si chiede a un medico o a un ingegnere; così ha trionfato una politica pavida e imbelle, che abdica al proprio ruolo e si affida e confida tutto alla giustizia: Penale, Civile, Amministrativa. Qualsiasi tema, opera, problema, etico, economico, sociale, persino la politica estera, ormai è in mano a Procure, Tribunali, TAR, Consiglio di Stato, Corte dei conti, Corte Costituzionale, Corte di Strasburgo, (si è instaurata, in pompa magna, quella che un politologo aveva definito la “Giuristocrazia”). Una giungla giuridica dalla quale deriva l’incertezza del diritto e la sempre più invadente e oppressiva azione discrezionale della magistratura. Basta elencare le leggi e norme di questi ultimi vent’anni: “Decreto dignità”, “Legge Spazzacorrotti”, “Nuovo codice Antimafia”, “Traffico d’influenze”, ”Nuove leggi sul falso in bilancio”, ”Legge Severino”, Autorità Anticorruzione, Nuovo codice degli appalti, “Nuovo codice Antimafia”, “Voto di scambio”, “Concorso esterno in associazione mafiosa”, ecc.

Tale processo di riforme, nato con le buone intenzioni (direi anche con le velleità, con l’antipolitica e il populismo giustizialista) di drenare la corruzione e rendere più efficiente l’amministrazione, ha avuto gli effetti contrari: è aumentata enormemente la corruzione, ma soprattutto è aumentata enormemente la lentezza procedurale e l’inefficienza complessiva delle amministrazioni. Basti pensare ai dati sull’utilizzo del ciclo (2014- 2020) di finanziamenti UE (Fondi strutturali e Fondi di investimento), dai quali l’Italia risulta al penultimo posto, poco prima della Croazia, nell’utilizzo di tali finanziamenti UE; vuol dire che l’Italia, su 72 miliardi di euro complessivi avuti assegnati nei programmi 2014-2020, nel 2019 ne aveva spesi 22 miliardi, ovvero il 30%. A ciò aggiungiamo altri sprechi e inefficienze, che autorevoli studi (della Banca d’Italia, Studio Ambrosetti, e altri), aggiornati al 2020, stimano che costino allo Stato circa 57 miliardi di euro, e altri 53 miliardi sono i debiti della pubblica amministrazione nei confronti dei fornitori privati che aspettano anni per essere pagati. Ma si aggiungono altri sprechi: per esempio si stima in 40 miliardi di euro il deficit delle infrastrutture, altrettanto quello sulla lentezza della Giustizia, 24 miliardi la spesa pubblica in eccesso e 13 miliardi gli sprechi del trasporto locale. Tutto ciò ci fa pensare di come sia vitale approvare la riforma della Giustizia proposta dal ministro Nordio. Una riforma che serve a riportare nell’alveo costituzionale i rapporti tra i poteri e gli organi dello Stato, nonché a governare seriamente l’Italia, a cominciare dalla gestione e spesa dei 209 miliardi di fondi UE del Recovery Fund.