E’ mancato improvvisamente a San Mauro Torinese lo scorso  6 ottobre il professor  Umberto Levra, illustre risorgimentalista dell’Universita‘ di Torino.

Il Centro Pannunzio perde un amico  importante a cui venne conferito  un anno fa il Premio “ Alda Croce “ e che partecipò a tante nostre iniziative ; specie negli ultimi anni il nostro rapporto, nato quando  eravamo studenti universitari ,era andato intensificandosi perché Umberto aveva trovato nel Centro “Pannunzio“ un interlocutore che considerava importante.   Ci eravamo visti pochi giorni fa per intraprendere insieme la pubblicazione del diario inedito di guerra di Marcello Soleri, il  deputato liberale giolittiano neutralista di Cuneo  che era partito volontario per la Grande Guerra. Il giovane studioso Levra aveva dedicato a quel tema un suo lavoro di cui mi fece omaggio e che sarebbe stato il punto di partenza della pubblicazione concordata con Antonio Patuelli, direttore della rivista “Libro aperto” di cui Umberto fu collaboratore autorevole.
Il prof. Umberto Levra aveva concluso nel 2020 il suo mandato di Presidente del Museo Nazionale del Risorgimento di Torino, il più importante d’Italia (fondato nel 1878 alla morte di Vittorio Emanuele II), iniziato nel 2004 ma di cui soprattutto aveva creato il nuovo allestimento nel 2011 dopo anni di  intenso lavoro. Oggi il Museo è davvero all’avanguardia per merito suo e consente al visitatore un percorso eccezionale. Il contenitore, Palazzo Carignano, con il suo Museo, è diventato un’attrattiva per turisti, scolaresche ed appassionati di storia risorgimentale, perché i nuovi percorsi museali sono in grado di interessare studiosi e studenti contemporaneamente. Il suo allestimento fu anche criticato e venne considerato come una scelta da studioso troppo  elitario incapace di attrarre il pubblico dei semplici visitatori. Erano critiche infondate avanzate da dilettanti perché il Museo voluto da Levra rispecchiava criteri internazionali capaci di collocare il nostro Risorgimento  nella sua più autentica  dimensione  storica. Dopo tanti allestimenti poco convincenti del Museo, a partire in primis da quello molto discutibile di Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon che lo sovvertì in chiave sabaudo-fascista per giungere alla versione resistenziale ispirata da Franco Antonicelli, quello creato da Levra non ha ricalcato  interpretazioni ideologiche ma aperture importanti internazionali ed  ha espresso una costante e rigorosa attenzione storica ai fatti del Risorgimento di cui il Presidente fu uno dei più grandi studiosi, con oltre 200 pubblicazioni. Era stato autorevole Professore Ordinario all’Università di Torino dove fu successore di Alessandro Galante Garrone  di cui siamo stati entrambi allievi. Non seguimmo le stesse strade, ma nel corso degli anni ci fu un amichevole, direi affettuoso  riavvicinamento. L’occasione fu il suo coraggioso smantellamento del salone dedicato alle bandiere sindacali che non avevano nulla da spartire con la storia del Risorgimento, che fu attaccato dai sindacati e dalla sinistra. Forse fui soltanto io a difendere Levra che aveva seguito il rigore storico rispetto a valutazioni politiche. L’insegnamento di Rosario Romeo che aveva negato la legittimità storica di considerare l’antifascismo, la guerra partigiana  e il movimento operaio come parte di  un nuovo Risorgimento ,aveva lasciato un segno indelebile. La fedeltà a Romeo fu l’elemento che ci accomunò. Nel 2020 avrebbe voluto che fossi io a ricordare a Palazzo Carignano dove nacque, Vittorio Emanuele II nel bicentenario ma la pandemia lo impedì. Il Centro “Pannunzio“ avrebbe voluto deporre una corona d’alloro a Palazzo Carignano il 14 marzo. Quando insieme ad Umberto si decise di annullare l’evento, io gli dissi scherzando, forse non ancora pienamente consapevole della drammaticità del momento: “ Vedrai che lo organizzeremo per il tricentenario“. Il 20 settembre di quello stesso anno, in coda  al discorso che tenni per i 150 anni della Breccia di Porta Pia, in apertura al concerto organizzato dal Centro Pannunzio, ricordai anche Vittorio Emanuele a cui nessuno aveva tributato un sia pur minimo ricordo. Era uomo di animo gentile e di ferme convinzioni ,ma sempre rispettoso delle idee diverse dalle sue. Nella bolgia infernale di certi intellettualoidi televisivi un’eccezione che costituisce la cifra del vero uomo di cultura rispetto ai politicanti travestiti da studiosi. Gli studi risorgimentali torinesi che hanno avuto maestri importanti, pensiamo a Walter Maturi, Aldo Garosci e Narciso Nada, dalla sua morte subiscono una battuta d’arresto. L’abolizione della cattedra di Storia del Risorgimento all’Ateneo di Torino, città culla del Risorgimento, già avvenuta in altre città , aveva  dato una mazzata alla crescita di nuovi studiosi della disciplina. Quando “La Stampa” affidò incredibilmente al medievista Alessandro Barbero il ricordo di Vittorio Emanuele II nel bicentenario della nascita, telefonai ad Umberto e gli dissi che sarebbe toccato a lui che, fiero repubblicano come Luigi Salvatorelli, avrebbe saputo valutare senza pregiudizi la figura del primo Re d’Italia. Con Levra,  tra le molte iniziative realizzate insieme, avevamo organizzato un bel convegno su Benedetto Croce a Viù dove il filosofo era andato in vacanza nel 1918  e aveva scritto una delle sue pagine più alte sulla guerra pensata quando ebbe l’annuncio della Vittoria il 4 novembre di quell’anno. Anche in quell’occasione il non crociano Levra seppe essere lo studioso di razza di sempre. Con lui scompare uno storico importante e davvero la sua morte lascia un vuoto incolmabile. Non è un modo di dire proprio di una luttuosa circostanza ma una nuda, amara verità. Avevamo di recente cercato di storicizzare l’evento della pandemia, convenendo che la nostra generazione che non aveva conosciuto la guerra ,stava vivendo il suo momento più tragico. La sorte all’improvviso ha interrotto questo dialogo che era iniziato, quando la pandemia ci impedì di ricordare Vittorio Emanuele II. Chissà se riusciremo a portare in porto la pubblicazione di Soleri che il nostro caro ed illustre consocio Elvio Soleri avrebbe sicuramente gradito. Un omaggio all’Italia liberale e al nostro Piemonte a cui il giovane Levra aveva dedicato la sua attenzione che già rivelava totalmente la sua sensibilità di storico.