Caro Pannunzio Magazine, sull’attuale pandemia è già cominciato il blame game  (= accuse incrociate): “la colpa è dei comunisti cinesi”(sembra ci sia stata una responsabilità iniziale, ma non sappiamo a che livello). O anche “la colpa è del nostro sfrenato liberismo!” (questa è ancora più bella). In realtà, la colpa è del virus, cioè della Natura che non ci ama, a differenza di quel che pensa qualche anima bella. Allora vorrei proporre una riflessione sul passato remoto. Negli ultimi 500 milioni di anni della storia del nostro pianeta ci sono state delle “estinzioni di massa”, ove quando si dice massa si intende l’80-90% delle specie, roba Kolossal. Le cinque principali sono note come “big five” e per ognuna la causa è stata, con qualche incertezza, identificata in un grande sconvolgimento ambientale. Egoisticamente parlando, queste estinzioni ci interessano poco: se – faccio per dire – il nostro destino è di essere “fatti fuori” dallo scontro con un meteorite di dieci km di diametro che viaggia a 50.000 km l’ora, lo sapremo con grande anticipo, e avremo il tempo di confessarci, e poi l’evento è molto improbabile.

Altre, piuttosto, e più frequenti,le estinzioni che al momento dovrebbero interessarci: mi riferisco a quelle note in letteratura come background extinctions: estinzioni che colpiscono una singola specie (normalmente di faune marine) quando nessun segno di  stress è mostrato dalle specie simpatriche (quelle con le quali condivide area geografica ed ambiente). L’importanza di questi eventi li eleva al rango di un meccanismo evolutivo (extinctive evolution) alternativo al modello darwiniano standard. Ebbene, già una ventina di anni fa uno dei più grandi geologi dello scorso secolo, l’italo-americano Cesare Emiliani, alla luce delle conoscenze accumulate sui virus di ambiente marino, propose  come responsabile di quelle estinzioni proprio il virus, in quanto agente specie-specifico  e come tale capace di portare a estinzione una specie senza colpire le simpatriche. Perché si produca un simile processo – osservava il mio compianto collega – non solo deve essere disponibile il virus adatto, ma questo deve operare su una specie che sia abbondante (per facilitare il contatto) e ben mescolata (per facilitare la diffusione). Concludeva che, fatti i conti, Homo Sapiens soddisfa quelle condizioni , un privilegio questo che condivide con la più comune alga unicellulare del plancton calcareo, Emiliania huxleyi; e la teoria prevede che quando quelle condizioni sono presenti “una pandemia virale è probabile”. Poi, il virus potrebbe  mutare e sparire, o magari un’immunità potrebbe svilupparsi, e per questo “è naturalmente impossibile prevedere se l’attacco sarà terminale”. Mettiamo pure in azione i più efficaci riti apotropaici.

Homo sapiens sopravvivrà alla crisi Coronavirus, come sembra probabile, grazie alla Scienza che ha inventato, e quindi potremo dire che siamo stati capaci di sventare una background extinction, ciò di cui i nostri predecessori – ovvero chi si è trovato alle prese col virus letale (principalmente foraminiferi planctonici) –  non è mai stato capace; almeno così si ritiene. Quindi, un evento senza precedenti.  Se invece si verificasse il caso peggiore, non essendo operativo il meccanismo di “sopravvivenza del più adatto” la specie che occuperà la nostra nicchia ecologica non avrà probabilità di successo maggiore della nostra. Ma non potremmo neanche verificarlo e magari concederci la magra soddisfazione di dire noi sapiens avevamo fatto di meglio….

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Un riferimento: Cesare Emiliani, “Extinctions and viruses”, BioSystems, 31 (1993), 155-159