Le rivoluzioni, come gli alberi, si riconoscono dai loro frutti Ignazio Silone

Una ragazza della classe media nel tempo della rivoluzione khomeinista

Febbraio 1979, in Iran trionfa la rivoluzione. Di questi tempi il regime iraniano lo condannano tutti ma in principio non è stato così. Ha fascinato molti, soprattutto fra coloro i quali, non avendo capito nulla del nuovo vento islamista e benevoli a prescindere verso qualsivoglia movimento insurrezionale, romanticamente assimilavano la rivoluzione khomeinista alla serie degli eventi degli anni settanta (Portogallo, Viet Nam, Cile, Etiopia, Nicaragua, …).

Quelli che seguono sono ricordi ascoltati da una persona normale, una signora che oggi vive in Italia. Gli oppositori dei primi anni sono stati in gran parte uccisi. Le rivoluzioni non si attardano nelle liturgie dello stato di diritto: per esse il ricambio violento e sanguinoso della classe dirigente è una virtù, la spietatezza è merito. Così, per farsi un’idea della vita quotidiana, non rimane che chiedere agli individui comuni: anche dai racconti di chi non necessariamente ha subito prigione o torture possono trasparire violenza e impoverimento con le ristrettezze e la precarietà del quotidiano.

Nei mitici anni settanta (forse l’apogeo culturale del marxismo) era uscita una enciclopedia a dispense che trattava tutte le rivoluzioni: già in quel riunirle in un unico approccio vi era un giudizio di valore positivo verso la modalità violenta di rivolgimento della società. In tanti ne eravamo ammaliati. Poi, chi scrive ha avuto modo di girarli quasi tutti quei paesi del mito terzomondista, conversando con molta gente che nelle rivoluzioni ci è passata dentro. I più tanti di loro la rivoluzione l’hanno subita. Se non intervisti la classe al potere (o gli intellettuali e i giornalisti da essa foraggiati) e preferisci parlare con le persone, non necessariamente i poveri e gli umili, ma anche classe media e persone attive, impari che la maggior parte della gente le rivoluzioni le subisce: esse oltre che lutti portano precarietà, disagi, impoverimento, in poche parole stanno tutti peggio. Sui manuali di storia si parla di chi le rivoluzioni le fa ma la gran parte della popolazione le subisce.

«Ero mussulmana e frequentavo una scuola cristiana». L’Iran come era prima

Eravamo classe media. E c’era una cospicua classe media, nel mio paese, e il tenore di vita era soddisfacente. Sono nata nel 1966, avevo sette anni, quindi le parlo del 1973. Io frequentavo una scuola cristiana, perché erano di miglior livello, era mista, maschi e femmine. Di musulmani eravamo in cinque o sei. Si vestiva tutti con una uniforme, gonna corta e camicetta. Ogni quartiere aveva le sue scuole; quando ci trasferimmo mio padre scelse questo istituto, nonostante ce ne fossero altri cinque. In verità la scuola, essendo cristiana non accettava mussulmani, proprio per non avere problemi; ma mio padre era conosciuto e ben voluto e mi presero. Aveva un metodo d’insegnamento all’americana, così si diceva. Noi ragazzi eravamo felici e spensierati. Fino a quando hanno detto: “E’ cambiato il governo. Lo Scià molla il potere”. Subentrò uno che si autoproclamò presidente. Lì per lì eravamo contenti «la situazione va a migliorare». Mia mamma approvava «Lo Scià se ne va!»… c’era un’euforia generale. Solo mio padre: me lo vedo laggiù seduto, dice: «Siete contenti? Guardate che quello che viene è ben peggio di quello che se ne va». Ma noi non gli abbiamo dato retta. I primissimi tempi eravamo presi dalla euforia: è durata neppure sei mesi.

Lo Scià nomina Shapur Bakhtiar, oppositore del regime e a suo tempo sostenitore di Mossadeq (1951, nazionalizzatore dell’industria petrolifera, quindi con fama di antioccidentale).

L’ayatollah Ruhollah Khomeyni: «glaciale e indifferente»

Ma Khomeyni questo presidente non l’ha riconosciuto. Lui era in esilio in Francia e una propaganda insistente diceva: tutto migliorerà se torna Khomeyni. Me lo ricordo, io avevo 13 anni. Alla tv vediamo Khomeyni! Lo stanno intervistando sull’aereo. Grande interesse, curiosità, un uomo che era sulla bocca di tutti: da anni in esilio, di fatto nessuno lo conosceva, solo tante aspettative e speranze. Il giornalista: «Come si sente che dopo così tanti anni sta tornando nel suo Paese?». E lui: «Non provo nulla» Io, una ragazzina di tredici anni, che di politica non si intende per niente, ma con tanti sentimenti che ribollivano, sentire una risposta così glaciale, mi fece un’impressione che mi segnò. Da quella frase e dai comportamenti successivi ci percepivo un distacco, una indifferenza per il popolo, quel suo popolo che trepidava per lui! Fu solo una sensazione, ma fu sufficiente per fiutare e presagire tutto quanto sarebbe successo. E da lì cominciai a scrivere delle poesie: contro di lui, che non lo potevo vedere! Mia mamma, invece, ancora era speranzosa.

Khomeyni era un ayatollah che nel 1963 aveva organizzato una congiura contro la Corona. Lo Scià si era limitato a imporgli l’esilio (la stessa fatale clemenza di cui beneficiò Fidel Castro: sono stati ben più clementi i despoti che i liberatori …).

Dopo poche settimane dal suo rimpatrio in Iran che cosa fanno? Esce la disposizione, l’ordine di metterci il velo quando andiamo a scuola. Faccia conto, ragazze che vivevano come vivete voi qui in Italia, ci vestivamo come voi, domani viene uno che ti dice: «Tu così conciata non giri, maniche corte niente, al mare non ci vai, i capelli non si devono vedere …» «Ma come?!?» Mia mamma ci forza per metterci ‘sto foulard. Non eravamo neppure preparati, non c’era nel guardaroba di casa questo nuovo abbigliamento richiesto. «Dovete mettervi un soprabito, che non si veda niente e un foulard in testa». Vado a scuola con questo coso in testa ma con la faccia di protesta. Vado lì e comincio a dire alle altre: «No non è possibile, non lo mettiamo». Infatti lì davanti a tutti me lo tolgo. Viene la direttrice: «Farah, mi raccomando non fare di queste scene, sennò pregiudichi tutto l’istituto. È una scuola con quasi tutti cristiani, non sappiamo come comportarci». Dopo non molti giorni vengono i pasdaran, ci impongono la divisione in ambienti esclusivamente maschili o femminili. A noi! Che eravamo cresciuti insieme! Questo è l’inizio.

Le rivoluzioni portano sempre guerra: guerra civile o guerra col vicino

La guerra Iran-Iraq è durata otto lunghi anni, dal settembre 1980 all’agosto 1988. Per mitigare l’aggressività degli ayatollah niente di meglio che fiaccarli con un logorante conflitto. Dal punto di vista interno, poi, lo stato di guerra permette ai governanti di giustificare sacrifici economici e restringimento dei diritti, imputandoli a un soggetto altro. Essa comportò morti e paura pure per la popolazione civile.

Cominciarono con i bombardamenti, soprattutto Teheran, e proprio non lontano da casa nostra. La sirena, scappare, tornare a casa, nuovamente la sirena … una prova di nervi. Una notte, mia mamma, anziché scappare si siede sui gradini, come rimbecillita … Dopo quell’episodio dovemmo sfollare al nord.

Una guerra con tante crudeltà, è stata. Mio nipote quando è tornato stava malissimo: era stato sul fronte, a fare la guardia alla frontiera. Ma erano atterriti perché gli iracheni, si diceva, non facevano prigionieri, tagliavano la testa: per mesi e mesi non hanno dormito. E quando è venuto a casa gli incubi lo hanno perseguitato per anni.

I pasdaran non scherzano: «ieri sera hanno ucciso cinque ragazzi dei nostri»

Eravamo un gruppo di ragazzini, 14-15 anni, decidiamo di uscire la sera, c’era coprifuoco, e c’era anche la guerra: bombardamenti sulle città, l’oscuramento. Noi scemi, ragazzini, in otto, siamo usciti, ma per fare niente, senza uno scopo preciso, per scherzare, «Dai, usciamo di casa …». Immagina un quartiere di villini con una trama viaria a scacchiera. Dalla settima strada, dove vivevo io siamo arrivati alla quarta. Sento gridare: «Ist, ist», cioè stop, fermatevi. Noi invece di fermarci ci prende la paura. E cominciamo a correre. Arriviamo sulla quinta strada: una signora apre la porta di casa sua e ci tira dentro. Lì abbiamo scoperto che ce n’erano molti altri “salvati” in quel modo. La mattina dopo veniamo a sapere che cinque ragazzi come noi erano morti. Avevano sparato, ognuno aveva preso una strada diversa; chi era stato più veloce si era buttato da qualche parte. Ogni tanto ci penso: «Potrei non essere qui, oggi».

Non conformi

In Iran abbiamo bellissimi luoghi montani dove si va a fare escursionismo, pure raggiungibili con strade o cabinovia. Un venerdì (quindi festivo) mia sorella dice «Andiamo a fare un’escursione come ai tempi di papà: ti ricordi, ogni mezzo chilometro c’erano soste panoramiche o aree picnic, era bellissimo». Non ce lo dicevamo ma c’era una grande nostalgia del tempo passato, degli anni prima della rivoluzione, quando ci si poteva andare come si voleva, ragazzi, ragazze…

Sa cosa accade nelle ascensioni, quando si è in gruppo succede che qualcuno rimane per conto suo: la mia sorella minore si era un po’ divisa da noi; essendo l’ora dello spuntino io e un’altra mia sorella torniamo indietro a cercarla. Facciamo parecchia strada e cominciamo a preoccuparci e chiediamo a tutti quelli che incontriamo. «Sì – qualcuno ci dice – lei e altri li hanno messi tutti su un pullmino e li hanno portati via».

Io l’ho presa in ridere, ero tornata in Iran dopo alcuni anni in Occidente, non ero più abituata. Ma il volto di mia sorella tradiva una preoccupazione che poco a poco si tramutava in angoscia: continuava a deglutire e un po’ tremava ma non per il freddo. Poi capimmo: avevano fatto una retata di tutte le ragazze che erano un po’ truccate in volto; mia sorella che aveva 15- 16 anni, pure lei caricata sul pullmino, portati tutti in una piccola prigione dove c’erano tutte ragazze non conformi all’Islam

Chiamiamo nostra mamma: lei arriva subito, in macchina. Va e chiede che cosa è successo. Le dicono: «Sua figlia aveva il rossetto». Ma non era neppure rosso, solo un lucidalabbra. Piuttosto li aveva infastiditi perché parlava a voce alta; e rideva. E questo non è conforme.

Mia mamma ha dovuto stare lì molte ore. Poi ha firmato assicurando che sua figlia non si sarebbe più comportata male, che non si sarebbe truccata mai più, che si sarebbe vestita conforme. Solo allora la rilasciarono.

«La gente si è stancata del benessere»

Mio padre ha sempre detto «voi avete vissuto troppo bene: la gente si è stancata del benessere». Papà è morto per la rivoluzione. Perché le dico questo, i pasdaran andavano negli uffici e nelle banche e tiravano giù le effigi dello Scià. Lui aveva la foto dietro la sua scrivania: glielo ingiunsero, lui non voleva che la togliessero, si è opposto fisicamente (forse colluttazione), poi alla fine son riusciti. Perde la sua posizione di direttore, lo mandano in un ufficietto a occuparsi delle pensioni del personale; lui, che era il primo a entrare alle sette e la banca apriva con lui! Era persona che aiutava la gente, concedeva mutui a piccoli artigiani con rischio di insolvenza, dava loro fiducia “vedrai che me li portano” e poi in effetti pagavano. Degradato in quel ruolo stava male, non faceva niente, e ci pativa, a poco più di cinquant’anni. È morto. Aveva problemi cardiaci, l’ambulanza è arrivata dopo un’ora, quando è arrivata lui aveva pressione altissima; dal salotto all’uscio di casa invece che metterlo su una barella lo hanno fatto camminare a piedi! In ambulanza lo fanno solo sedere e a un certo punto l’infermiere mi dice: «Tuo padre se ne è andato». Lo tirano fuori, lo mettono su una barella, non c’era ossigeno, non l’hanno neppure portato in ospedale. Era tempo di guerra. Medici, la grandissima parte erano scappati, altri giustiziati perche considerati fedeli allo scià. Aggiungi che altri erano al fronte, in città il servizio era assolutamente inadeguato.

Un mio zio è scappato, ha fatto da Teheran fino ai monti che vanno verso Turchia, poi da Turchia è scappato in America e ha chiesto asilo politico. I medici migliori sono scappati.

Assieme alle prostitute, per umiliarti

Erano i primi tempi della rivoluzione, ancora non avevamo capito “come girano le cose”…

Io avevo capelli lunghissimi e per non farli vedere mi mettevo un foulard. Ma usciva la coda e allora li nascondevo sotto il soprabito. Forse quel giorno, voltando il capo, saranno usciti…?

Vedo che un giovane mi guarda con occhi strabuzzati: «Hei, attenta! Guarda che ti stanno bruciando i capelli!». Mi giro e vedo un ragazzo che con l’accendino mi sta dando fuoco ai capelli; e con lui tre pasdaran. Poi, in un attimo, costoro mi cacciano su un pullmino e in malo modo mi spiegano che «Tu avevi i capelli fuori; e fanno eccitare gli uomini. Adesso andiamo in prigione». Con me c’erano alcune signore della strada, anch’esse arrestate, loro formose e truccate (si vedeva che lavoro fanno): un contrasto con me, che ero una ragazzina minuta, all’epoca sarò stata trentacinque chili. Mi consolano, una è tanto partecipe che piange con me. E mi dicono «Non ti preoccupare tu non sei come noi, tu devi essere forte ti hanno messo insieme a noi per umilarti per dirti che sei come noi ma tu non sei come noi». Erano loro che confortavano me! Ma io sapevo quello che tutti sanno, ciò che capita alle prostitute: a loro quando le prendono la pena consiste in cento frustate. Con una frusta di cuoio, sulla schiena, provoca ferite. Cento.

Resistenza controrivoluzionaria: i primi tempi c’era ancora un’opposizione armata

Le racconto questo episodio: è successo che avevo quindici anni, perciò 1981-82. Ero innamorata persa di un ragazzo, Alejan si chiamava, amore non corrisposto, peraltro. Con un’amica, per darmi coraggio, decidiamo che gli telefono. Andiamo a una cabina telefonica, mi arrabbio con lei perché non ha portato moneta sufficiente: «Te l’avevo detto che la portassi tu perché mia mamma non deve scoprire che voglio telefonare!». Questo pure era frutto dell’atmosfera di paura, non mi avrebbe fatto uscire di casa. «Ok, vabbeh, andiamo a cambiare». Andiamo in un negozietto lì vicino; stiamo tornando alla cabina, a un certo punto lei mi ferma: «Ma perché lo devi chiamare?». «Per proporgli di vederci quando io vado a scuola di inglese». «Bah, ok… andiamo». Faccia conto, mancavano 60 metri, io stavo guardando il paesaggio (la cabina era vicina al parco), lei mi dava sconsigli su questo ragazzo, che la famiglia sono troppo mussulmani …, eravamo a soli 60 metri e lei parlando faceva un po’ rallentare il passo …, a un certo punto vediamo la cabina che scoppia per aria. D’istinto ci buttiamo a terra. Cosa è successo? Una bomba aerea? Ma non c’erano stati bombardamenti iracheni (sino ad allora) sulla nostra città. Guardiamo tutt’attorno ma solo la cabina era distrutta: completamente, ma solo quella. Abbiamo poi saputo, avevano messo una bomba: autore un movimento di opposizione al regime. Una volta ancora: «Potrei non essere qui, oggi».

Lo Scià: un sentimento di umanità, che a lui costò il trono e al Paese tanti decenni di sciagure

Proteste, anche massicce, anche violente ci sono sempre state in tanti paesi, le avete pure in Italia, qualcuno che protesta, dovunque nel mondo lo trovate. Lo Scià cosa faceva, li metteva in prigione e seguiva un regolare processo, non è che li ammazzavano. Ora, trecento – quattrocento persone cominciano a protestare davanti alla casa dello Scià e il suo primo ministro gli consiglia (lo si trova scritto, se si fa ricerca sui giornali): «Tu questi devi eliminarli. Se tu ammazzi questi trecento, se lo fai è meglio per tutti, elimini alla radice la protesta. E la smettono». Lo Scià non lo fa: non per debolezza, per compassione. Lo Scià verso il suo popolo era buono.

Lui non ha voluto eliminare 300 persone. Nei soli dieci anni successivi ne sono morti tre milioni, tra rivoluzione e guerra. Tre milioni incolpevoli. Scusi sa, ma bastavano trecento uomini, non era meglio loro! Lo Scià ha portato l’acqua a tutti i villaggi; le forze armate, anziché sacrificare vite in una guerra, li mandava a insegnare nei villaggi.

Dopo la rivoluzione impoverimento del Paese

Noi non eravamo ricconi, eravamo classe media: ma l’Iran del tempo dello Scià aveva una cospicua classe media. Con la rivoluzione sono peggiorate le condizioni generali di vita. L’Iran è sprofondato in una povertà che prima non conosceva. “Non più importazioni!” le rivoluzioni in nome dell’uguaglianza vogliono eliminare il superfluo ma presto, con le legnate al commercio, viene a mancare anche il necessario. Così è stato: per comprare anche solo un litro di gasolio occorreva un “buono”. In Iran, capisce! Un paese che il petrolio lo esporta!

Il sistema dei “buoni”, i coupon. Le spiego: casa mia era su due piani e aveva una cisterna sotterranea per il gasolio. Al tempo dello Scià le cose erano normali, come da voi: si fa approvvigionamento di gasolio e ci si scalda. Invece non lo diedero più: dovemmo organizzarci con le taniche di nafta, piccoli apparecchi, uno per ogni stanza, ma non ti davano abbastanza buoni. E stessa cosa per gli altri generi basici, riso, latte …Altro che sospendere il superfluo!

Per il latte dovevi fare una fila. Meno male che da ragazzi anche i drammi vengono vissuti ridendo. La coda diventava il posto di divertimento: pensi lei, cinquanta ragazzini, ognuno con una sporta di plastica, dopo un po’ quando abbiamo visto che ‘ste file duravano chissà quanto, ci siamo organizzati inventandoci una specie di cordino segnaposto. Poi, fai la coda per le uova, il riso … Ormai per tutto dovevi fare la coda, altrimenti non te lo davano. Razionamento, diversamente in vendita non c’era; dovunque era così. Tutti uguali, tutti poveri. E allora, la perfetta eguaglianza genera la ingiusta diseguaglianza: prospera il mercato nero.

Il razionamento: per tenerci sotto controllo

Non è che si poteva avere tutto ciò che le possibilità economiche permettevano: no, dovevamo “guadagnarcelo”, nel senso di ottemperare alle norme di fedeltà all’Islam e alle istituzioni del regime.

Per esempio neanche potevi riscaldare la casa. Noi, tutto sommato, avevamo il camino e bruciavamo legna, ma gli altri come se la saranno cavata? Per fortuna in Iran c’è una cosa bellissima, si chiama corsi: è un tavolino basso, sotto mettevano carbone acceso e sopra delle coperte grandissime e intorno dei cuscini e tutti si sedevano attorno e nessuno si muoveva di lì; ma quante volte mi sono bruciata le calze, perché mi avvicinavo troppo al carbone.

Anche per accedere alla facoltà di Medicina imparare tutto il Corano

Sono venuta via dall’Iran nel 1985, umiliata dalle discriminazioni. Siccome non ero abbastanza mussulmana ho fatto due volte l’esame per entrare in università: passavo il primo livello, che erano test. Ma poi il secondo esame dovevi sapere tutto del Corano e norme dell’Islam. Io, che al tempo dello Scià avevo studiato in una scuola cristiana, tutti i venerdì dovevo andare in moschea, pregare per terra. Questi esami, badi bene, erano per accedere a Medicina, una facoltà scientifica! Devi essere mussulmano praticante, sennò medico te lo sogni. L’unica di diciassette nipoti che ci è riuscita è stata mia cugina: lo volle fortissimamente, perché l’università era di buon livello e lei lo meritava; pensa, una che al tempo dello Scià era la prima in tutta la regione. A lei, che brava lo era indubbiamente, per accedere le posero un sacco di obblighi, dovette apprendere il Corano e pure cantarlo. Lei si è intestardita e ci è riuscita, a caro prezzo però, perché ha perso i capelli a ciocche intere, dal nervoso che si faceva. Il Corano io so leggerlo ma cantarlo è difficile. Ormai è obbligatorio in scuola. E siccome è in arabo ci tocca imparare l’arabo: per noi persiani, si figuri, fumo negli occhi!