Lei lo pianta e lui l’ammazza. Una volta faceva notizia. Oggi non più, purtroppo, e allora qualcuno ha inventato la parola “femminicidio”, sulla quale la penso come Michel Houellebeq (“comique […] ça faisait penser à insecticide ou à raticide»). Gli omicidi su donne, operati da fidanzati, ex fidanzati o familiari sono dell’ordine di un paio la settimana nel nostro paese: veramente tanti. L’assassinio di Giulia Cecchettin, per le sue modalità orrende e per i molti giorni di suspense che l’hanno seguito, ha portato vistosamente “à la une” un tema che, in realtà, era già ampiamente presente nelle pagine interne e nelle note di costume.
Sulle risposte da dare a un problema drammatico c’è una certa uniformità di vedute, una volta tanto. Tutti vogliono affidare alla scuola il compito di inserire nell’insegnamento una appropriata educazione – oh pardon, questa parola di sapore autoritario è mal vista e quasi bannata – diciamo piuttosto opportune raccomandazioni. Posso immaginarle come esortazioni (bambini, non dovete picchiare le bambine solo perché sono meno forti), esempi edificanti e appelli a trovare una morale “dentro di noi”, visto che quella proposta dal parroco ormai conta poco. Quindi, una morale di tipo kantiano: Imperativo Categorico, perseguire il Sommo Bene. Questa idea comporta l’onesta presa d’atto che è impensabile affidare un compito simile alla famiglia, visto che, se ha fallito fino ad oggi, non si vede come potrebbe riuscire domani.
Una piccola variante proviene da settori della destra politica che, in aggiunta, vorrebbero inasprire le pene per la violenza esercitata sulle donne, provvedimento che l’opposizione critica come poco utile (è sulla prevenzione che bisogna operare…). Va detto che una legge di quel tipo comporterebbe anche sospetti di anticostituzionalità, come tutte quelle che violano l’uguaglianza di genere: ad avviso di chi scrive, vale anche per le cosiddette “leggi panda”, che tendono a proliferare. Nel caso specifico, poi, quella legge dovrebbe anche prevedere un’ampia casistica: come gestire, ad esempio, il caso di femminicidio in coppia lesbica o trans?
Unanime è stata anche la reazione dell’ambiente giovanile: in scuole di ogni ordine e grado, gli studenti hanno dato luogo a manifestazioni di protesta anche clamorose. Bersaglio principale la tradizione di “patriarcato” che impregnerebbe la nostra Società. Patriarcato: un termine che, dalle scrivanie di storici e umanisti, è migrato alla piazza per guadagnarsene i favori e, con essi, un quarto d’ora di gloria. Non ho ancora incrociato la “visione fallocratica” negli editoriali, ma so che da qualche parte è rintanata.
Ecco, è su queste reazioni che vorrei soffermarmi, quelle del mondo politico e quelle degli studenti, in quanto mi appaiono le une velleitarie e le altre leggermente deliranti. Soffermarmi con alcune riflessioni
Perché “deliranti”? il fatto è che quei giovani non si sa contro chi protestino, visto che la piaga, in base ai dati, interessa soprattutto la classe di età tra i 18 e i 35, cioè, i giovani. “Uomini, pentitevi!”. Secondo logica dovrebbero, comunque, protestare contro la mamma che non gli ha insegnato niente, quando, da sempre, sono le mamme che alla creatura trasmettono ciò che è essenziale. Ma le mamme hanno grandi difficoltà per insegnare le regole di comportamento a dei bambini schiavizzati dal Web, i quali, a quanto sembra, si trovano il porno servito sul cellulare già quando sono all’età della scuola primaria. Dio sa con quale idea del sesso cresceranno. Togliere il web ai bambini? Lo hanno già fatto i Cinesi, ma si sa che in Cina il Potere, con i suoi metodi un po’ rudi, può ottenere risultati che a noi sono preclusi. Persino Tik ToK lo refilano ai nostri, non ai loro.
E chissà come sarebbe accolto nel corteo l’infiltrato luterano che issasse un cartello “peccate fortemente, pentitevi più fortemente”.
Ai tempi veramente patriarcali che ho vissuto – diciamo, i primi anni postbellici – sentivo il detto “una donna non si picchia neanche con un fiore”. Sempre meglio che bastonarla – no? – anche se oggi suonerà paternalistico. A casa mia eravamo tre fratelli, e nessuno in famiglia ci insegnò esplicitamente a non usare violenza sulle donne, perché la cosa era data per scontata. Era nell’atmosfera che respiravamo. Una volta cominciato, si continua per il resto della vita. Aristotele diceva che la virtù è anche un’abitudine, e con le parole di quel grande non saprei che concordare. Per lui, il bambino doveva venire istruito a pratiche virtuose, le quali avrebbero finito per radicarsi come abitudine. C’è da pensare che tale istruzione non la vedesse affidata alla scuola, dato il modesto tasso di scolarizzazione che doveva caratterizzare la struttura sociale del mondo di Aristotele. Restava solo la famiglia. Ed è ciò che oggi si è indebolito.
La violenza sulle donne è un tassello in un quadro di violenza generalizzata e soprattutto condonata. Violenza è il teppismo delle “baby-gang”, è le case occupate, è l’assalto ai cantieri TAV, è i blocchi stradali, è il ragazzino che spara pallini all’insegnante, è i congiunti del malato che picchiano il personale medico, è ciò che succede entro e intorno agli stadi, è il ragazzo che butta la bicicletta in testa a un coetaneo, è quelli che picchiano il mendicante, è i due gruppi che si massacrano, ciascuno col suo rapper di riferimento. I politici si svegliano quando si trovano alle prese con casi clamorosi, che ignorare è impossibile (beh, proprio impossibile non è, nella realtà dipende dalle circostanze). Altrimenti, preferiscono occuparsi d’altro perché qui la risposta non la trovano. E non la trovano perché forse non esiste.
Vediamo un po’. L’uomo non è naturalmente buono. Se rinuncia a fare il male, è per non incorrere nel castigo che il contratto sociale gli assegna. Non uccidere, perché andrai in prigione. Oppure, in altre culture, non uccidere perché – occhio per occhio – verrai ucciso tu stesso. In tempi recenti, voci alternative si sono levate: la fantasia al potere… vietato vietare… Voci che altrove, sono rimaste limitate ad un certo momento storico; da noi hanno messo radici generando un “liberi tutti”. Quanto alla violenza sulle donne, ha avuto duecentomila anni per insediarsi nel genoma di Homo sapiens. La donna è più debole, no? Dunque, è mia, e ne faccio quello che voglio. Poi, molto tardi, sono arrivati la civilizzazione, il Diritto Romano, eccetera. Ma i geni erano sempre quelli…
Quanto al castigo, c’è un altro fattore che considero decisivo. In molti casi, il reato coincide col peccato. Il castigo della legge è un deterrente, ma è una bazzecola in confronto al “castigo di Dio”. Linguaggio scherzoso per un problema serio. Da una parte il padre o maestro che gli dicono “questo non si fa, perché è contro la legge, e se la fai (magari) finisci in prigione”, dall’altra il prete che gli dice: “questo non lo fai, perché è contro la legge di Dio, e se lo fai finisci all’inferno”: quale delle due minacce suona più preoccupante? Quale voce il ragazzo ascolterà tra quella del prete “sarai punito per l’eternità” è quella kantiana, “fruga, e troverai la legge morale dentro di te”?. Tra inferno e domiciliari, quale dei due luoghi il meno confortevole?
Ebbene, il ruolo della Chiesa come prescrittore è precipitato negli ultimi decenni. È stato un disastro, e lo dico da non-credente. Pigliamo il tipo che ha accoltellato il rivale, qualcuno pensa che torni a casa la sera e si dica “ahi, cosa ho fatto, ho violato la legge di Dio”? Oggi, improbabile. Deve avere poca fiducia anche Papa Francesco, che infatti preferisce occuparsi di immigrazione e di ambiente. Vale sempre il volterriano “Dio non esiste, ma non ditelo al mio cameriere, perché verrà di notte a uccidermi.
Per finire: un assassinio che tuttora mi colpisce come il più sconvolgente è quello della diciottenne Saman Abbas, che credo tutti ricordiamo. Perché “il più sconvolgente? Il giovane Filippo, che ha ucciso Giulia, è un singolo. Gli avvocati invocheranno l’infermità mentale, unica via per evitargli l’ergastolo. In altre parole, lo faranno passare per matto, e, d’altra parte, se è vero che a venti anni dormiva col Teddy Bear, tanto a posto non doveva essere. Nell’altro caso, a orrendamente premeditare e freddamente organizzare l’agguato mortale sono i genitori coadiuvati da tutta la famiglia, ovvero, tutti quelli che più dovevano amarla, Saman, in un mondo per noi normale. Niente infermità mentale. La convinzione di fare la cosa giusta. Spaventoso.
Ciò che qui voglio sottolineare è che la reazione popolare è stata pari a zero. Nelle aule, né minuto di silenzio, né chiasso di protesta. Strano? Io una risposta me la sono data. Era una famiglia di Pakistani, e l’inespresso pensiero popolare è stato, va be’, da quelli lì… si sa… c’è da aspettarselo …. da loro si fa… È un qualcosa che nel gergo corrente, viene qualificato come “razzismo”, ma vai a spiegarlo ai ragazzi che picchiano le mani sui banchi. Si offenderebbero molto. Il tragico è che nella giustificazione (inespressa) del loro silenzio c’è una quota di ragionevolezza, ma questo è un altro discorso.