Commentare l’anno trascorso è la cosa più facile del mondo. Gli eventi che hanno avuto il loro corso ed i loro effetti sull’economia e i mercati finanziari sono spesso, con il senno del poi, facili da descrivere. Cionondimeno si tratta di un esercizio utile per potersi proiettare nel ben più difficile esercizio di immaginare quanto potrebbe avvenire nell’anno che abbiamo di fronte. Alla prova dei fatti gli eventi hanno solo in parte confermato le previsioni fatte 12 mesi fa dagli analisti. Le tante elezioni del 2024, per iniziare, non sono state certo avare di sorprese. Tra queste il successo, meno roboante del previsto, del partito nazionalista del presidente Modi in India e la decisa riconferma di Claudia Sheinbaum in Messico sono state accolte da una discesa di borse e valute locali ma non hanno provocato danni serie ripercussioni sui mercati mondiali. Più violente, sui mercati europei, sono state le scosse derivanti dall’esito in Francia delle elezioni europee di giugno. La vittoria del partito di estrema destra, il Rassemblement National (RN), ha condotto il presidente Macron allo scioglimento dell’Assemblea Nazionale e ad indire nuove elezioni e ne è seguita una fase di incertezza che ha danneggiato i mercati finanziari (azioni e obbligazioni) francesi ed ha contribuito alla debolezza dell’euro. La crisi governativa in corso in Germania, con il governo di Olaf Scholz dimissionario a novembre, ha poi completato la situazione di incertezza dell’area euro. Ma l’evento più atteso dell’anno erano certamente le elezioni presidenziali statunitensi. Gli effetti dell’inflazione e l’insoddisfazione nei confronti della presidenza democratica da parte di una larga fascia della popolazione hanno frustrato il tentativo di rimonta de Kamala Harris (che aveva sostituito in corsa il presidente in carica). La vittoria di Trump è andata però ben al di là delle più ottimistiche aspettative, consentendo al partito repubblicano di aggiudicarsi anche il controllo di ambedue i rami del Congresso. Gli investitori si sono così ritrovati a festeggiare i risultati con una decisa salita del dollaro e del mercato statunitense. Ad essere gradito non è stato solo il programma del neopresidente, chiaramente “espansivo” per l’economia statunitense, ma anche, vista la netta affermazione di The Donald, la mancanza di possibili contestazioni e riconteggi che avrebbero reso più incerto il passaggio di consegne. Venendo infine all’altro tema che ha tenuto banco negli ultimi anni (e lo farà certamente anche il prossimo), l’inflazione ha continuato la sua discesa, riportandosi in Europa ai livelli precedenti al COVID e al conflitto in Ucraina, vicina al 2% (il 2023 era terminato con un dato leggermente inferiore al 3%). Anche negli Stati Uniti la crescita dei prezzi è rallentata, dal 3,4% al minimo registrato a settembre del 2,4%, ma negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un preoccupante cambio di tendenza e a novembre il dato è salito al 2,7%. Sulla ripresa dell’inflazione negli USA ha certamente contribuito l’andamento dall’economia americana che, dopo un inizio d’anno che sembrava dare ragione a coloro che temevano una recessione imminente, ha dimostrato una forza superiore alle attese. Com’era negli auspici le banche centrali nel 2024 hanno finalmente ricominciato a tagliare i tassi di interesse, dopo più di otto anni in Europa e quattro negli USA. A dicembre, però, il governatore statunitense ha accompagnato l’ultima sforbiciata con parole di cautela (inflazione più alta del previsto, economia e solida e debito pubblico elevato) che sono state un’autentica doccia fredda per i mercati finanziari che non hanno celebrato le festività con il tradizionale rialzo di fine anno. Ci troviamo così a celebrare un anno complessivamente positivo ma con un retrogusto dolce-amaro. Cosa possiamo dire dunque sull’anno che ci apprestiamo ad iniziare? La (semi) nuova amministrazione americana è attesa a tradurre in pratica gli annunci fatti in campagna elettorale e un assaggio lo abbiamo già avuto dal discorso di insediamento dei giorni scorsi (con menzione d’onore alla battaglia contro l’inflazione, nemica numero uno dell’elettorato di Trump). Innanzitutto, riportare le grandi imprese ad investire nei confini nazionali, attraverso incentivi e penalizzando le importazioni con forti dazi (elevandoli, applicando il criterio della reciprocità, ai livelli applicati alle esportazioni USA). Con Trump, poi, subirà un’accelerazione la politica di contenimento della Cina (anche attraverso l’imposizione di una tariffa straordinaria del 60% sulle importazioni). Un altro tema caro a The Donald è quello della deregolamentazione che consentirebbe, tra le altre cose, di ottenere con maggiore facilità l’approvazione della messa in commercio di nuovi farmaci, di effettuare nuove esplorazioni per l’estrazione di gas naturale e petrolio, di portare a termine operazioni di fusione e acquisizione (l’esatto opposto della politica antitrust caldeggiata dai democratici) e di sviluppare la produzione di elettricità sfruttando una pluralità di fonti diverse quali il carbone, il nucleare e l’idroelettrico. Tutto da comprendere, poi, è il ruolo di Elon Musk, a capo, con l’imprenditore farmaceutico e politico repubblicano Vivek Ramaswamy, del nuovo “Dipartimento per l’efficienza governativa” (DOGE). Il DOGE si riprometterebbe di tagliare la spesa pubblica di 2.000 miliardi di dollari (il 30% della spesa pubblica) e questo potrebbe impattare negativamente sulla crescita economica nel breve termine ma fornire maggiori benefici nel lungo periodo. L’effetto complessivo dovrebbe comunque essere positivo, almeno nella prima fase, per l’economia statunitense che potrebbe però successivamente trovarsi a fare i conti con un debito pubblico in ulteriore crescita (e questo è un altro dei timori, non dichiarati, della Federal Reserve) e qui potrebbe inserirsi il lavoro di contenimento del DOGE. Più complicata potrebbe essere la vita per il nostro continente, con una crescita economica asfittica e colpito da nuove tariffe sull’export e dalla cura dimagrante del suo principale cliente (intenzionato a fare sempre più shopping all’interno dei propri confini). D’altro canto, la debolezza dell’euro è di supporto ai nostri esportatori e i tassi d’interesse dovrebbero scendere più rapidamente rispetto a quanto avverrà negli Stati Uniti aiutando, oltre all’economia, i mercati obbligazionari e, indirettamente, azionari. Il 2025 potrebbe anche essere l’anno della fine dei due maggiori conflitti in corso (un altro degli obiettivi elettorali di Trump) e la prospettiva di un (enorme) piano di ricostruzione sarebbe benvenuta per i Paesi europei (i più coinvolti e penalizzati) e gli Stati Uniti e per le loro aziende coinvolte. Ovviamente non possiamo certo ignorare i rischi provocati da eventi imprevisti e dalla possibilità che gli elementi di incertezza che già si possono intravedere (riassunti dall’Fondo Monetario Internazionale nell’immagine seguente) possano degenerare. Ciò detto le previsioni pubblicate dagli analisti delle principali case d’investimento nelle ultime settimane riflettono un moderato ottimismo, con obiettivi di salita del mercato azionario statunitense nel 2025 di circa il 10%. Si tratterebbe, se corretto, di un risultato che raramente si è prodotto in passato: dal 1927 l’indice Standard and Poor 500 è salito tra il 5 e il 10% solo sei volte. Insomma, molto probabilmente, ancora una volta, le stime fornite dagli investitori professionali saranno disattese: rimane solo da vedere in quale direzione… D’altronde, si sa, siamo figli delle stelle e l’unica funzione ragionevole delle previsioni economiche è quella di far apparire rispettabile l’astrologia.
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