C’era una volta a Torino, negli anni Trenta, un ragazzo dai lineamenti delicati e dai grandi occhi azzurri innamorato del jazz e dei gialli americani; un sognatore a cui l’austerità della vita torinese stava stretta; un ginnasiale che, pur destinato agli studi giuridici, non poteva immaginare di contenere la sua creatività nei ristretti confini delle pandette. Una sera questo ragazzo si recò nell’elegante dehors dell’hotel Ligure di piazza Carlo Felice dietro segnalazione di un compagno di scuola, Aldo Ferrari detto ‘l’americano’: “Leo, vai a sentire quel ragazzo che suona il contrabbasso nell’orchestra di Filippini. Fa degli intermezzi da brivido con il violino. Non sono improvvisazioni standard, ma improvvisazioni vere, che cambiano ogni sera: un vero jazzman!”. In una pausa dell’orchestra Filippini, impegnata in brani quali L’uccellino della radio e Com’è delizioso andar sulla carrozzella, ecco arrivare, in una divisa ‘per la crescita’, di almeno due taglie in più, il giovane violinista, che, quasi ipnotizzato dalla musica, diede vita a virtuosismi su Stardust da far invidia a Stéphane Grappelli e a Joe Venuti. Leo, rapito dalla sua bravura, gli si avvicinò al termine dello spettacolo; sedettero insieme a un tavolino e il violinista, sgranocchiando il cono del suo gelato, gli chiese in dialetto: “Vuoi un gelato anche tu? Siccome non bevo, me ne offrono due. Qui soldi non me ne danno: mi pagano così‘ e gli strinse la mano per presentarsi “Io sono Ferdinando, ma mi faccio chiamare Fred, fa più America”. Avvenne così il primo incontro fra Leo Chiosso e Fred Buscaglione: un’amicizia destinata a diventare simbiotica e prodigiosamente creativa, ma che, di lì a poco, venne bruscamente interrotta dalle vicende della Seconda Guerra Mondiale. Chiosso, chiamato alle armi dopo la laurea, venne catturato dai tedeschi a Bassano del Grappa e deportato in  Polonia, dove diventò amico di Giovanni Guareschi, mentre Buscaglione fu internato dagli Americani in Sardegna. Fortunatamente, fra i vertici militari, qualcuno amava la musica e aveva deciso di costituire proprio nel nord della Sardegna l’orchestra dell’esercito; così Fred, sbarcato nell’inverno del ’41 nella caserma Lamarmora di Sassari, grazie ai privilegi offerti dal suo talento, divenne protagonista indiscusso degli eventi musicali presso alcuni reggimenti, organizzati per sollevare l’animo dei commilitoni sottoposti alle pressioni del conflitto. La sua abilità con diversi strumenti (non solo il violino, studiato al Conservatorio di Torino, ma anche tromba, pianoforte, contrabbasso) e la sua irresistibile presenza scenica riscuotevano uno straordinario successo, formando a poco a poco i tratti di quello che sarebbe diventato il suo personaggio di simpatico spaccone. Sentendolo suonare alla radio alleata di Cagliari, Chiosso venne a sapere che l’amico era ancora vivo.

Quando, ‘appena finito il temporale’ – per citare Paolo Conte-,Torino si preparava  a vivere con vigore gli anni della ricostruzione, Buscaglione, a 25 anni, si trovò nella necessità di sostenere la pericolante navicella della sua famiglia (i genitori, la sorella minore Maria Teresa e il fratello Umberto, di soli 10 anni), con l’unica risorsa in suo possesso e suo unico vero motivo di vita: la musica. Nel settembre del ‘46 gli si presentò una buona occasione: fu scritturato dall’orchestra del maestro Ortuso alla Tavernetta del Bar Sestriere in via Amendola come violinista. Chiosso, Fred e l’amico Franco Pisano si ritrovarono a parlarne su una panchina: in tre non riuscivano a raggranellare cento lire, e dovevano affrontare un problema che oscurava la buona notizia: trovare un vestito blu e un paio di scarpe nere necessari a Fred per presentarsi al lavoro. Il problema venne risolto da un collega che suonava nell’Orchestra Angelini, più alto di Fred di due spanne. Quella sera alla Tavernetta il giovanotto con la giacca lunga fino alle ginocchia e i pantaloni alla Ridolini agganciati alle bretelle ottenne un grande successo, con il suo stile swing. Da ingaggio a ingaggio Buscaglione riuscì a comprarsi un bel frack e iniziò a lavorare con furia, curando la parte orchestrale (vincendo anche il referendum della rivista Jazz come miglior violinista swing europeo, davanti ai più celebri violinisti del genere), ma inserendo ogni tanto qualche brano cantato; con un repertorio sofisticato e quella sua voce originalissima stava percorrendo l’inizio della sua brillante carriera. Per trovare ingaggi meglio retribuiti, nel ‘48 Fred lasciò Torino per una lunga tournée all’estero -Svizzera, Olanda e Germania- dove riusciva a incantare le platee con la maestria del suo violino, passando con disinvoltura dallo swing alle arie classiche, dalle melodie in voga fino alle turbinanti czardas tipiche del folclore balcanico.

Ogni qualvolta la sua vita itinerante glielo consentiva, si faceva raggiungere dai vecchi amici musicisti, con i quali si era andato via via rafforzando l’affiatamento. Fu cosi che alla fine degli anni ‘40, con il ritorno a Torino, si realizzò il suo sogno: quello della mitica Orchestra Asternovas, che debuttò al Roof Garden Florida di Piazza Solferino, dove Fred riapparve all’amico Leo Chiosso in una nuova versione: con quei baffetti alla Clark Gable, la sigaretta all’angolo della bocca, l’espressione da simpatico lavativo, diede a Chiosso l’impressione che il suo repertorio non sfruttasse appieno le sue potenzialità. Chiosso gli propose di “far uscire la bestia che era in lui”, di scrivere le parole delle sue canzoni per interpretare non solo il suo singolare linguaggio musicale, ma anche la sua affascinante personalità, contraddistinta da una forte vena teatrale. Swing nelle note, ironia nei testi, nacquero le prime canzoni con musica di Buscaglione e testi di Chiosso. Il primo successo dei due autori, nel 1953, fu Tchumbala Bey, la saga volutamente kitsch e surreale di un cavaliere folle che percorre la steppa sentendosi invincibile ed esplodendo in risate tonanti. La ‘vittima ‘designata per interpretarla fu Gino Latilla, al quale i due amici, una sera, proposero d’imperio la canzone, approfittando della sua evidente alterazione alcolica. Durante la prima esecuzione di Tchumbala Bey Latilla, innervosito dalla distrazione dell’orchestra, finì la canzone strappandosi la camicia e riducendola a brandelli. Il gesto eclatante colpì il pubblico, che gli tributò un successo clamoroso; tant’è che Latilla fu costretto a strapparsi la camicia alla fine di ogni esibizione e a comprare una fornitura di centinaia di camicie per non rischiare di restare seminudo. Il successo di questo brano fece sì che Latilla (con il quale Chiosso e Buscaglione avevano formato il Trio Pastiglia, effetto delle loro goliardate) riuscisse a far firmare ai due artisti  un contratto con la Cetra, prodigandosi lui stesso per vendere migliaia di copie dell’extended play (disco 45 giri con 4 canzoni) che era stato registrato. Che bambola! nel 1956 ebbe un record assoluto di vendite, portando Buscaglione alla celebrità e a una popolarità che non conobbe mai ombre, nel corso della sua breve vita. 

Il sogno americano di Chiosso e Buscaglione, nutrito dai gialli e dai film (“Ne vedevamo anche due al giorno. Uscivamo da un cinema e correvamo in un altro”), compì il miracolo di creare a Torino una Chicago anni Venti, fatta di scontri fra bande rivali e di pupe platiné, raccontata da ‘un duro facile alle cotte’, da un gangster piemontese con la voce arrochita dal fumo e dal whisky. Fred con Fatima e Leo con Caterina andarono a vivere in Vanchiglia, in vie diverse ma in appartamenti contigui, dove, parlandosi sui balconi dell’interno cortile, i due amici si lanciavano continuamente idee per le loro creazioni, in dialoghi che duravano fino a notte fonda, finché qualche vicino, divertito ma esasperato, gridava “Allora, l’abbiamo finita questa canzone?” Da questo straordinario sodalizio nacquero, dopo Che bambola!, Che notte, quella notte! Criminalmente bella, Il dritto di Chicago, Eri piccola così, Lontano da te, Porfirio Villarosa, Sgancia e pedala, Teresa non sparare, Whisky facile  e, fra tante altre, un inno al mito dei due amici, Voglio scoprir l’America, in cui Fred -Cristoforo Colombo chiede ripetutamente alla Corte di Spagna tre caravelle per scoprire il Continente nuovo, e riesce ad ottenerle solo dopo aver promesso di rapire e portare davanti ai saggi di Salamanca la bella Marilyn, che ‘ha più curve di una strada di montagna’. Erano canzoni che prendevano spunto da fatti quotidiani (l’apparizione di una bella ragazza sotto i portici di Torino, come in ‘Che bambola!’; un fatto di cronaca, come in Teresa, e perfino una cena a base di asparagi, come in Che notte, quella notte!) trasformati in brevi sceneggiature di forte impatto visivo, in cui si susseguivano bambole dal pugno facile, gangster innamorati di maggiorate che li riducevano in miseria, mariti fedifraghi e fregnoni minacciati da mogli armate di fucile; testi ironici che detonavano come bombe nel panorama italiano anni Cinquanta, percorso da vecchi scarponi, binari tristi e solitari, barche che tornavano sole dopo il fallimento di un tentativo di salvataggio. Impossibile immaginare Buscaglione senza Chiosso e viceversa: nelle loro creazioni, la personalità dell’uno pareva estendersi in quella dell’altro. Chiosso utilizzava termini mai prima usati nelle canzoni, esaltando l’azione descritta con sirene, fischi, urla, suono di orologi a cucù, colpi di pistola e dimostrando, con il ricorso ad allitterazioni e a vocaboli tronchi che, contrariamente a quanto si sosteneva, l’italiano non era poi una lingua impossibile per lo swing. Solo Fred, però, falso duro col fascino latino, avrebbe potuto renderle credibili: l’aderenza del personaggio al testo risultava perfetta, grazie alla sua qualità interpretativa e al suo talento scenico; a quella sua smorfia da mascalzone malinconico e beffardo che aveva sul pubblico un impatto immediato. L’ultima collaborazione fra i due fu nel film Noi duri del 1960, in cui Fred recitò con Totò su sceneggiatura , soggetto e colonna sonora di Chiosso. Proprio durante la lavorazione del film, nella maledetta alba del 3 febbraio 1960, il trentottenne Fred si schiantò con la sua Thunderbird rosa contro un camion carico di porfido ai Parioli di Roma, e, soccorso dal camionista, spirò sul filobus che correva verso l’ospedale. La sua morte crudele segnò bruscamente la fine di un sodalizio che tanto ancora avrebbe potuto dare, la mondo dello spettacolo e al cuore della gente. Chiosso, al cui primogenito, nato a pochi giorni dalla morte di Fred, fu imposto il suo nome, Ferdinando, colpito da un dolore immenso, che forse non riuscì mai a metabolizzare, firmò poi una lunga serie di successi in campo musicale per i più noti cantanti (Una ragazza in due, Parole parole parole, Montecarlo, Torpedo blu…) e in campo televisivo, dove fu autore di moltissimi programmi di successo, dalle Avventure di Laura Storm a un’edizione di Canzonissima. Molte altre amicizie strinse nel mondo dello spettacolo, ma il binomio Buscaglione-Chiosso fu certamente unico e irripetibile. E, una notte stellata di fine estate, riascoltando nel cortile della famiglia Chiosso i grandi successi degli Asternovas di Buscaglione, interpretati dai sorprendenti Astervejas- stessa formazione, stesse sonorità-, mi è parso di rivedere le ombre dei due grandi amici, richiamate dallo swing senza tempo delle loro canzoni, intrecciarsi dopo tanti anni ancora una  volta, per rivivere la struggente storia della Torino di allora e della loro grande amicizia, nata e vissuta “sotto le stelle del jazz.”

Marina Rota

Nota dell’autrice: La Città di Torino ha  accolto in questi giorni la richiesta del Comitato Leo Chiosso: anche il poliedrico autore, dopo l’intitolazione dei Murazzi a Fred Buscaglione e a Gipo Farassino, – altro interprete di tanti suoi successi- avrà  un riferimento toponomastico, che è stato individuato nell’aiuola-giardino di Largo Montebello, il quartiere in cui abitarono per molti anni i due amici e dove visse la “maestrina dalla penna rossa”, una delle protagoniste di Cuore, (curiosa coincidenza, dal momento che Chiosso fu autore della riscrittura, intitolata Kuore, del  capolavoro deamicisiano)