La Repubblica Romana, proclamata il 7 febbraio 1849, fu un momento glorioso della storia d’Italia. Purtroppo essa ebbe vita breve, assediata e invasa da tre eserciti stranieri (francese, austriaco e spagnolo) e, ahimè, anche da uno italiano, quello del Regno delle Due Sicilie. Retta da un Triumvirato, composto da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini, diede al mondo un esempio di grandi virtù militari e civili e rappresenta una tappa fondamentale nella marcia del popolo italiano verso l’unità e l’indipendenza. In questo scritto le vicende della Repubblica Romana vengono viste con gli occhi di un personaggio un po’ strano, ovvero Pasquino. Chi è Pasquino? E’ il soprannome di un tronco di marmo, d’epoca ellenistica, scoperto a Roma nel 1501 e appoggiato, dopo esser stato elevato su di un piedistallo, ad un muro esterno dell’attuale Palazzo Braschi, dove si trova tuttora. Si vuole che nei paraggi abitasse un personaggio, Mastro Pasquino appunto, non si sa bene se oste, sarto, barbiere o maestro di scuola, famoso per le battute salaci sui potenti, quelle che nella lingua italiana entrarono, appunto col nome di “pasquinate”. Esse sopravvissero al personaggio in carne ed ossa e venivano clandestinamente appese sulla statua di Palazzo Braschi, la quale prese il nome del personaggio. Generalmente le pasquinate colpivano il potere e spesso rappresentavano l’unica forma di dissenso possibile sotto un regime, come quello pontificio, ove la libertà di espressione era molto limitata. Non è un caso che le pasquinate siano durate poco tempo dopo il crollo del regime pontificio: in seguito al 20 settembre 1870, permessa la libertà di stampa e di satira, non aveva più molto senso appiccicare nottetempo le pasquinate sulla statua di Palazzo Braschi. Pasquino è il protagonista di due bei film di Luigi Magni, “Nell’anno del Signore” (1969), ambientato nella Roma del 1825 e “La notte di Pasquino” (2003), per inciso l’ultima opera del regista, ambientato a Roma nella notte tra il 19 ed il 20 settembre 1870. In tutt’e due i film Pasquino è interpretato da Nino Manfredi, nel primo ha il ruolo del ciabattino Cornacchia, ufficialmente analfabeta, nel secondo ha il ruolo di un gentiluomo che un agente segreto della polizia pontificia, avendolo scoperto, ha il compito di arrestare (ma non vi riesce). Solo alla fine si scopre essere un cardinale che si reca a far compagnia a Pio IX nella volontaria prigionia di Castel Sant’Angelo, pregando Iddio di aiutarlo a compiere bene la sua opera di sacerdote cattolico e di patriota italiano. Questo personaggio è, probabilmente, più aderente alla realtà storica di Pasquino. Certe pasquinate, infatti, troppo colte, troppo intrise di precisi riferimenti storici, biblici, ecc., non potevano che provenire da ambienti curiali in dissenso col governo, i quali non avevano altro mezzo per esprimerlo. Basti, ad esempio, questa pasquinata sul vecchio generale Lamoricière, reduce della campagna d’Algeria (1830), che nel 1860 si mise a disposizione dello Stato Pontificio organizzando il corpo degli Zuavi (memorabile la sua sconfitta a Castelfidardo): Se l’empia a sperdere oste d’Ammone un pezzo d’asino bastò a Sansone, chi mai potrà vincere l’eroe d’Algeri con un esercito d’asini intieri? Quanti lettori sanno che i Filistei erano chiamati anche Ammoniti e che la clava dell’eroe biblico era formata da una mascella d’asino? E’ evidente che chi scrisse la pasquinata doveva essere una persona di notevole cultura… Pasquino non fu la sola “statua parlante” di Roma, ebbe numerosi “colleghi” il più famoso dei quali è stato Marforio, gigantesca allegoria del fiume Tevere ora conservata all’ingresso dei Musei Capitolini e che sovente intrecciava sapidi dialoghi con Pasquino. Pasquino, che con la sua linguaccia di marmo ha commentato la storia di Roma per più di 300 anni, non poteva starsene muto nel 1849: parlò invece molto in difesa della Città Eterna, assediata dagli stranieri e tradita dal suo pastore spirituale che quegli stranieri aveva chiamato per spargere sangue italiano e romano. Chi assediava materialmente Roma era l’esercito francese e quindi è facile capire che le pasquinate del tempo non fossero propriamente francofile. Tornarono di moda alcune pasquinate del 1798 – 99 (anche lì gli invasori di Roma venivano dalla Francia). Questa è entrata anche in una canzone di Gabriella Ferri: Me so’fatto un cortello genovese / Che ce sbucio le porte delle case: / Figurete la panza d’un francese. Alla faccia del politicamente corretto, la propaganda spicciola indicava tutti i francesi come pederasti, da qui: Tata m’ha messo in mano un archibugio; / M’ha ditto: Fijo mio, se vedi un frocio, / Tiraje a volo, che nun sbaji er bucio. A parte la ripresa delle pasquinate di 50 anni prima, nel 1849 se ne crearono altre, anch’esse, come si è già detto, non vibranti d’amore per Parigi: Dal dì che Brenno in mezzo a noi discese / Non fu il Romano mai fratello del Francese. E pure i difensori del potere temporale pontificio ricevono il fatto loro: Tizio con Garibaldi fu soldato, Caio difensor fu del Papato. Tutti e due c’hanno avuto merito, uno prese le palle in petto, l’altro nel preterito…
Il generale Oudinot, comandante il corpo di spedizione francese, dichiarò che presto avrebbe preso Roma. Invece, inaspettatamente, il 30 aprile 1849, i francesi vennero sbaragliati a Porta San Pancrazio e lasciarono, oltre a tanti morti e feriti, anche numerosi prigionieri. Così commentò Pasquino: Oh, i francesi mantengono la fede! / Disser che in Roma avrien posto piede./ E ce l’han posto, e ci si sono spinti, / Se non da vincitori, almen da vinti. Anche Re Ferdinando di Borbone provò a prendere Roma, ma venne sconfitto da Garibaldi a Velletri, facendo la figura, secondo Pasquino, di un novello Cesare: Del Tirreno dai liti con soldati infiniti, andò verso Roma marciando Re Don Ferdinando; ma in pochissimi dì venne, vide…e fuggì! Quando Roma è costretta a cedere alla soverchiante prepotenza delle armi straniere, Pasquino non si perde d’animo e così si rivolge alla Città Eterna: Pugnasti indarno con valore antico, / Più al Fato cedi che al crudel nemico: / Ma dal cenere tuo, Roma infelice,/ Risorgerai come Araba Fenice; /Risorgerai più forte e più possente, /Maestra e donna a ogni straniera gente. Caduta la Repubblica Romana, viene posta in atto la repressione più feroce ad opera del cosiddetto “Triumvirato Nero”, costituito dai cardinali Altieri, Vannicelli e Della Genga, rappresentanti la corrente più oscurantista della Chiesa. Pasquino ne ha anche per loro: Del Dio di pace in nome e del Vangelo, or s’attende di Roma allo sfacelo. E poi: Non soltanto di fatti e di parole oggi ragion si vuole, / Ma più contro il pensiero farà il processo il Triumvirato Nero. E infine: Lepido, Ottaviano e Marc’Antonio fur feroci triumviri pagani: i triumviri suoi oggi ha il demonio a flagellare e spegnere i cristiani. Quelli fur proclamati tre birbanti, questi saranno celebrati santi. Quando il generale Oudinot entra in Roma conquistata tiene a farsi vedere particolarmente devoto, recandosi nelle varie chiese a baciare le reliquie. Pasquino e Marforio intrecciano un gustoso dialoghetto di cui riporto solo, data la lunghezza la parte finale, quando Marforio chiede: Quale, o Pasquin, reliquia toccò il suo labbro ardente? A quale, reverente, piede inchinossi ognor? E Pasquino risponde: L’orribil sacrilegio, Marforio mio, non taccio: baciò l’infame laccio di Giuda traditor! Mi piace concludere con questa pasquinata solo apparentemente antirisorgimentale, che trae spunto dall’uso, ripreso in certi ambienti della Repubblica Romana, di innalzare un palo decorato con simboli rivoluzionari detto “Albero della Libertà”, attorno al quale si svolgevano feste e manifestazioni politiche: Repubblica, Repubblica, andavano vociando nel Quarantotto i popoli, certi pali per alberi piantando. Io mestamente chiesi: cari amici, o che piantate, se non han radici? La pasquinata indica essere molto meglio una lenta ma profonda penetrazione delle idee nelle coscienze, nei cuori e nei cervelli, piuttosto che un facile ed estremistico rivoluzionarismo, destinato a bruciare molto, ma per breve tempo, come un fuoco di paglia. Segno che Pasquino, nel corso della sua lunga storia, non ha voluto solo farci divertire ma, magari ridendo o sorridendo, farci anche riflettere, cosa assai più importante.
ACHILLE RAGAZZONI